1. Non usare l'e-mail per alcun proposito illegale o non etico.
2. Non diffondere né spam né messaggi appartenenti a catene di S. Antonio.
3. Includere sempre l'argomento del messaggio in modo chiaro e specifico; non inviare mai e-mail prive del campo "oggetto".
4. Mantenere la privacy dei mittenti/destinatari, cancellando dal testo l'eventuale indirizzo di posta elettronica del mittente (se si inoltra una e-mail quando il destinatario non dovesse conoscere il mittente originale) e utilizzando la casella Bcc o Ccn (e non quella A o Cc) se si deve inviare la stessa e-mail a destinatari che non si conoscono tra loro.
5. Fare molta attenzione all'ortografia e alla grammatica del proprio messaggio.
6. Non insultare e non fare uso indiscriminato di parole scritte in maiuscolo, punti di esclamazione o punti interrogativi ripetuti.
7. La dimensione del messaggio da inviare non deve essere troppo grande (al posto di allegati di grandi dimensioni si possono inserire nel testo del messaggio dei link a tali risorse reperibili in altro modo, per esempio via FTP o HTTP); bisogna tenere presente che la dimensione massima ammessa per gli allegati può essere diversa in base al provider di posta utilizzato. Eventualmente è meglio concordare col destinatario le modalità di invio di allegati pesanti.
8. Gli allegati devono essere di formati diffusi e aperti (come .pdf o .jpeg/png per le immagini) in modo da essere facilmente apribili con i dispositivi e i sistemi operativi più diffusi, già settati per la stampa, ed eventualmente compressi con programmi nativi del sistema operativo.
9. Non allegare file con nomi eccessivamente lunghi o che contengono caratteri particolari come quelli di punteggiatura o lettere con segni diacritici, in quanto potrebbero creare problemi con alcune piattaforme.
10. Non impostare indiscriminatamente, per qualsiasi messaggio, il flag di importante e/o urgente.
11. Scrivere in modo semplice e diretto, con periodi brevi e andando a capo spesso perché gli spazi bianchi delle interlinee aiutano la lettura.
12. Formulare in maniera gentile e rispettosa il contenuto della propria e-mail.
13. Salvare il proprio messaggio in bozza quando quest'ultimo viene scritto di getto, per poi rileggerlo successivamente e se necessario modificarlo prima di inviarlo.
14. Leggere il proprio messaggio più volte prima di inviarlo e dimostrare di avere almeno letto il messaggio del mittente approfonditamente prima di dare risposte.
15. Non dimenticare una formula di saluto al/alla destinatario/a all'inizio della e-mail.
16. Firmare sempre con il proprio nome alla fine del messaggio, a meno che la firma non sia già inclusa nell'oggetto.
Netiquette Social network
1. Non commentare e/o postare utilizzando un linguaggio offensivo e scurrile.
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[box-info]Prima di pubblicare qualsiasi cosa online pensa sempre alla regola del THINK, un acronimo che ti aiuta a fissare le regole base di comportamento su Internet:
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Elaborato Certifico Srl - IT | Rev. 0.0 2023 / In conformità a RFC 1855
Art. 71 c. 13. Le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati di cui al comma precedente sono stabiliti con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
V. 1.1.0 del 26.02.2021 Apple iOS V. 1.0.5 del 26.02.2021 Google Android _________
Disponibile aggiornamento"Safety ADR" Febbraio 2021.
Novità OS 1.0.10 / Android 1.0.5:
- Supporto Dark Mode - Modifica requisiti minimi - ADR 2021: Nuovi volumi in francese, inglese, russo e corrigendum 1, 2 e 3 - Correzione animazione testo nella barra del titolo al passaggio da Home a notizia _________
5a Versione ADR: ADR 2013/ADR 2015/ADR 2017/ADR 2019/ADR 2021
- visualizzare tutta la Tabella A cap. 3.2 ADR per ONU/denominazione/classe/altro* (Italiano, Inglese); - compilare per ciascuna materia ADR il “Report materia” con il parametro “Safety” (1) (Italiano, Inglese); - compilare per ciascuna materia ADR la “Tremcards P.0” (2) (Italiano, Inglese); - consultare le Istruzioni Scritte secondo l’ADR (Inglese, Italiano, Francese, Russo, Danese, Lettone, Norvegese, Svedese, Tedesco, Ungherese, Romeno, Portoghese, Ceco, Spagnolo, Turco, Sloveno, Slovacco, Estone, Neerlandese (Belgio), Neerlandese (Paesi Bassi), Polacco, Finlandese, Lituano, Bulgaro, Greco, Serbo); - avere news in tempo reale visualizzate direttamente in Home; - consultare l’accordo ADR (Inglese, Francese, Russo); - consultare le etichette ADR, le classi, i Kemler (Italiano, Inglese)
I documenti compilati, "Report materia" e "Tremcards P.0", sono archiviati automaticamente e possono essere stampati con Air Print o inviati via e-mail in formato PDF.
Report Safety (1) Il parametro "Safety" dà informazioni sull'Area di Sicurezza (A.S.), dipendente dal quantitativo della merce trasportata "Q" e dal codice "Kemler" corretta da un fattore "K", per la quale si ritiene che la merce trasportata debba essere debitamente delimitata a tale valore in caso di incidente che possa comportare un rischio per la salute e la sicurezza pubblica. (leggere con attenzione il Disclaimer)
Report Tremcards P.0 (2) La "Tremcards P.0" (Transport Emergency Cards - P.0) è formata da 4 pagine di Istruzioni Scritte ufficiali ADR + Pagina 0 di Informazioni Preliminari Certifico "P.0".
La pagina "P.0" è stata introdotta in aggiunta alle Istruzioni Scritte ADR per facilitare una migliore individuazione delle merci trasportate in caso di emergenza e come indicato in nota 2 di pagina 3 delle Istruzioni Scritte ADR per aggiungere "Ulteriori Istruzioni":
ADR 5.4.3 Nota (2) delle ISTRUZIONI SCRITTE: "Le ulteriori istruzioni qui sopra indicate possono essere adattate in relazione alle classi di merci pericolose trasportate e al mezzo di trasporto."
Safety e Tremcards P.0 sono modelli depositati Certifico S.r.l. - Italia
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Segnaliamo novità sugli aggiornamenti delle nostre Licenze a far data dal 1° Gennaio 2015.
A1. Software Gli aggiornamenti di CEM4 o Certifico ADR, sono inerenti sia su aspetti software che normativi, quest'ultimi sono vincolanti per la corretta redazione dei documenti.
Sono state introdotte diverse funzioni che consentono di avere, quanto più tempestivamente possibile, i Prodotti software normativamente aggiornati.
La validità delle Licenza Full (Desktop/Server) è di 1 anno (periodo nel quale è possibile usufruire degli aggiornamenti in auto-update).
Dopo 1 anno dall'acquisto di CEM4 o Certifico ADR, non sarà più possibile scaricare gli aggiornamenti previsti, salvo l'acquisto della Licenza aggiornamento.
Sarà possibile, aggiornare i software al prezzo della Licenza aggiornamento, entro e non oltre 6 mesi (Licenza "pending") dopo la scadenza annuale della Licenza.
Dopo 6 mesi dalla scadenza della Licenza Full o Licenza Aggiornamento (Licenza "scaduta"), i software potranno ancora essere utilizzati, ma per usufruire degli aggiornamenti che rilasceremo dovrà essere acquistata una nuova Licenza a prezzo pieno.
Es.: Acquisto Licenza Full/Aggiornamento: 01.12.2018 Scadenza prevista: 01.12.2019 Licenza "pending": 01.06.2020 Licenza "scaduta": Dopo il 01.06.2020 (6 mesi Licenza "pending") per aggiornare il Software, dovrà essere acquista una nuova Licenza full.
La presente informativa, e la Policy, introdotta dal 1° Gennaio 2015, è rivolta, per correttezza, nei confronti dei Clienti che aggiornano costantemente i nostri Prodotti software, che ringraziamo, e per il lavoro importante della nostra azienda per lo sviluppo delle funzioni di aggiornamento software relative in particolare alle norme tecniche/dati normativi.
Non garantiamo e non ci riteniamo responsabili della corretta redazione dei documenti, per gli aspetti normativi cogenti, con Licenze scadute o aggiornamenti non installati del Software.
A2. Licenza PC portatili La Licenza per l'installazione in pc portatile, è considerata a tutti gli effetti una Licenza full, per il primo semestre 2015 garantiremo, comunque, una certa flessibilità commerciale.
A3.Disistallazioni e reinstallazioni [Update 19.09.2017] Non è possibile la reinstallazione del Software dopo una sua disintallazione, per il riutilizzo del Software dovrà essere acquistata una nuova Licenza/Aggiornamento.
B. Legislazione (Update 24.12.2016)
B1. Provvedimenti legislativi in rete (vedi F1)
Al fine di evitare contrasti su aspetti legislativi di materiale pubblicato in rete e filtrare modo adeguato articoli sulla legislazione IT/UE, per ogni articolo presente e per quanto possibile, è riportato, in allegato, l'estratto completo PDF del testo di legge dalle Gazzetta Ufficiali IT/UE / altro Organi ufficiali (estrazione digitale).
B2. Aggiornamenti provvedimenti legislativi (Vedi F1) Ogni articolo su aspetti legislativi, in generale, potrebbe non essere aggiornato alla data di consultazione per modifiche, rettifiche ecc. del provvedimento legislativo riportato.
Quando è possibile sono aggiunti in elenco o collegati i provvedimenti legislativi correlati o modificativi/integrativi, ecc.
E' a disposizione la Sezione "Support" per segnalazioni.
C. Abbonamenti
C1. Servizio Abbonamento annuale Gli abbonamenti hanno validità annuale, i documenti compresi sono aggiornati costantemente in relazione alle evoluzioni tecnico/normative ("living documents") e disponibili al download dall'Area Riservata per 1 anno dalla data di acquisto (segnalazioni al riguardo).
Con la sottoscrizione di un Servizio di Abbonamento sarà rilasciato l'Attestazione Servizio Abbonamento, scaricabile direttamente dall'Area Riservata.
Il Documento sarà nominativo, siglato e disponibile dopo un anno dalla Sottoscrizione del relativo Servizio di Abbonamento, per i già Clienti a decorrere dal 23 Giugno 2016.
C2. Servizio Abbonamento annuale Clienti+ Il Servizio "Clienti+" consente di navigare e scaricare dal sito documenti segnalati livello "Clienti+” e recensiti dalla nostra redazione.
Sono esclusi dal Servizio i documenti: - acquistabili - riservati abbonati
I documenti "Clienti+" sono analizzati e caricati nei ns Server dalla redazione di Certifico, la titolarità dei diritti d'autore rimane agli autori/fonti citati e riportati nel documento o nella notizia collegata. Certifico sostiene la sua attività di redazione anche con l'acquisto del Servizio, senza pubblicità nel sito.
I Clienti Abbonati ad un tema, hanno il Servizio Clienti+ già attivato sullo stesso tema.
D. Servizio Newsletter e acquisto Prodotti e Software - Formazione Professionale CFP (Update 06.06.2017)
D1. Servizio Newsletter generale Il Servizio di invio Newsletter generale è gratuito.
Le Newsletter sono inviate quotidianamente a tutti gli Utenti registrati che hanno selezionato la tematica di invio. E' possibile l'invbo di newsletter di temi non inerenti la sosttoscrizione rischiesta.
Le Newsletter hanno, nella maggioranza dei casi, un contenuto tecnico di news tratte da Fonti ufficiali o da Enti riconosciuti, e sono inviate in forma "lancio notizia".
Certifico Srl tiene traccia nei propri database dell'avvenuta Iscrizione e dell'avvenuto invio delle Newsletter, che vengono automaticamente archiviate nella Sezione dedicata.
D.2 News Business
Certifico: Primo per la Tua informazione.
Il Servizio News Business, è l'invio di newsletter informative, sulle tematiche selezionate dall'Area Riservata, prive di pubblicità, spam, che oltre al Servizio di newsletter generale, consente la "certezza" dell'invio delle stesse e di altre informazioni generalmente non inviate.
L'Iscrizione al Servizio di "News Business" (o acquisto dei nostri Prodotti tecnici e Software) può essere utilizzata nell'autocertificazione dei Crediti di Formazione Professionale - CFP (se prevista dagli Ordini Professionali per il contenuto d'interesse), come aggiornamento informale legato all'attività professionale.
Per quanto riguarda gli Ordini degli Ingegneri Territoriali/CNI, sarà nostra premura, se richiesta dell'Ordine/CNI sulle dichiarazioni rese, dell'iscrizione al Servizio di Newsletter o dell'acquisto di Prodotti tecnici e Software.
[panel]Gli Articoli/Documenti presenti nel sito sono pubblicati in accordo con le seguenti linee guida (F1.1/F1.11):
F1.1 Il materiale pubblicato nel sito, quali Documenti, Testi di Legge, Estratti Tecnici è selezionato con cura, moderato e pubblicato previa verifica di requisiti di "ufficialità".
F1.2 Il materiale pubblicato è estratto direttamente dai siti delle fonti Istituzionali, Enti, Aziende e Soggetti Qualificati.
F1.3 Al fine di evitare contrasti su aspetti legislativi di materiale pubblicato in rete e filtrare modo adeguato articoli sulla legislazione IT/UE, per ogni articolo presente e per quanto possibile, è riportato, in allegato, l'estratto completo PDF del testo di legge dalle Gazzetta Ufficiali IT/UE / altro Organi ufficiali (estrazione digitale).
F1.4 Certifico Srl è è licenziataria di tutte le norme tecniche UNI ISO IEC (Enti di normazione UNI/ISO/IEC/EVS/Altri) sulle quali sono elaborati i documenti estratti/approfondimenti di Norme Tecniche, eventuali norme non aggiornate, sono, per quanto possibile, segnalate ed è, inoltre, riportato il relativo link di posizione, alla data articolo, della norma tecnica all'Ente di normazione (posizione non controllata).
F1.5 I testi HSE consolidati sono elaborati nativamente dai testi di legge pubblicati nelle relative Gazzette.
Per "consolidamento" si intende l'integrazione in un atto legislativo delle sue successive modifiche e rettifiche. Questa operazione consente una maggiore trasparenza e un accesso più agevole alla legislazione. I testi consolidati sono messi a punto unicamente a scopo documentario e non si assumono alcuna responsabilità quanto al loro contenuto. Tali testi non hanno quindi valore giuridico. Ai fini giuridici si deve fare riferimento ai testi pubblicati nelle GU IT/UE.
F1.6 Nel sito non è pubblicato nessun Documento o Testo per il quale non è certa e controllata la fonte.
F1.7 La nostra policy prevede che non vengano alterati i "link assoluti" o "Permalink" degli articoli e dei Documenti allegati, che potrebbero non garantire nel tempo la disponibilità della risorsa - "page not found".
F1.8 Sono tracciate le evoluzioni dei Documenti e Prodotti a nuove Revisioni/Edizioni, tramite richiami con note/changelog.
F1.9 Ogni articolo su aspetti legislativi, in generale, potrebbe non essere aggiornato alla data di consultazione per modifiche, rettifiche ecc. del provvedimento legislativo riportato. Quando è possibile sono aggiunti in elenco o collegati i provvedimenti legislativi correlati o modificativi/integrativi, ecc.
F1.10 Per ogni articolo è definito e visibile nella home un ID univoco di database, e altre informazioni quali: data di inserimento, visite e categoria (es. ID 4655 | | Visite: 562 | News generali).
F1.11 Aggiunto in testa ad ogni articolo il "Permalink", termine contrazione delle parole "Permanent" e "Link" (link permanente), fa si che il collegamento ad un dato, nel caso gli articoli del sito, rimanga sempre funzionante e valido, la forma adottata è del tipo: https://www.certifico.com/id/XXXX, dove XXXX è l'ID univoco dell'articolo del nostro database Es: "Pagina chi siamo" ID 208: permalink "https://www.certifico.com/id/208 ".[/panel]
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G. Fruibilità e pagamenti Prodotti e Servizi (Update 22.09.2017)
G1. Norme Tecniche & Standards Tutti i nostri Prodotti e Servizi si appoggiano su norme tecniche e standards riconosciuti che utilizziamo quale base di selezione dei Documenti pubblicati, di redazione dei nostri Documenti e sviluppo software.
G2. Prodotti, documenti ed informazioni presenti nel sito Il materiale pubblicato nel sito è estratto direttamente da fonti Istituzionali, Enti, Aziende e Soggetti Qualificati e può essere scaricato e utilizzato liberamente senza restrizione alcuna, fatte salve eventuali limitazioni imposte da terze parti proprietarie od altre aventi titolo.
In particolare, Certifico Srl, non commercializza materiali e pubblicazioni di INAIL, ISPRA, e Organi Istituzionali, in quanto libere per legge, l'eventuale registrazione richiesta al download è gratuita.
Le uniche fonti Ufficiali di riferimento sono la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, la Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, gli Enti di normazione, gli Istituti, Enti ed Associazioni d'interesse e/o accreditati.
Certifico Srl non è responsabile e non può farsi carico in ogni caso dei danni, diretti e indiretti, e della risoluzione di controversie che possono nascere relativamente all'uso della documentazione presente in questo sito.
Eventuali documenti presenti, per i quali la nostra moderazione non è stata adeguata o la segnalazione nell'articolo non riporta fonti corrette o siano rivendicati di proprietà, saranno rimossi immediatamente, ci scusiamo per il disguido.
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H. Formule di pagamento
H1. Formula di "ACQUISTO UNA SOLA VOLTA" La formula di "ACQUISTO UNA SOLA VOLTA" è una scelta di vendita commerciale studiata su ns Prodotti/Documenti tecnici che, per loro natura, si evolvono rapidamente nei contenuti, la consultazione è ottima anche in formato elettronico (pdf, doc, immagine, ecc) su qualsiasi sistema operativo e dispositivo, non hanno l'immediata esigenza di stampa, ed in generale, non hanno esigenze di target di Utenti del libro classico cartaceo.
Ogni Prodotto è codificato con una numero di Revisione (R) ed un numero di Sottorevisione (SR), es:
"Prodotto Rev. 5.1", con: 5 = numero Revisione (R) 1 = numero di Sottorevisione (SR).
La formula di "ACQUISTO UNA SOLA VOLTA" è prevista per tutte le Sottorevisioni dei Prodotti/Documenti rilasciate in 1 anno dalla data di acquisto.
La presente formula di acquisto garantisce al Cliente gli aggiornamenti di revisione dei prodotti/documenti tecnici rilasciati nel corso di un anno dalla data di effettuazione dell’acquisto.
Nel contenuto, le Revisioni/Sottorevisioni possono essere di 4 tipi:
- Revisione Software maggiore - Revisione Software minore - Revisione Normativa maggiore - Revisione Normativa minore
La nostra valutazione in ordine al rilascio di versioni di Revisioni/Sottorevisioni comprese nella formula si basa unicamente sul miglioramento dell’utilizzo dei Prodotti/Documenti da parte del fruitore, sono garantite nella formula: - Revisioni Software minore - Revisioni Normative minori
Al contrario, modifiche da noi reputate "RevisioniSoftware maggiori" o RevisioniNormative maggiori, a seguito di interventi di ristrutturazione completa legate ad evoluzioni normative rilevanti dei Prodotti/Documenti, comporteranno l'aggiornamento fuori formula degli stessi.
In questo caso, è bene precisare che, la formula di "ACQUISTO UNA SOLA VOLTA", non potrà essere applicata e per disporre dei Prodotti/Documenti oggetto di Revisione sarà necessario effettuare un nuovo Acquisto.
H2. Info pagamenti Paypal/Carte di Credito I ns sistemi di evasione Ordini e Acquisti, sono ottimizzati per pagamenti su circuito di pagamento Paypal, la nostra scelta è stata valutata come la migliore per i nostri Clienti: Paypal garantisce dei livelli di sicurezza superiori ad altri circuiti in quanto non viene condivisa in rete, ad ogni acquisto, una carta di credito, ma solo un account, ed il Servizio consente al Cliente la verifica immediata di una disposizione di pagamento ed i ns sistemi di provvedere all'evasione automatica di un Ordine.
H3. Pagamenti 3 rate Paypal/Carta di Credito (Update 2015) E' possibile acquistare i nostri Prodotti in 3 rate con pagamento Paypal/Carta di Credito senza accesso a finanziamento.
Con la modalità di pagamento "3 rate Paypal/Carta di Credito", è possibile disporre subito dei Prodotti acquistati con pagamento in 3 rate dello stesso importo a 0/30/60 giorni e addebitato automatico sul conto Paypal/Carta di Credito; all'acquisto (1a rata) sarà emessa fattura per l'importo totale, scaricabile dall'Area Riservata.
La modalità di pagamento 3 rate Paypal/Carta di Credito è attiva su tutti i Prodotti e per qualsiasi importo(*), selezionabile al passo 3 della procedura di acquisto.
H4. Carte di Credito/Paypal Certifico non conserva nei propri server dati di Carte di Credito o Account Paypal, che sono solo inseriti nel circuito di pagamento Paypal al momento della transazione.
I. Download Documenti e costi
I1: Livelli di download e costi Il download dei documenti presenti nel sito è gestito a 4 livelli, segnalati sull'allegato:
- Free: (gratuita) - Registrati: (sottoscrizione gratuita) - Clienti+: (a pagamento) - Abbonati: (a pagamento)
I2. Licenza Documenti e Prodotti a firma Certifico Srl I Prodotti, Documenti a firma Certifico Srl, o Riservati Abbonati, possono essere elaborati e modificati senza limitazioni dai Clienti in possesso di regolare Licenza. Sono vietati pubblicazione web diretta o su altri siti, la cessione o rivendita a terzi, salvo ns autorizzazione.
I Documenti fonti esterne, devono essere utilizzati secondo quanto prescritto dal Licenziatario/Copyright del Documento, la nostra funzione è riportarli integralmente secondo accordi o altro da noi stabiliti.
I3. Aggiornamenti documenti[Update 19.09.2016] Sono garantiti gli aggiornamenti in download dall'Area Riservata per 1 anno dalla data di acquisto del Prodotto/Documento (segnalazioni al riguardo).
I4.Testo normativi consolidati[Update 19.02.2018] I testi normativi consolidati HSE, presenti nella Sezione dedicata, sono elaborati sui testi legislativi ufficiali, in formato PDF e negli Store segnalati in formato EPUB. I testi sono "strutturati" per essere arricchiti nel tempo con nostri software di elaborazione a seguito di modifiche ed integrazioni, emanazione atti delegati e di esecuzione, altri documenti inerenti. I testi PDF sono allegati in calce agli articoli e sono tracciati con apposita matrice di revisione.
15. Vademecum HSE [Update 10.10.2019] I Vademecum HSE presenti nella Sezione dedicata, sono "documenti tecnici pratici e illustrati" che raccordano più argomenti o interessano uno specifico argomento. Ogni Vademecum è curato particolarmente nel suo aggiornamento per evoluzioni normative / modifiche illustrative. I Vademecum sono elencati nella Sezione per data di pubblicazione decrescente e sono scaricabili secondo il Piano di Abbonamento sottoscritto.
Si rendono disponibili in forma gratuita "estratti/parti/requisiti" di Norme Tecniche Armonizzate EN/Norme Tecniche/Specifiche Tecniche/Requisiti di Norme Tecniche/altro pubblicate anche sulla GUUE, relative alle Direttive "Nuovo Approccio" ed in particolare alla Direttiva Macchine 2006/42/CE; sulla GURI relative a TUSL e legislazione correlata, secondo "Stato della Tecnica", "Regola dell'arte", e anche in "condizioni sufficienti" (Art. 7 Presunzione di conformità e norme armonizzate).
E' presa in esame, per lo sviluppo e costruzione dei file .cem da noi rilasciati, anche domentazione di Istituzioni/Enti/Associazioni e Aziende che riteniamo di significativo rilievo.
Non intendiamo sfruttare commercialmente i file .cem, ma mettiamo a disposizione degli Utenti una funzione di CEM4 che consente di importare/esportare direttamente tali file.
Intendiamo proporre agli Utenti tutte le funzionalità di CEM4, in accordo con metodologie rispettanti gli obblighi legislativi previsti, e favorire la diffusione di una corretta applicazione delle Direttive "Nuovo Approccio" che prevedono la marcatura CE e rimandano all'applicazione delle Norme Tecniche Armonizzate EN per la "Presunzione di Conformità" ai Requisiti Essenziali di Sicurezza e Salute "RESS" previsti da tali direttive, nonchè la corretta applicazione della legislazione nazionale che rimanda direttamente e indirettamente alle norme tecniche.
L2. Licenza norme tecniche L'Utente dovrà, comunque, essere in possesso di regolare licenza, se dovuta, relativa a requisiti/estratti/parti di Norme Tecniche e/o altro contenute nei file .cem resi disponibili sul sito e tale contenuto dovrà essere utilizzato secondo le disposizioni dei titolari dei diritti di proprietà/sfruttamento/copyright.
La nostra posizione, sulle Norme Tecniche emanate dagli Enti di normazione, è imperativa su aspetti riguardati la Salute e la Sicurezza delle persone, la menzione/rimando alle stesse nella legislazione, deve essere di fatto, prioritaria sull'aspetto di copyright. Il copyright potrebbe essere un limite allo sviluppo ed evoluzione della legislazione, nonché agli obblighi di ottemperare alla stessa, nel contesto del miglioramento delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza pubblica.
M.1 C-Documenti I "C-Documenti", segnalati nelle notizie, sono Notizie e Documenti embrione per lo sviluppo di Focus o Documenti Tecnici, sono inseriti per discussioni e rielaborazioni e potrebbero non essere completi e soggetti a modifiche, in relazione anche a segnalazioni.
N. Acquisti Pubblica Amministrazione (MEPA) (Update 29.12.2017)
Siamo presente su MEPA, Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione:
(*)La modalità di pagamento "3 rate Paypal/Carta di Credito" potrebbe non essere attiva in determinati periodi o promo in corso, la visualizzazione nelle modalità di pagamento è disabilitata.
Verifiche periodiche attrezzature a pressione - Gruppo GVR / Maggio 2022
ID 5825 | Update Rev. 1.0 del 17.05.2022
Documento illustrativo della Procedura di verifica delle attrezzature a pressione, Gruppo GVR del DM 11 aprile 2011 Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche, sono previste:
1. Prima verifica periodica 2. Verifica periodica di funzionamento; 3. Verifica periodica interna; 4. Verifica periodica di integrità (decennale).
Allegati documenti: - Lista di controllo apparecchi a pressione - Modello verbale prima verifica periodica - Modulo classificazione attrezzatura a pressione
[box-warning]Portale CIVA (Servizi telematici di Certificazione e Verifica Impianti e Apparecchi)
Dal 27 maggio 2019 i servizi di certificazione e verifica di impianti e apparecchi INAL si richiedono on line con il nuovo applicativo messo a disposizione dall’Inail consente di richiedere on line i servizi più significativi, tra cui l’immatricolazione e la messa in servizio, relativi a impianti e attrezzature.
Richieste di verifica che è possibile presentare per gli Apparecchi a pressione:
- Verifica di messa in servizio; - Verifica e dichiarazione di messa in servizio (richiesta Contestuale); - Dichiarazione di messa in servizio; - Dichiarazione di messa in servizio art.5 DM 329/04 comma b), c) e d); - Prima verifica periodica.
Dal 16 luglio 2020 è attivo il nuovo servizio online per la comunicazione del nominativo dell’organismo abilitato incaricato di effettuare le verifiche periodicheper gli impianti di messa a terra (art.7-bis DPR 462/01), per le attrezzature a pressione non previsto al momento (data news).
Le attrezzature a pressione, sono soggette a verifiche periodiche in accordo con:
- DM 11 aprile 2011 “Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'All. VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo”.
- Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 "Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro"
“Oltre a quanto previsto dal comma 8, il datore di lavoro sottopone le attrezzature di lavoro riportate nell’ALLEGATO VII a verifiche periodiche volte a valutarne l’effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza, con la frequenza indicata nel medesimo ALLEGATO. Per la prima verifica il datore di lavoro si avvale dell’INAIL, che vi provvede nel termine di quarantacinque giorni dalla richiesta. Una volta decorso inutilmente il termine di quarantacinque giorni sopra indicato, il datore di lavoro può avvalersi, a propria scelta, di altri soggetti pubblici o privati abilitati secondo le modalità di cui al comma 13. Le successive verifiche sono effettuate su libera scelta del datore di lavoro dalle ASL o, ove ciò sia previsto con legge regionale, dall’ARPA, o da soggetti pubblici o privati abilitati che vi provvedono secondo le modalità di cui al comma 13. Per l’effettuazione delle verifiche l’INAIL può avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati.
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Recipienti/insiemi classificati in III e IV categoria, recipienti contenenti gas instabili appartenenti alla categoria dalla I alla IV, forni per le industrie chimiche e affini, generatori e recipienti per liquidi surriscaldati diversi dall'acqua.
Verifica di funzionamento: biennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Recipienti/insiemi classificati in I e II categoria.
Verifica di funzionamento: quadriennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Tubazioni per gas, vapori e liquidi surriscaldati classificati nella I, II e III categoria
Verifica di funzionamento: quinquennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Tubazioni per liquidi classificati nella I, II e III categoria
Verifica di funzionamento: quinquennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Recipienti per liquidi appartenenti alla I, II e III categoria.
Verifica di funzionamento: quinquennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Recipienti/insiemi contenenti gas compressi, liquefatti e disciolti o vapori diversi dal vapor d'acqua classificati in III e IV categoria e recipienti di vapore d'acqua e d'acqua surriscaldata appartenenti alle categorie dalla I alla IV
Verifica di funzionamento: triennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Recipienti/insiemi contenenti gas compressi, liquefatti e disciolti o vapori diversi dal vapor d'acqua classificati in I e II categoria
Verifica di funzionamento: quadriennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Generatori di vapor d'acqua.
Verifica di funzionamento: biennale Visita interna: biennale Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Tubazioni gas, vapori e liquidi surriscaldati classificati nella III categoria, aventi TS < 350 °C
Verifica di integrità: decennale
Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3) Tubazioni gas, vapori e liquidi surriscaldati classificati nella III categoria, aventi TS > 350 °C
Verifica di funzionamento: quinquennale Verifica di integrità: decennale
Generatori di calore alimentati da combustibile solido, liquido o gassoso per impianti centrali di riscaldamento utilizzanti acqua calda sotto pressione con temperatura dell'acqua non superiore alla temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica, aventi potenzialità globale dei focolai superiore a 116 kW
1. Recipienti contenenti fluidi con pressione maggiore di 0,5 bar 2. Generatori di vapor d’acqua 3. Generatori di acqua surriscaldata (*) 4. Tubazioni contenenti gas, vapori e liquidi 5. Generatori di calore alimentati da combustibile solido, liquido o gassoso per impianti centrali di riscaldamento utilizzanti acqua calcia sotto pressione con temperatura dell’acqua non superiore alla temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica, aventi potenzialità globale dei focolai superiori a 116 kW (**) 6. Forni per le industrie chimiche e affini.
(*) da trattarsi come generatori di vapor d’acqua o impianti di riscaldamento in accordo all’articolo 3 del decreto ministeriale 1° dicembre 1975 (**) per gli obblighi di verifica relativi all’impianto di riscaldamento si rimanda al punto 4.6.1. _______
4.1.1. Per le attrezzature/insiemi a pressione di cui al punto 1.1.3 del presente allegato le periodicità sono regolamentate secondo lo schema riportato nell’allegato VII del decreto legislativo n. 81/2008.
Per le attrezzature costruite in assenza delle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, la categorizzazione è definita dal datore di lavoro ai sensi dell’allegato II del decreto legislativo n. 93 del 25 febbraio 2000. Restano ferme le esclusioni e le esenzioni dalle verifiche periodiche per le attrezzature di cui agli articoli 2 e 11 del decreto ministeriale 1° dicembre 2004, n. 329.
4.1.2. Per le attrezzature/insiemi di cui al presente punto 4. per verifiche periodiche si intendono:
[alert]a) La «prima delle verifiche periodiche»: b) Le «verifiche periodiche successive»: b1) di funzionamento; b2) interna; b3) di integrità (decennali). [/alert]
4. 1.3. Le verifiche di efficienza e funzionalità degli accessori di sicurezza seguono la periodicità dell’attrezzatura a pressione cui sono destinati o con cui sono collegati.
4.1.4. Periodicità delle verifiche, differenti da quelle di cui all’allegato VII del decreto legislativo n. 81/2008, e tipologia di ispezioni alternative a quelle stabilite ai punti seguenti, ma tali da garantire un livello di rischio equivalente, potranno essere autorizzate in deroga, previa richiesta da inoltrare al Ministero dello sviluppo economico.
4.2.2. La prima delle verifiche periodiche andrà eseguita secondo la periodicità di cui all’allegato VII del decreto legislativo n. 81/2008 a decorrere dalla data di messa in servizio dichiarata dal datore di lavoro.
4.2.3. I controlli da eseguire in sede di «prima delle verifiche periodiche», in aggiunta a quelli di cui al punto 4.3.1., sono i seguenti:
a. Individuazione dell’attrezzatura (o delle attrezzature componenti l’insieme). b. Verifica di corrispondenza delle matricole rilasciate dall’ISPESL o dall’INAIL all’atto della dichiarazione di messa in servizio sulle attrezzature (certificate singolarmente o componenti un insieme) rientranti nelle quattro categorie del decreto legislativo n. 93 del 25 febbraio 2000 non escluse dalle verifiche periodiche del decreto ministeriale 1° dicembre 2004 n. 329; per gli insiemi di limitata complessità (criogenici, cold-box, apparecchi di tintura, generatori di vapore a tubi da fumo. ecc.) nel caso in cui il datore di lavoro ha richiesto. in sede di dichiarazione di messa in servizio, esplicitamente di voler considerare l’insieme stesso come unità indivisibile, la verifi ca di corrispondenza riguarda la matricola unica dell’insieme. c. constatazione della rispondenza delle condizioni di installazione, di esercizio e di sicurezza con quanto indicato nella dichiarazione di messa in servizio di cui all’articolo 6 del decreto ministeriale 1° dicembre 2004, n. 329: d. controllo della esistenza e della corretta applicazione delle istruzioni per l’uso del fabbricante.
4.2.4. Per gli insiemi verrà redatto un verbale di prima verifica periodica per ogni attrezzatura immatricolata costituente l’insieme. Occorre anche riportare sul verbale di ogni singola attrezzatura immatricolata il riferimento al numero identificativo dell’insieme di cui fa parte, indicato nella dichiarazione di conformità dell’insieme stesso. Si dovrà procedere a redigere una relazione complessiva sulla certificazione e protezione dell’insieme c sul rispetto delle istruzioni per l’uso. da inserire nella banca dati informatizzata di cui all’articolo 3, comma l del presente decreto. Nel caso di insieme immatricolato come un’unica unità indivisibile considerando tutte le attrezzature dell’insieme come «membrature» che non verranno immatricolate e subiranno singolarmente la periodicità di controllo previste dalla categoria dell’insieme verrà redatto un unico verbale complessivo per tutte le attrezzature dell’insieme.
4.2.5. Nel verbale della prima delle verifiche periodiche, da compilare per ciascuna delle attrezzature immatricolate dell’insieme (o nel verbale relativo all’insieme nel suo complesso nel caso di insieme considerato come unità indivisibile), occorre evidenziare per le attrezzature componenti l’insieme:
[alert]a) quelle marcate CE;
b) quelle non marcate CE ed omologate ISPESL;
c) quelle non marcate CE e garantite dalla marcatura CE dell’insieme. [/alert]
4.3. Le verifiche periodiche successive
4.3.1. La verifica di funzionamento
4.3.1.1. La verifica di funzionamento consiste nei seguenti esami e controlli:
a) esame documentale: b) controllo della funzionalità dei dispositivi di protezione: c) controllo dei parametri operativi.
4.3.1.2. I controlli di cui alla lettera al vengono effettuati sulla base della documentazione rilasciata a seguito della prima delle verifiche periodiche.
I controlli di cui alla lettera b) possono essere effettuati con prove a banco, con simulazioni, oppure, ove non pregiudizievoli per le condizioni di funzionamento, in esercizio. In particolare per le valvole di sicurezza. il controllo può consistere nell’accertamento di avvenuta taratura entro i limiti temporali stabiliti dal fabbricante e, comunque, entro i limiti relativi alle periodicità delle verifiche di funzionalità relative all’attrezzatura a pressione a cui sono asservite.
I controlli di cui alla lettera c) sono finalizzati all’accertamento che i parametri operativi rientrino nei limiti di esercizio previsti. Lo scarico dei dispositivi di sicurezza deve avvenire in modo da non arrecare danni alle persone. L’installazione di valvole di intercettazione sull’entrata e sull’uscita dei condotti delle valvole di sicurezza è consentita. qualora non in contrasto con quanto indicato nelle istruzioni per l’uso, su motivata richiesta del datore di lavoro in particolare nel caso di fluidi infiammabili, tossici, corrosivi o comunque nocivi. Le valvole di intercettazione devono essere piombate in posizione di apertura a cura dell’INAIL o delle ASL ai quali vanno segnalate tempestivamente le manovre che abbiano comportato manomissioni del sigillo.
4.3.1.3. Durante la verifica di funzionamento devono anche essere annotati tutti gli eventuali interventi di riparazione intercorsi accertandone la correttezza in base alle istruzioni per l’uso rilasciate dal fabbricante o alle procedure di cui all’articolo 14 del decreto ministeriale 1° dicembre 2004, n. 329.
4.3.2. La verifica di integrità decennale
4.3.2.1. La verifica di integrità consiste nell’accertamento dello stato di conservazione delle varie membrature mediante esame visivo delle parti interne ed esterne accessibili ed ispezionabili, nell’esame spessimetrico ed altri eventuali prove, eseguiti da personale adeguatamente qualificato incaricato dal datore di lavoro, che si rendano necessari:
a) data la non completa ispezionabilità dell’attrezzatura: b) qualora emergessero dubbi sulla condizione delle membrature; c) a fronte di situazioni evidenti di danno; d) in base alle indicazioni del fabbricante per attrezzature costruite e certificate secondo le direttive di prodotto (97/23/CE, 87/404/CEE, 90/488/CEE).
4.3.2.2. Ove nella rilevazione visiva e strumentale o solamente strumentale si riscontrano difetti che possono in qualche modo pregiudicare l’ulteriore esercizio dell’attrezzatura, vengono intraprese per l’eventuale autorizzazione da parte del soggetto titolare della verifica, le opportune indagini supplementari, effettuate dal datore di lavoro. atte a stabilire non solo l’entità del difetto ma anche la sua possibile origine. Ciò al fine di intraprendere le azioni più opportune di ripristino della integrità strutturale del componente, oppure a valutarne il grado di sicurezza commisurato al tempo di ulteriore esercizio con la permanenza dei difetti riscontrati. Nel caso siano intraprese tali valutazioni (Fitness For Service - FFS-), per stabilire il tempo di ulteriore esercizio con la permanenza dei difetti riscontrati. le stesse valutazioni andranno notificate dal datore di lavoro ai soggetti titolari della verifica che dovranno autorizzare l’ulteriore esercizio. Le autorizzazioni rilasciate devono essere notificate all’INAIL per l’inserimento nella banca dati informatizzata, di cui all’articolo 3, comma 1, del presente decreto. ed alle ASL competenti per territorio.
4.3.2.3. Quando l’attrezzatura ha caratteristiche tali da non consentire adeguate condizioni di accessibilità all’interno. anche nei riguardi della sicurezza, o risulta comunque non ispezionabile completamente. l’ispezione è integrata. limitatamente alle camere non ispezionabili, con una prova di pressione idraulica a 1.125 volte la «pressione massima ammissibile» (PS) che può essere effettuata utilizzando un fluido allo stato liquido.
4.3.2.4. La non completa ispezionabilità può essere conseguente alla presenza, su parti rappresentative del recipiente, di masse interne o rivestimenti interni o esterni inamovibili, anche parzialmente. o la cui rimozione risulti pregiudizievole per l’integrità delle membrature o dei rivestimenti o delle masse stesse.
4.3.2.5. La prova di pressione idraulica può essere sostituita. in caso di necessità e previa predisposizione da parte dell’utente di opportuni provvedimenti di cautela. con una prova di pressione con gas (aria o gas inerte) ad un valore di 1,1 volte la «pressione massima ammissibile» (PS). In tale caso dovranno essere prese tutte le misure previste dal decreto legislativo n. 81/2008 per tale tipo di prova la stessa deve avere una durata minima di due ore durante le quali deve essere verificata l’assenza della caduta di pressione.
4.3.2.6. La verifica di integrità per le tubazioni non comporta obbligatoriamente né la prova idraulica né l’esame visivo interno. ma opportuni controlli non distruttivi per l’accertamento della integrità della struttura.
4.4 Verifica di visita interna per generatori di vapore
4.4.1. La visita interna consiste nell’esame visivo delle parti dei generatore accessibili ed ispezionabili, tanto internamente che esternamente.
4.4.2. Qualora durante la verifica emergessero dubbi sulla condizione delle membrature o in caso di necessiti, a fronte di situazioni evidenti di danno, è consentito avvalersi di ulteriori esami e prove, eseguiti da personale adeguatamente qualificato incaricato dal datore di lavoro, al fi ne di accertare la permanenza delle condizioni di stabilità per la sicurezza dell’esercizio del generatore stesso.
4.5. Verifica di funzionamento per generatori di vapore
4.5.1. Per i generatori di vapore oltre agli esami e controlli previsti al punto 4.3.1.1 si effettua, durante la verifica di funzionamento, la verifica di rispondenza dei parametri dell’acqua di alimento con quanto richiesto nelle istruzioni per l’uso. In mancanza di tale informazione si può far riferimento alle relative norme applicabili. Durante la verifica deve essere riscontrata la presenza del conduttore abilitato, quando previsto.
4.6. Verifica di impianti di riscaldamento
4.6.1. Gli impianti di riscaldamento centralizzati con generatore di calore di potenzialità superiore a 116 kW devono rispettare. qualora non in contrasto con quanto indicato nelle istruzioni per l’uso. le prescrizioni della Raccolta R dell’ISPESL.
4.7. Verifiche periodiche di attrezzature particolari
4.7.1. I recipienti di capacità fino a 13 m 3 contenenti GPL possono usufruire dell’esonero dalle verifiche periodiche di cui ai precedenti punti 4.2. e 4.3.1. alle condizioni di cui all’articolo 3 del decreto del 29 febbraio 1988 di cui all’articolo 6 del presente decreto.[/box-note]
I recipienti di cui all'art. 1 di capacita' non superiore a 5000 litri possono fruire dell'esonero della prescrizione relativa alla verifica annuale di esercizio di cui all'art. 9 del decreto ministeriale 21 maggio 1974 a condizione che la ditta fornitrice del gas si impegni a:
a) proteggere gli accessori di sicurezza e di controllo dagli agenti atmosferici; b) effettuare in occasione del riempimento e comunque con scadenza non superiore all'anno, il controllo dello stato di conservazione della superficie protettiva esterna del recipiente e della funzionalita' degli accessori; c) sostituire, almeno ogni due anni, la valvola di sicurezza con altra previamente tarata al banco in presenza dell'ISPESL. Restano ferme, per l'esonero, le disposizioni generali di cui al capo I del decreto ministeriale 21 maggio 1974. La domanda di esonero dovra' essere sottoscritta, oltre che dall'utente, anche dalla ditta fornitrice del gas.[/box-note]
[box-note]... 4.7.2. Le modalità di effettuazione della verifica di integrità sui recipienti di capacità non superiore a 13 m 3 contenenti GPL con verifiche a campione a mezzo della tecnica dell’emissione acustica, nonché le modalità di riconoscimento e di sorveglianza dei soggetti abilitati all’effettuazione delle suddette verifiche restano disciplinate dal decreto del 23 settembre 2004 di cui all’articolo 6 del presente decreto.
4.7.3. Per i serbatoi criogenici con intercapedine isolante sottovuoto non soggetti ad azione interna di corrosione o di abrasione o di erosione, la verifica d’integrità consiste in una prova pneumatica, di norma mediante lo stesso gas contenuto. alla pressione di 1.1 volte la «pressione massima ammissibile» (PS). ed in una prova di ermeticità al vuoto. Il grado di vuoto nell’intercapedine sarà spinto fino a 1000 micron Hg e sarà controllato con un vacuometro; la prova avrà la durata minima di 3 ore dopo la stabilizzazione della pressione e del grado di vuoto. Al termine della prova il grado di vuoto nell’intercapedine, letto al vacuometro, non dovrà discostarsi dalla lettura iniziale. Non è richiesto il controllo spessimetrico.
4.7.4. Le attrezzature/insiemi itineranti, che in relazione al loro impiego possono essere movimentati frequentemente da un luogo di lavoro all’altro, possono essere assoggettati a verifica periodica direttamente presso il magazzino distributore anziché presso il cantiere di lavoro.
4.7.5. Per le attrezzature che lavorano in condizioni di regime tali per cui possono essere significativi fenomeni di scorrimento viscoso o di fatica oligociclica, si osservano le prescrizioni tecniche vigenti in materia. Le autorizzazioni all’ulteriore esercizio vengono rilasciate dall’INAIL sulla base della valutazione effettuata dal datore di lavoro.
4.8. Considerazioni generali
4.8.1. Ove la verifica abbia evidenziato situazioni di criticità per l’esercizio, il soggetto incaricato deve ordinare il divieto d’uso della attrezzatura.
4.8.2. Ove anche a seguito di riparazioni, sostituzioni o modifiche l’attrezzatura non dia garanzia di idoneo funzionamento essa deve declassata, utilizzato a pressione atmosferica o demolita.[/box-note] ... segue in allegato
Documentazione interventi VVF di maggiore entità 1951/2013
ID 9157 | 28.09.2019
Documentazione degli eventi incidentali di maggiore entità che hanno colpito il Paese negli ultimi cinquant'anni.
Eventi incidentali di maggiore entità che hanno colpito il paese negli ultimi 50 anni, dall'alluvione del Polesine al terremoto del Belice, dall'incidente di Seveso all'alluvione del Piemonte ed altri eventi passati.
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[box-note]1951 Alluvione del Polesine
Il 14 novembre il Po straripa invadendo la regione del Polesine; in pochi istanti otto miliardi di metri cubi d'acqua invadono le campagne. Il primo bilancio del disastro è drammatico: 107.000 ettari su 157.000 coltivabili sono allagati, i raccolti distrutti. Il Paese si mobilita per la prima grande campagna di solidarietà del dopoguerra
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[box-note] 1956 - Maltempo in Italia Meridionale
L'Italia Centro Meridionale resta completamente isolata a causa del maltempo e delle eccezionali nevicate.
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[box-note] 1963 - Disastro del Vajont
Il 9 ottobre 1963 un'enorme frana precipita dal monte Toc nelle acque della diga del Vajont.
Un'ondata alta 200 metri travolge immediatamente i paesi vicini: Longarone, Rivalta, Pirago, Villanova, Faè, Erto, Casso, Castellavazzo sono ridotti a cumuli di macerie e di fango.
Muoiono 2500 persone, migliaia sono i senzatetto.
I Vigili del Fuoco lavorano ininterrottamente per settantadue giorni, salvando la vita di oltre settanta persone e recuperando i corpi di 1243 vittime.
La piena del fiume Arno travolge la città di Firenze.
Il centro cittadino resta per giorni semi-sommerso dall'acqua e da migliaia di tonnellate di detriti e fango che danneggiano, soprattutto, il patrimonio artistico.
Nella sola Firenze, tra il 4 ed il 5 novembre, vengono effettuati oltre 9.000 salvataggi.
Il dispositivo del C.N.VV.F. consente di portare soccorso a circa 34.000 persone.
La notte del 4 agosto 1974 una bomba esplode nella vettura numero 5 dell'espresso Roma-Brennero.
I morti sono 12 e i feriti circa 50, ma una strage spaventosa è stata evitata per questione di secondi: se la bomba fosse esplosa nella galleria che porta a San Benedetto Val di Sambro i morti sarebbero stati centinaia.
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[box-note] 1976 - Incidente a Seveso
Il 10 luglio una nuvola di diossina fuoriesce da uno stabilimento chimico contaminando il territorio circostante.
Una delle più grandi catastrofi chimiche comincia in una fabbrica di profumi e disinfettanti.
All'interno di un reattore della fabbrica veniva prodotto il triclorofenolo (Tcf), materia prima per la produzione di cosmetici, disinfettanti ospedalieri e diserbanti.
La temperatura doveva essere mantenuta sotto i 156 gradi. A temperature superiori, infatti, comincia la formazione di diossina (Tcdd), un potentissimo veleno. Più alta è la temperatura, più diossina si forma.
Il 10 luglio, invece, nel reattore, la temperatura sale improvvisamente fino a superare i 300 gradi. La valvola di sicurezza si rompe e fuoriesce una nube di vapori che il vento trasporta per qualche chilometro in direzione sud-est, sopra le città di Meda e Cesano Maderno.
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[box-note] 1976 - Terremoto in Friuli
La sera del 6 maggio la terra trema in Friuli, a nord di Udine.
La scossa investe 77 comuni con circa 60.000 abitanti.
Muoiono 965 persone, 45.000 sono i senzatetto.
Migliaia di Vigili del Fuoco, con oltre 600 mezzi, intervengono immediatamente con le componenti dello Stato presenti sul territorio colpito (Esercito, forze dell'ordine, volontari).
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[box-note] 1980 - Esplosione a Bologna
Il 2 agosto del 1980 una bomba posta nella sala d'aspetto della stazione centrale di Bologna provocò un'esplosione. La deflagrazione, di enorme potenza, fece crollare un tratto del fabbricato che ospitava i locali del ristorante e delle sale di attesa di prima e seconda classe causando la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200.
Fu colpito anche il treno interregionale 13544 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario. La forza d'urto mandò in frantumi i vetri di quasi tutti i palazzi che circondano la stazione.
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[box-note] 1980 - Terremoto in Irpinia
Il 23 novembre un fortissimo terremoto investe un'area di 17.000 Kmq. Le cifre della tragedia sono pesantissime: 2.914 i corpi recuperati, 10.000 i feriti, 280.000 i senzatetto.
I Vigili del Fuoco intervengono sul territorio con 4.300 unità e oltre 1.000 mezzi.
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[box-note] 1985 - Crollo bacini decantazione Val di Stava
Il 19 luglio 1985, alle 12.22, il crollo delle discariche della miniera di Prestavel provoca una immensa frana che sconvolge la valle del rio Stava, 180 mila metri cubi di fango ed acqua percorrono la valle alla velocità di circa 90 chilometri all'ora, uccidendo 268 fra uomini, donne e bambini e provocando danni per decine di miliardi.
La tragedia della val di Stava è la più grave catastrofe industriale degli ultimi anni in Italia, seconda per distruzione e numero di vittime solo alla catastrofe del Vajont.
Giovedì 11 aprile sulla petroliera Haven, ancorata nel porto di Genova, scoppia un incendio che causa un disastro ecologico.
500 chilometri quadrati coperti dal petrolio nel golfo Ligure.
La petroliera conteneva, al momento dello scoppio, 143.000 tonnellate di greggio nella sua stiva, capace di ben 220.000 a pieno carico.
Circa 15.000 tonnellate di petrolio galleggiano nel mar Ligure, 27 microgrammi di anidride solforosa, la concentrazione massima per mq. registrata in provincia di Genova.
5 novembre 1994, ore 18.00. Da vari giorni piove incessantemente su tutto il Nord Italia. I principali corsi d'acqua, investiti dalla crescente pressione, cominciano ad ingrossarsi sempre più, iniziando a tracimare dai loro argini, allagando le campagne circostanti.
Tra le regioni maggiormente interessate figurerà il Piemonte, particolarmente colpito nelle provincie di Cuneo, Asti ed Alessandria. É proprio in queste zone, infatti, che il Tanaro, il Covetta ed il Bovina fuoriescono contemporaneamente dai loro letti, trascinando nella loro corsa verso valle una quantità enorme di detriti. Sarà a causa della potenza delle loro acque, cresciuta a dismisura col passare del tempo e dei chilometri percorsi, che questi corsi si trasformeranno in fiumi tumultuosi, capaci di travolgere tutto con la veemenza delle proprie acque. Nell'inondazione, perderanno la loro vita più di cento persone, mentre il numero dei senzatetto oltrepasserà i cinquemila. L'economia stessa della zona risulterà annientata: innumerevoli abitazioni vengono infatti distrutte dall'alluvione, migliaia di capi di bestiame vanno perduti, annegati nel fango; le scorte di cereali e mangimi svaniscono, i terreni agricoli, invasi dalla piena, divengono.
19 giugno 1996 alle 6 del mattino, sul crinale tra l'Alta Versilia e la Garfagnana sulle montagne del Corchia e della Pania, del Forato e del Procinto, e nelle strette gole che vi si insinuano, il cielo cominciò a tuonare mentre l'acqua venne giù a scrosci sempre più fitti, si trattò di un acquazzone dovuto all'impatto di aria calda venuta dal mare con quella, assai più fredda, che sovrastava le cime delle Apuane, il classico temporale estivo, sfuggito alle previsioni, tanto ridotto era il perimetro su cui insistette: le cime e le ripide pendici delle montagne, sul versante garfagnino, sopra a Fornovolasco, e su quello della valle senza nome che finisce a Cardoso, nei comuni di Stazzema e di Serravezza. Un perimetro di due chilometri per dieci, a esagerare, è piovuto per dodici ore di seguito, alle ore 13.50 l'alluvione raggiunse la massima intensità, alla fine si calcolò che erano piovuti 482 millilitri, mezza tonnellata d'acqua per ogni metro quadro.
Su Cardoso, portati dalle acque, piombarono 2.200.000 metri cubi di detriti. Fango, pietre e grandi massi, interi castagneti, a ondate successive. L'acqua piovana aveva gonfiato a dismisura i rivi che scendono dalle montagne fino a diventare cascate il cui urto aveva sbranato le pendici dei monti, dalla Pania al Forato, precipitandole dabbasso, nella ridotta conca dove confluiscono i torrenti Capriola, Farneto e Vezza, tra le case di Cardoso. Disintegrato il paese, la valanga d'acqua e di fango era straripata lungo tutta la valle, fino a Serravezza e poi nella piana versiliese e fino al mare. La valanga aveva viaggiato alla velocità di dieci metri al secondo: così aveva travolto tutto ciò che si trovava sopra l'alveo del Vezza, i ponti e le fiancate della strada, le massicciate, le case fino a tre piani, lo storico Albergo Milani al Ponte Stazzemese, i magazzini e le segherie, per inondare poi la pianura fino a sfondare la via Aurelia e scardinare il terrapieno della ferrovia Pisa-Genova. Fino alle passeggiate lungomare e aveva portato con sé la gente.
Alle ore 16,30 del 23 gennaio si verifica il crollo di una palazzina di tre piani, già sotto ordinanza di sgombero, contemporaneamente al crollo si innesca un violento incendio causato dallo scoppio del gas metano fuoriuscito dalla sottostante tubazione, che provoca un'ampia voragine sull'assetto stradale di circa venti metri di profondità, danneggiando i cavi elettrici, quelli telefonici e facendo precipitare le auto in sosta e quelle in transito.
Nella zona erano in corso dei lavori per la costruzione di una galleria per collegare Arzano e Miano dove, in quel momento avveniva una esplosione all'interno della galleria dove si trovavano otto operai. I Vigili del Fuoco hanno lavorato ininterrottamente per giorni per recuperare i corpi delle vittime (11), per la messa in sicurezza dei manufatti limitrofi e per le numerose verifiche di stabilità richieste.
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[box-note] 1996 - Voragine a Milano
In Milano alle ore 14,40 del 12 dicembre 1996 si forma una voragine di dimensioni considerevoli, 35 metri di profondità, sotto la bottega di un fabbro, causata probabilmente da infiltrazioni d'acqua.
Il proprietario ed il figlio vengono inghiottiti con parte della loro officina ed in seguito ritrovati in fondo alla voragine; prima il figlio ed il 31 dicembre alle ore 18 si chiudevano le operazioni con il recupero del genitore.
I Vigili del Fuoco hanno operato per 20 lunghissimi giorni, realizzando ed istallando il sistema per operare all'interno della profonda voragine.
A. Download Articolo [/box-note]
[box-note] 1996 - Incendio del teatro La Fenice a Venezia
Il 29 gennaio 1996 un incendio ha distrutto il teatro La Fenice a Venezia.
[box-note] 1997 - Salvataggio della Sacra Sindone a Torino
Venerdì 11 aprile 1997, divampa un incendio all'interno della Cappella del Guarini, nel Duomo di Torino. Le fiamme raggiungono, rapidamente, il vicino Palazzo Reale mettendo in pericolo la teca contenente la Sacra Sindone.
Quando tutto sembrava perduto, un Vigile del Fuoco si è lanciato tra le fiamme con una grossa mazza di ferro, rompendo a furia di colpi la teca, antiproiettile, che proteggeva la reliquia e portando al sicuro il Sudario di Cristo.
Nella notte del 26 settembre 1997, una prima scossa dell'ottavo grado della scala Mercalli, poi alle 11,42 una seconda, mentre frati e tecnici stavano controllando eventuali danni alla volta nella Basilica di San Francesco ad Assisi, causarono ingenti danni al patrimonio architettonico.
Il crollo della volta nella Basilica ha provocato quattro morti. I paesi più colpiti saranno: Assisi, Foligno, Colfiorito, Serravalle del Chienti, e tanti altri piccoli centri.
[box-note] 1998 - Dissesto idrogeologico in Campania
Nei giorni 4, 5 e 6 maggio del 1998, una massa di fango e detriti si è staccata dalla montagna e dalla collina sovrastanti i paesi di Quindici (in Irpinia), Sarno, Siano e Braciliano (Salerno).
In alcuni casi, come nella frazione di Episcopio (Sarno), la furia del fiume di fango ha distrutto tutto quello che c'era.
La frana ha provocato la morte di 159 persone.
A. Download Articolo B. Download Documenti VVF C. Video 1 D. Video 2 E. Video 3 [/box-note]
[box-note] 1999 - Crollo a Foggia
Il 10 novembre a Foggia un palazzo di sei piani crolla seppellendo circa novanta persone. Dopo quattro giorni di incessante lavoro Vigili del Fuoco, Forze dell'ordine e volontari estraggono dalle macerie 62 vittime e una ventina di feriti.
In piena notte il palazzo comincia a manifestare sinistri scricchioli, sintomi precursori inequivocabili di un imminente cedimento strutturale. L'amministratore dello stabile, per fortuna è sveglio. Intuisce il pericolo, esce in strada e pigia freneticamente la pulsantiera dei citofoni per dare l'allarme.
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[box-note] 2000 - Alluvione in Piemonte
Già a partire dal giorno 13, il Centro Nazionale Climatologia e Meteorologia Aeronautica (C.N.C.M.A.), ha emesso le previsioni meteo "...molto nuvoloso o coperto, con piogge diffuse e locali rovesci o temporali; i fenomeni potranno risultare localmente forti sul settore ovest, in particolare sulle zone alpine, prealpine e sulla riviera di levante" ed infatti, in serata e per tutta la giornata del 14 ottobre, intense precipitazioni hanno interessato le regioni Piemonte e Valle d'Aosta ed in particolare le zone montane.
In poche ore le abbondanti piogge hanno provocato l'ingrossamento di numerosi fiumi e torrenti che sono esondati provocando l'isolamento di diversi centri abitati; la pioggia è stata anche causa di diverse frane e crolli che hanno provocato non poche difficoltà alla viabilità stradale.
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[box-note] 2000 - Alluvione a Soverato
L'ondata assassina è arrivata poco prima delle 5. Ed ha sorpreso nel sonno tutto il campeggio, dove insieme ai soliti turisti c'erano tanti disabili organizzati in una specie di colonia. È stata una strage. Il fango ha travolto tutti e tutto, lasciando pochissime vie di scampo: i tetti dei bungalow in muratura ed i salici centenari. Chi non ha avuto la forza, la prontezza ed il coraggio di saltare sui muri e sugli alberi non ha trovato scampo, a meno di un miracolo.
Il teatro della tragedia è il camping Le Giare, alle porte dei Soverato, una trentina di chilometri da Catanzaro lungo la jonica.
Alle ore 11.35 dell'11 marzo 2000, una forte scossa di terremoto è stata avvertita dalle popolazioni residente nella zona dei monti Tiburtini, in un territorio compreso tra le provincie di Roma, L'Aquila, Frosinone e Rieti.
Il movimento tellurico, registrato dai sismografi dell'Istituto Nazionale di Geofisica con magnitudo 4.1, è stato distintamente avvertito in molte zone delle provincie sopracitate provocando, oltre a comprensibili momenti di panico, diversi danni agli edifici, tutti localizzati nella zona epicentrale ed in particolare nei Comuni di Subiaco, Agosta, Cerreto Laziale, Ciciliano, Cervara di Roma, Gerano, Bellegra, Canterano, Rocca S. Stefano, Sambuci e Tivoli.
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[box-note] 2001 - Esplosione a Roma (Via Ventotene)
Nella mattina del 27 novembre, a Roma, mentre i pompieri con i tecnici dell'azienda del gas stavano lavorando per cercare di individuare una perdita, dopo aver evacuato il palazzo probabilmente interessato dalla fuga di gas, c'è stata un'esplosione.
Gravissime le conseguenze per la squadra dei Vigili del Fuoco intervenuta, tutti investiti dallo scoppio, decine i feriti, notevoli danni materiali alle abitazioni circostanti. Cinque le palazzine evacuate.
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[box-note] 2002 - Monte Etna – Catania
Monte Etna - Catania: Il 26 ottobre 2002 l'Etna si risveglia e sono circa 200 le scosse sismiche, di origine vulcanica, registrate fra il 27 e il 28 ottobre 2002, dall'I.N.G. (Istituto Nazionale di Geofisica). I valori sono compresi tra il 3° e il 6° grado della scala Mercalli, con magnitudo tra 3.1 e 3.9.
L'eruzione del vulcano dell'Etna, che ha minacciato alcuni comuni pedemontani del versante Nord e Sud dell'Etna, ha reso necessaria la mobilitazione di uomini e mezzi di tutti i Comandi Provinciali della Sicilia, nonché l'approntamento di un Campo Base per il monitoraggio del fenomeno. Le scosse sismiche, che hanno raggiunto la massima intensità il 29 ottobre, causando numerosi dissesti statici, parziali crolli in diversi Comuni, tra cui S. Venerina, Zafferana, Milo e alcune frazioni di Acireale, Guardia e Mangano, hanno comportato un rafforzamento della macchina dei soccorsi, attraverso l'invio di ulteriori Sezioni Operative di Colonna Mobile dai Comandi dei Vigili del Fuoco della vicina Calabria e delle regioni Emilia Romagna e Lombardia, con un dispositivo di soccorso che ha coinvolto più di 400 unità, oltre al personale già operante sul territorio.
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[box-note] 2002 - Terremoto in Molise
Alle ore 16.08 del 31 ottobre 2002 l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia registra una scossa sismica di magnitudo 5.3, pari all'8° della scala Mercalli, con epicentro tra le località di Casacalenda, Sant'Elia a Pianisi e Colletorto.
La scossa principale è stata seguita da numerose repliche, le più forti delle quali si sono verificate alle 16.20, con magnitudo 4.1 (6° Mercalli), alle ore 18.21 con magnitudo 3.8 (5° Mercalli).
A causa degli eventi si sono verificati ulteriori crolli a Castellino sul Biferno, dove sono state interessate circa 50 abitazioni e la chiesa parrocchiale, a Bonefro ed a S. Giuliano di Puglia, un solaio a Termoli e numerose lesioni a Campobasso.
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[box-note] 2002 - Formazione di un lago epiglaciale sul Monte Rosa
Le alte temperature ed il conseguente innalzamento dello zero termico sulle Alpi Pennine hanno causato la formazione di un lago alla base del ghiacciaio Belvedere, nei pressi del preesistente lago delle Locce.
I Vigili del Fuoco, dopo aver effettuato le preliminari operazioni di monitoraggio, hanno approntato apposite infrastrutture destinate ad accogliere pompe idrovore ad altissima capacità, realizzando al contempo un by-pass a valle per il deflusso delle acque con il conseguente svuotamento del lago. Gli interventi, effettuati in condizioni di estrema difficoltà a causa delle temperature piuttosto basse e delle assenze di vie di comunicazione, hanno evitato che l'eventuale repentina tracimazione delle acque travolgesse l'abitato di Macugnaga, con conseguenze gravissime per la vita delle persone e per le loro abitazioni.
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[box-note] 2002 - Esplosione in un appartamento a Milano
Un inquilino, colpito da disperazione per lo sfratto in atto dall'appartamento in cui abitava, si barricava in casa e minacciando il suicidio apriva la valvola del gas provocando la saturazione degli ambienti.
Sul posto sono immediatamente intervenuti Vigili del Fuoco e Forze di Polizia. Mentre il personale della Polizia di Stato tentava un'opera di dissuasione gli operatori dei Vigili del Fuoco, ben consci del grave pericolo in atto, dovuto alla fuoriuscita di gas, si apprestavano ad intervenire.
Purtroppo, com'è noto, l'uomo ha esploso alcuni colpi di arma da fuoco, che hanno provocato il ferimento di un Vigile, mentre una successiva esplosione ha investito il Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco, unitamente a diversi agenti della Polizia di Stato ed ad un funzionario della stessa, in seguito deceduto.
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[box-note] 2002 – Incidente ferroviario, Messina
In prossimità della stazione di Rometta Marina è deragliato il treno 1932, che ha causato la morte di 8 persone e 30 feriti.
L'intervento di numerose squadre dei Vigili del Fuoco, affluite anche dai Comandi VV.F. di Messina, Catania e Palermo, ha consentito di portare in salvo molti viaggiatori rimasti intrappolati tra le lamiere della motrice e delle carrozze.
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[box-note] 2002 - Violento nubifragio
A seguito delle avverse condizioni meteorologiche che, nei primi giorni di settembre, hanno interessato il territorio dell'Isola d'Elba, provocando l'allagamento dei piani scantinati di molti edifici nonché diffusi smottamenti, numerose squadre dei Vigili del Fuoco sono intervenute in soccorso della popolazione, procedendo, tra l'altro, all'evacuazione da campeggi e strutture ricettive di circa 750 persone.
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[box-note] 2002 - Scosse sismiche a Palermo
Le numerose e forti scosse di terremoto verificatesi dal 9 settembre scorso nella città di Palermo hanno comportato una incessante attività delle squadre dei VV.F. per accertamenti statici (circa 2.000 i sopralluoghi effettuati), verifiche di stabilità ed attività di assistenza alla popolazione.
Alle ore 03.21 del 6 settembre, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha registrato una scossa sismica di Magnitudo 5.6 con epicentro localizzato in mare a circa 40 km a largo di Palermo. La scossa è stata seguita da altre scosse di assestamento di intensità inferiore. L'evento è stato avvertito in tutta la Sicilia.
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[box-note] 2009 - Terremoto in Abruzzo
6 aprile, ore 3.32: la terra trema. Viene registrata una scossa di 5,8 gradi della scala Richter con epicentro a pochi chilometri dal centro del L'Aquila e a circa 5 km di profondità. Il sisma viene avvertito in tutto il centro-sud, dalla Romagna a Napoli.
Nelle 48 ore successive vengono registrate altre 256 scosse o repliche, delle quali più di 150 nel giorno di martedì 7 aprile, di cui 56 di grado superiore a 3,0. Lo sciame sismico prosegue per mesi con circa 18000 terremoti registrati in tutta l'area della città del L'Aquila.
[box-note] 2009 - Incidente ferroviario di Viareggio
Il 29 giugno, alle ore 23.48, il treno merci 50325, con il suo con il suo convoglio di quattordici carri cisterna, deraglia in corrispondenza del sovrappasso pedonale che scavalca il fascio binari sud della stazione ferroviaria, collegando via Burlamacchi con via Ponchielli.
Quattro carri cisterna escono dai binari e uno si danneggia, con fuoriuscita del GPL. Il gas fuoriuscito si innesca immediatamente provocando un incendio di vastissime proporzioni che interessato la stazione di Viareggio, qualche centinaio di metri a sud del fabbricato viaggiatori della stessa, e le aree circostanti.
Il 1° ottobre 2009 piogge torrenziali colpiscono la Sicilia orientale per tutta la notte, fino al mattno. Il nubifragio provoca lo straripamento dei corsi d'acqua e diversi eventi franosi, a cui seguì lo scivolamento a valle di colate di fango e detriti.
Particolarmente colpiti i paesi di Giampilieri, Molino, Altolia Briga, Pezzolo, Santa Marina e nei Comuni di Scaletta Zanclea e Itala, dove colate di fango bloccarono il sistema viario e isolarono Scaletta Zanclea.
L'alluvione provoca 37 vittime. Oltre duemila le persone evacuate.
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[box-note] 2010 - Nubifragio a Messina
Il 13 ottobre l'area ionica è interessata da diffusi temporali e piogge intense. Colpita particolarmente la zona Sud di Messina, le frazioni ed i comuni già interessati dall'alluvione del 1° ottobre 2009.
Circa 70 gli interventi effettuati dai Vigili del fuoco per straripamenti di torrenti, frane e smottamenti a Giampilieri Superiore, Altolia, Molino, Scaletta Zanclea, Itala, Briga Superiore, Pezzolo e Mili S. Marco, anche con impiego di mezzi movimento terra.
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[box-note] 2011 - Alluvione delle Cinque Terre
Il 25 ottobre, a seguito di una forte precipitazione che in sei ore ha riversato oltre 500 mm di pioggia sulla provincia della Spezia e di Massa e Carrara, si verifica una alluvione che interessa il territorio dello Spezzino e della Lunigiana.
Questo evento meteorologico causa la piena dei fiumi Vara e Magra e dei torrenti affluenti nelle zone colpite, con allagamenti e inondazione in tutta la Val di Vara e la Val di Magra.
I centri più colpiti sono quelli di Borghetto di Vara, Brugnato, Bonassola, Levanto, Monterosso al Mare, Vernazza, Beverino, Santo Stefano di Magra, Sarzana, Ameglia in provincia della Spezia e Aulla in provincia di Massa-Carrara.
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[box-note] 2012 - Naufragio della Costa Concordia
Venerdì 13 gennaio, alle ore 21.45, la nave da crociera Costa Concordia urta uno scoglio riportando l'apertura di una falla lunga circa 70 metri sul lato sinistro dell'opera viva. L'impatto provoca la brusca interruzione della crociera, un forte sbandamento e il conseguente arenamento sullo scalino roccioso del basso fondale prospiciente Punta Gabbianara, a nord di Giglio Porto.
Sulla nave erano presenti oltre 4000 persone, compreso l'equipaggio.
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[box-note] 2012 - Terremoto in Emilia
Alle ore 4.03 del 20 maggio, una scossa sismica di magnitudo 5.9 ha interessato un’ampia zona dell'Italia Settentrionale. L'epicentro è stato localizzato tra i comuni di Finale Emilia, Borgofranco sul Po e Felonica.
Alle prime luci dell'alba, l'elicottero VVF del nucleo di Bologna effettua una ricognizione rilevando danni alle strutture in particolare nei comuni delle province di Ferrara, Modena e Mantova.
Immediato l'invio delle sezioni operative dalle Direzioni Regionali di Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Lazio e Veneto e di ulteriori mezzi aerei del nucleo di Venezia.
Il 29 maggio ulteriori scosse colpiscono l'Emilia Romagna: alle ore 9.00 di magnitudo 5.8, alle 12.55 una di 5.4 e poi alle 13.00 altre due scosse, rispettivamente di magnitudo 4.9 e 5.2. L'epicentro viene individuato tra i comuni di Medolla, Mirandola e Cavezzo. Le scosse furono avvertite in tutta l'Italia settentrionale.
Ulteriori repliche, anche importanti, si susseguono nei giorni successivi.
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[box-note] 2013 - Terremoto in Lunigiana e Garfagnana
Alle ore 12.33 del 21 giugno, una scossa sismica di magnitudo 5.2 interessa le provincie di Massa Carrara e di Lucca.
Molte le repliche che si susseguono nelle settimane successive, alcune anche di magnitudo elevata.
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[box-note] 2013 - Alluvione in Sardegna
Il 18 novembre, la Sardegna viene colpita da una intensa perturbazione che provoca abbondantissime piogge, che provocano esondazioni e imponenti allagamenti.
Particolarmente colpite le provincie di Sassari, in particolare Olbia e Arzachena, di Nuoro.
Incostituzionale il “Decreto ILVA” del 2015 - Sentenza Corte Costituzionale n. 58 2018
È incostituzionale il “decreto ILVA” del 2015 che consentiva la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 58 depositata il 23 marzo 2018 (relatrice Marta Cartabia) che dichiara illegittimi sia l’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) sia gli articoli 1, comma 2, e 21-octies della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria).
La questione nasce a seguito dell’infortunio mortale subito da un lavoratore dell’ILVA esposto, senza adeguate protezioni, ad attività pericolose nell’area di un altoforno dello stabilimento di Taranto. L’altoforno era stato sequestrato dall’autorità giudiziaria ma, pochi giorni dopo, il legislatore aveva disposto la prosecuzione dell’attività di impresa, alla sola condizione che entro trenta giorni la parte privata colpita dal sequestro approntasse un piano di intervento contenente «misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio», non meglio definite.
La Corte costituzionale ha fatto applicazione degli stessi principi della sentenza n. 85 del 2013 in base ai quali il legislatore, pur in presenza di sequestri dell’autorità giudiziaria, può intervenire per consentire la prosecuzione dell’attività in stabilimenti di interesse strategico nazionale, ma a condizione che vengano tenute in adeguata considerazione, e tra loro bilanciate, sia le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori, sia le esigenze dell’iniziativa economica e della continuità occupazionale. In quell’occasione, la Corte ritenne che tali principi fossero stati rispettati; in questo caso, invece, la Corte ha ritenuto che il legislatore abbia privilegiato unicamente le esigenze dell’iniziativa economica e sacrificato completamente la tutela addirittura della vita, oltre che dell’incolumità e della salute dei lavoratori.
Pertanto, stavolta i giudici costituzionali hanno dichiarato illegittima la norma oggetto del giudizio, oltretutto introdotta e tenuta in vita con un’anomala procedura legislativa: la norma era stata infatti introdotta con un decreto-legge subito dopo il sequestro dell’impianto, poi era stata abrogata apparentemente con la legge di conversione di un altro decreto legge ma, simultaneamente, era stata trasposta in un altro articolo della stessa legge di conversione, con una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti. (fonte: Comunicato Corte Costituzionale del 23 marzo 2018)
______________
Sentenza Corte Costituzionale n. 58 2018
Sentenza 58/2018 (ECLI:IT:COST:2018:58)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: LATTANZI - Redattore: CARTABIA
Camera di Consiglio del 07/02/2018; Decisione del 07/02/2018
Deposito del 23/03/2018; Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 3 del decreto-legge 04/07/2015, n. 92.
Massime:
Atti decisi: ord. 67/2017
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto nel procedimento penale a carico di S. R. e altri, con ordinanza del 14 luglio 2015, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia.
[panel]
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 luglio 2015 (r. o. n. 67 del 2017), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, 41, secondo comma, e 112 della Costituzione.
1.1.– Il rimettente ha precisato di essere investito della decisione sull’istanza, depositata nella segreteria del Pubblico ministero del medesimo Tribunale e da questi trasmessa all’ufficio del giudice per le indagini preliminari, avanzata dalla difesa di ILVA spa in amministrazione straordinaria (d’ora innanzi: ILVA), affinché venisse data attuazione al citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 in riferimento al sequestro preventivo dell’altoforno denominato “Afo2” presso lo stabilimento di Taranto della società.
1.2.– Si procedeva, infatti, a carico di R. S. e altri dirigenti e tecnici in servizio presso tale stabilimento, in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 437, commi 1 e 2, del codice penale – per avere, in concorso, omesso di predisporre cautele volte a prevenire la proiezione di materiale incandescente e strumentazioni idonee a garantire l’incolumità dei lavoratori, da cui è derivato l’infortunio mortale di un operaio – e agli artt. 113 e 589 cod. pen., per avere determinato la morte del predetto operaio mediante le omissioni di cui sopra.
Nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero ha disposto, con decreto del 18 giugno 2015, il sequestro preventivo d’urgenza, senza facoltà d’uso, del citato altoforno, ravvisando le esigenze cautelari di cui all’art. 321, commi 1 e 2, del codice di procedura penale.
Con ordinanza del 29 giugno 2015, il rimettente ha convalidato il decreto del pubblico ministero e ha disposto il sequestro preventivo dello stesso impianto, senza facoltà d’uso.
È quindi intervenuto l’impugnato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015, la cui rubrica recita: «Misure urgenti per l’esercizio dell’attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario». Il comma 1 prevede che «[a]l fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro […] quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori», specificando che ciò era già previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. Il comma 2 aggiunge che «[t]enuto conto della rilevanza degli interessi in comparazione, nell’ipotesi di cui al comma 1, l’attività d’impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro». Il successivo comma 3 stabilisce poi che «[p]er la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l’impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro», aggiungendo che «[l]’avvenuta predisposizione del piano è comunicata all’autorità giudiziaria procedente». Il comma 4 dispone, inoltre, che «[i]l piano è trasmesso al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell’INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono garantire un costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di sequestro, anche mediante lo svolgimento di ispezioni dirette a verificare l’attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano», ulteriormente precisando che «[l]e amministrazioni provvedono alle attività previste dal presente comma nell’ambito delle competenze istituzionalmente attribuite, con le risorse previste a legislazione vigente». Infine, il comma 5, contiene una disposizione transitoria, in base alla quale «[l]e disposizioni del presente articolo si applicano anche ai provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3 decorrono dalla medesima data».
1.3.– I difensori di ILVA hanno chiesto al pubblico ministero di dare attuazione al citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015, il quale, nella loro interpretazione, dispone una sospensione ex lege dell’esecuzione del vincolo reale, rispetto alla quale il provvedimento dell’autorità giudiziaria competente – individuata nel pubblico ministero in quanto organo che si deve occupare dei profili esecutivi del sequestro preventivo – assumerebbe mero valore dichiarativo.
1.4.– Il pubblico ministero ha trasmesso gli atti per la decisione al giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, esprimendo parere contrario all’accoglimento dell’istanza.
In particolare, la pubblica accusa ha ritenuto che il citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 non potesse caducare il provvedimento di sequestro in atto, in quanto altrimenti si sarebbe realizzata un’ingerenza del potere legislativo nelle prerogative di quello giudiziario. Inoltre, il provvedimento di sequestro di uno degli altoforni non avrebbe compromesso l’intera attività di impresa, con la conseguenza che la disposizione in esame – la quale è dichiaratamente volta allo scopo di garantire la continuità dell’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale – non sarebbe stata applicabile alla specie. L’organo competente a decidere sarebbe stato, dunque, il giudice delle indagini preliminari, quale organo che aveva emesso il provvedimento di sequestro sulla cui «sostanza» la disposizione legislativa avrebbe inciso.
In via subordinata, lo stesso pubblico ministero ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale del citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015.
1.5.– Il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto di essere competente a decidere sull’istanza.
Secondo il rimettente, infatti, la disposizione in esame avrebbe sottoposto il sequestro a una condizione sospensiva negativa di efficacia – realizzata dalla mancata predisposizione, da parte dell’impresa, di un piano di intervento entro trenta giorni dal provvedimento – e a un termine dilatorio eventuale, così da stabilire la durata massima dell’esercizio dell’attività d’impresa per un periodo di dodici mesi in pendenza del vincolo cautelare.
Ricostruita in tal modo la portata della disposizione, il giudice a quo ha ritenuto che essa attenga all’esecutività del titolo, sulla quale è competente a decidere, ai sensi dell’art. 665, comma 1, cod. proc. pen., il giudice che lo ha deliberato.
Secondo il giudice per le indagini preliminari, inoltre, si sarebbe dovuto procedere nelle forme dell’incidente di esecuzione, adottando la procedura semplificata di cui all’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., applicabile analogicamente (e a maggior ragione) ai casi, come quello di specie, in cui occorra decidere sull’efficacia del sequestro, anziché sulla confisca e sulla restituzione delle cose sequestrate.
1.6.– Il rimettente ha poi ritenuto che il citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 sia applicabile alla specie sottoposta al suo giudizio.
Infatti, pur considerando che la lettura proposta dal pubblico ministero «non si presenta affatto peregrina», anche in considerazione di «una tecnica normativa impropria (determinata probabilmente dalla fretta)», ciò nondimeno la disposizione avrebbe dovuto ritenersi applicabile anche ai casi in cui, come nella specie, «le misure cautelari attingano, nel concreto, non l’intero stabilimento, bensì soltanto singoli impianti, e non comportino necessariamente l’interruzione dell’attività d’impresa»: ciò in quanto nei commi 3 e 4 del medesimo art. 3 ci si riferisce rispettivamente all’«impianto oggetto del provvedimento» e ad «aree di produzione oggetto di sequestro». Inoltre, il richiamo alla precedente normativa, riguardante la prosecuzione dell’attività negli impianti dello stabilimento ILVA, renderebbe inequivoca l’applicabilità del citato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 anche al sequestro di singoli impianti.
1.7.– Considerata perciò la rilevanza – e pur nella consapevolezza che, nelle more della decisione della Corte costituzionale, sarebbero stati adottati probabili interventi emendativi della disciplina censurata – il giudice a quo ha ritenuto suo dovere investire il giudice delle leggi dei dubbi, non manifestamente infondati, di legittimità costituzionale del citato art. 3, del quale egli avrebbe dovuto fare applicazione «qui e ora» per decidere sull’istanza difensiva sopra descritta.
Il rimettente, infatti, ritiene che la disposizione censurata presenti profonde differenze rispetto alla precedente disciplina di cui agli artt. 1 e 3 del d.l. n. 207 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 231 del 2012, considerata non affetta da illegittimità costituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 85 del 2013, per la presenza di «specifici contrappesi normativi», mancanti nella specie ora in esame, e costituiti dalla subordinazione della prosecuzione dell’attività d’impresa all’osservanza dell’autorizzazione integrata ambientale e dalla predisposizione di una precisa procedura di monitoraggio.
Sarebbe perciò assente nella disciplina in esame un ragionevole punto di bilanciamento tra i diversi interessi costituzionali coinvolti e da ciò conseguirebbe l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 3.
1.8.– In particolare, secondo il giudice a quo, sarebbe violato l’art. 2 Cost., in quanto la norma impugnata, consentendo l’esercizio dell’attività d’impresa, pur in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana (come attestato dalla tragica vicenda dell’operaio deceduto), comprometterebbe diritti fondamentali della persona definiti «inviolabili» dalla Carta costituzionale.
1.9.– Il rimettente ritiene che non sia stato rispettato neanche l’art. 3 Cost., in quanto la disposizione in giudizio riserva alle imprese di interesse strategico nazionale un ingiustificato privilegio nell’adeguamento agli standard di sicurezza rispetto agli altri operatori economici, finendo altresì per esporre i lavoratori di tali aziende a fattori di rischio più elevato, così violando, sotto entrambi i profili, il principio costituzionale di eguaglianza.
1.10.– Il giudice a quo ravvisa, poi, una violazione degli artt. 4 e 35, primo comma, Cost., in quanto il diritto al lavoro presuppone condizioni di sicurezza nell’esecuzione della prestazione, che la normativa censurata compromette.
1.11.– Sarebbe inciso anche l’art. 32, primo comma, Cost., in quanto la disciplina in esame mette in pericolo la stessa vita e incolumità individuale del cittadino-lavoratore, compromettendone il diritto alla salute nella sua forma estrema, senza operare alcun ragionevole bilanciamento con altri diritti.
1.12.– Il rimettente ritiene inoltre violato l’art. 41, secondo comma, Cost., in quanto la prosecuzione dell’attività in un impianto pericoloso e mortale, in presenza di un progetto unilateralmente predisposto dall’azienda interessata e non sindacabile o controllabile da altri, non rispetta il principio costituzionale che esige che l’attività economica privata si svolga in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
1.13.– Infine, il giudice a quo ritiene pregiudicato il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., che deve ritenersi operante non solo nel potere-dovere di repressione dei reati, ma anche in quello di prevenzione dei medesimi, che si esplica anche nell’adozione di misure cautelari reali di carattere preventivo. La disciplina censurata, in assenza di qualsiasi punto di equilibrio, comprometterebbe irragionevolmente, e perciò illegittimamente, tale «potestà costituzionale», consentendo il perpetuarsi di una situazione penalmente rilevante quanto meno ai sensi dell’art. 437 cod. pen. e, in caso di incidenti, degli artt. 589 e 590 cod. pen.
1.14.– Manifestamente infondato viene invece considerato il dubbio di legittimità costituzionale dedotto dal pubblico ministero per violazione dell’art. 3 in relazione all’art. 77, secondo comma, Cost.: il rimettente, infatti, ritiene sussistenti nella specie le ragioni che devono sostenere la decretazione d’urgenza.
2.– Nelle more della scadenza del termine per la conversione del d.l. n. 92 del 2015, l’art. 1, comma 2, della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria) ha abrogato il censurato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015, prevedendo, peraltro, che restino validi gli atti e i provvedimenti adottati e che siano fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base della disposizione abrogata. Il testo della disposizione abrogata è stato riprodotto, tuttavia, nell’art. 21-octies della medesima legge n. 132 del 2015.
3.– Con atto depositato il 6 giugno 2017 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
Ad avviso dell’Avvocatura generale l’abrogazione della disposizione censurata determinerebbe l’inammissibilità delle questioni per «sopravvenuta carenza di interesse».
Nel merito si evidenzia come il nuovo art. 21-octies della legge n. 132 del 2015 consenta la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo massimo di 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro e a condizione che entro trenta giorni sia predisposto un piano contenente misure aggiuntive, anche di natura provvisoria, per la tutela della sicurezza dei lavoratori sull’impianto oggetto di cautela reale. Il suddetto piano deve essere comunicato all’autorità giudiziaria e al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici dell’ASL e dell’INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e di controllo.
La difesa erariale osserva, sulla base di quanto si evince dalla relazione di accompagnamento alla legge di conversione del d.l. n. 83 del 2015, che la disciplina di cui all’art. 21-octies si pone in linea di continuità con l’art. 1, comma 4, del d.l. n. 207 del 2012, ed è volta a salvaguardare i livelli di occupazione compatibilmente con la tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori. La disposizione censurata, pertanto, godrebbe della medesima copertura costituzionale già riconosciuta alla precedente disciplina dalla sentenza n. 85 del 2013 della Corte costituzionale.
Ne deriverebbe, in conclusione, la non fondatezza delle questioni sollevate. [/panel]
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Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 14 luglio 2015 (r. o. n. 67 del 2017), trasmessa a questa Corte con le formalità richieste il successivo 7 febbraio 2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale).
L’art. 3 impugnato prevede, al comma 1, che: «[a]l fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro, come già previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori»; al comma 2 che: «[t]enuto conto della rilevanza degli interessi in comparazione, nell’ipotesi di cui al comma 1, l’attività d’impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro»; al comma 3 che: «[p]er la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l’impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro. L’avvenuta predisposizione del piano è comunicata all’autorità giudiziaria procedente»; al comma 4 che: «[i]l piano è trasmesso al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell’INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono garantire un costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di sequestro, anche mediante lo svolgimento di ispezioni dirette a verificare l’attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano. Le amministrazioni provvedono alle attività previste dal presente comma nell'ambito delle competenze istituzionalmente attribuite, con le risorse previste a legislazione vigente»; al comma 5 che: «[l]e disposizioni del presente articolo si applicano anche ai provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3 decorrono dalla medesima data».
Il giudice a quo ritiene che la diposizione impugnata violi una pluralità di parametri costituzionali e, segnatamente, gli artt. 2, 3, 4, 32, primo comma, 35, primo comma, 41, secondo comma, e 112 della Costituzione.
Più precisamente, l’art. 2 Cost. sarebbe violato in quanto la norma impugnata consentirebbe l’esercizio dell’attività d’impresa pur in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana, e così comprometterebbe diritti fondamentali della persona definiti «inviolabili» dalla stessa Carta costituzionale.
Non sarebbe rispettato il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto il legislatore riserverebbe alle imprese di interesse strategico nazionale un ingiustificato privilegio nell’adeguamento agli standard di sicurezza rispetto agli altri operatori economici, esponendo altresì i lavoratori di tali aziende a fattori di rischio più elevato.
Sarebbero violati anche gli artt. 4 e 35, primo comma, Cost., in quanto il diritto al lavoro presuppone condizioni di sicurezza nell’esecuzione della prestazione, che la normativa censurata non assicurerebbe.
Anche l’art. 32, primo comma, Cost., sarebbe inciso, in quanto la disciplina in esame metterebbe in pericolo la vita e l’incolumità individuale del cittadino-lavoratore, senza operare alcun ragionevole bilanciamento con altri diritti coinvolti.
Ancora, la prosecuzione dell’attività d’impresa in un impianto che espone i lavoratori a pericolo di vita, consentita dalla disposizione impugnata alla sola condizione che l’azienda predisponga un progetto per la messa in sicurezza delle aree interessate, non rispetterebbe il principio costituzionale di cui all’art. 41 Cost., che esige che l’attività economica privata si svolga in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
Infine, la prosecuzione dell’attività di impresa determinerebbe il perpetuarsi di una situazione penalmente rilevante – quanto meno ai sensi dell’art. 437 del codice penale e, in caso di incidenti, degli artt. 589 e 590 cod. pen. – compromettendo così il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., che deve ritenersi operante non solo nel potere-dovere di repressione dei reati, ma anche in quello di prevenzione dei medesimi, quale si esplica nell’adozione di misure cautelari reali di carattere preventivo.
2.– In via preliminare occorre osservare che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio e ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate per «sopravvenuta carenza di interesse», determinata dall’abrogazione della disposizione censurata.
2.1.– Per valutare l’eccezione di inammissibilità occorre ricostruire l’anomalo intreccio di interventi normativi che ha interessato la disposizione oggetto del presente giudizio.
A tal proposito si deve in primo luogo osservare che, prima della scadenza del termine per la conversione del decreto-legge n. 92 del 2015, contenente la disposizione in esame, è sopraggiunta la legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), che è legge di conversione di altro decreto-legge: con una prima disposizione (art. 1, comma 2), essa ha abrogato il censurato art. 3 del d.l. n. 92 del 2015 e contestualmente previsto una clausola di salvezza per gli effetti giuridici nel frattempo prodottisi; nello stesso tempo, con l’art. 21-octies, ha reintrodotto la previsione abrogata, nella sua letterale identità.
Dunque, la legge n. 132 del 2015 ha formalmente abrogato e simultaneamente salvaguardato e riprodotto il precetto normativo contenuto nell’impugnato art. 3 del decreto-legge n. 92 del 2015.
La norma introdotta dalla disposizione impugnata ha, pertanto, continuato ininterrottamente a esplicare effetti nell’ordinamento, dalla entrata in vigore del decreto-legge impugnato fino ad oggi, assicurando una copertura legislativa al protrarsi dell’attività d’impresa nello stabilimento ILVA di Taranto, compresa quella dell’altoforno, nonostante l’intervenuto sequestro.
2.2.– Non è, quindi, fondata l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato per sopravvenuta carenza di interesse, dato che la norma oggetto del presente giudizio è rimasta nell’ordinamento senza variazioni di contenuto e senza soluzione di continuità, pur sotto la specie di diversi precetti legislativi concatenati fra loro.
Questa Corte ha già affermato che «la norma contenuta in un atto avente forza di legge vigente al momento in cui l’esistenza della norma stessa è rilevante ai fini di una utile investitura della Corte, ma non più in vigore nel momento in cui essa rende la sua pronunzia, continua ad essere oggetto dello scrutinio alla Corte stessa demandato quando quella medesima norma permanga tuttora nell’ordinamento – con riferimento allo stesso spazio temporale rilevante per il giudizio – perché riprodotta nella sua espressione testuale o comunque nella sua identità precettiva essenziale, da altra disposizione successiva» (sentenza n. 84 del 1996). In tale occasione, la Corte ha inteso sottolineare «la funzione servente e strumentale della disposizione rispetto alla norma», specificando che «è la immutata persistenza di quest’ultima nell’ordinamento ad assicurare la perdurante ammissibilità del giudizio di costituzionalità» (sentenza n. 84 del 1996).
Nel caso ora in esame, la tecnica normativa – a seguito della quale, dopo che è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, è stata solo apparentemente abrogata la disposizione contenente la norma in giudizio (la quale, infatti, ricompariva in un’altra disposizione del medesimo atto legislativo) e sono stati fatti salvi gli effetti pregressi prima ancora che scadesse il termine per la conversione del decreto-legge originario che la conteneva – reca pregiudizio alla chiarezza delle leggi e alla intelligibilità dell’ordinamento, in conseguenza dell’uso del tutto anomalo della legge di conversione. Ai fini della valutazione sull’ammissibilità della questione sollevata deve osservarsi che l’effetto finale è stato quello di assicurare, pur nel succedersi delle disposizioni, una piena continuità normativa della disciplina oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale. Pertanto, in una tale evenienza, il susseguirsi delle disposizioni non fa venir meno la perdurante rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata e non ne pregiudica l’esame nel merito da parte di questa Corte. Diversamente, si consentirebbe al legislatore di dilazionare, ostacolare o addirittura impedire il giudizio di questa Corte, in contrasto con il principio di economia dei giudizi (sent. 84 del 1996) e a scapito della pienezza, tempestività ed effettività del sindacato di costituzionalità delle leggi, compromettendo in modo inaccettabile la tutela di diritti fondamentali, specie se connessi, come nel caso in esame, alla tutela della vita.
2.3.– Posto che, come affermato dalla medesima sentenza n. 84 del 1996 (e da ultimo ribadito dalla sentenza n. 44 del 2018), la Corte costituzionale «giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni», occorre ora chiarire quali siano le disposizioni sulle quali si riverberano gli esiti del sindacato di costituzionalità, alla luce della particolare sequenza di interventi legislativi che hanno riguardato la norma in giudizio.
Sotto questo profilo, il caso odierno si differenzia da quello giudicato con la citata sentenza n. 84 del 1996. Allora la Corte ritenne che la questione potesse essere «trasferita», seppure «in senso figurato», sulla disposizione che veicolava gli effetti della norma nell’ordinamento al momento del giudizio. All’epoca si trattava di un caso di reiterazione di decreti-legge dopo la scadenza del termine per la conversione, con salvezza degli effetti pregressi, secondo una prassi che sarebbe stata di lì a poco censurata dalla Corte stessa con sentenza n. 360 del 1996. Pertanto, con la sentenza n. 84 del 1996, la Corte si pronunciò sulla disposizione che sanava gli effetti del decreto-legge non convertito.
Nel caso che questa Corte è chiamata oggi a giudicare, invece, la disposizione originaria è stata solo apparentemente abrogata prima della scadenza del termine di conversione, con una disposizione che contemporaneamente faceva altresì salvi gli effetti giuridici nel frattempo prodottisi e, dunque, prima che l’originario decreto-legge impugnato decadesse con effetti retroattivi divenendo inapplicabile nel giudizio a quo. Inoltre, diversamente da altri casi, la norma in apparenza abrogata, in realtà, è stata nel contempo trasfusa in altra disposizione di quella medesima legge che ne disponeva l’abrogazione. L’iter seguito dal legislatore è dunque tortuoso e del tutto anomalo: non si tratta, infatti, né di una semplice mancata conversione, né di una reale abrogazione e neppure di una abrogazione con successiva diversa regolamentazione. Nella specie, sotto l’apparenza di una abrogazione, la successione di disposizioni legislative dissimula (attraverso un uso improprio della legge di conversione) una effettiva continuità di contenuti normativi che, traendo origine dalla disposizione iniziale “abrogata”, permangono grazie alla sanatoria e si protraggono nel tempo in virtù dell’articolo che li riproduce. In tale quadro normativo, la norma oggetto del giudizio vive nell’ordinamento in forza di una inscindibile combinazione di disposizioni strettamente interconnesse tra loro. Pertanto, il giudizio di costituzionalità non potrà che investire tutte le disposizioni considerate in combinazione tra loro: vale a dire l’art. 3 del decreto-legge n. 92 del 2015 e gli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge n. 132 del 2015.
3.– Nel merito la questione è fondata.
3.1.– La disposizione impugnata prevede che «l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro […] quando lo stesso di riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori» (art. 3, comma 1). Essa è stata adottata al dichiarato fine di «garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia» (art. 3, comma 1) e intende porsi in linea di continuità con la precedente normativa in materia di esercizio dell’attività di impresa in stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, contenuta nel decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. Tale normativa, esplicitamente richiamata nell’incipit della disposizione in esame, è stata oggetto della decisione di questa Corte n. 85 del 2013 ed è alla luce dei principi ivi stabiliti che la odierna questione di legittimità costituzionale deve essere esaminata.
In tale pronuncia questa Corte ha affermato che «è considerata lecita la continuazione dell’attività produttiva di aziende sottoposte a sequestro, a condizione che vengano osservate […] le regole che limitano, circoscrivono e indirizzano la prosecuzione dell’attività stessa» secondo un percorso di risanamento – delineato nella specie dalla nuova autorizzazione integrata ambientale – ispirato al bilanciamento tra tutti i beni e i diritti costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla salute, il diritto all’ambiente salubre e il diritto al lavoro.
Non può infatti ritenersi astrattamente precluso al legislatore di intervenire per salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’economia nazionale e per garantire i correlati livelli di occupazione, prevedendo che sequestri preventivi disposti dall’autorità giudiziaria nel corso di processi penali non impediscano la prosecuzione dell’attività d’impresa; ma ciò può farsi solo attraverso un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco.
Per essere tale, il bilanciamento deve essere condotto senza consentire «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (sent. n. 85 del 2013). Il bilanciamento deve, perciò, rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati (sentenze n. 63 del 2016 e n. 264 del 2012).
Nel caso allora in giudizio, questa Corte, con la citata sentenza n. 85 del 2013, rigettò la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che il legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento predisponendo la disciplina di cui al citato art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 207 del 2012. In quella ipotesi, infatti, la prosecuzione dell’attività d’impresa era condizionata all’osservanza di specifici limiti, disposti in provvedimenti amministrativi relativi all’autorizzazione integrata ambientale, e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controllo e sanzionatoria.
3.2.– Nel caso oggi portato all’esame di questa Corte, invece, il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita.
Infatti, nella normativa in giudizio, la prosecuzione dell’attività d’impresa è subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un “piano” ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.
Il legislatore concede un termine di trenta giorni per la predisposizione del piano, il quale peraltro può anche essere provvisorio: dunque, manca del tutto la richiesta di misure immediate e tempestive atte a rimuovere prontamente la situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori. Tale mancanza è tanto più grave in considerazione del fatto che durante la pendenza del termine è espressamente consentita la prosecuzione dell’attività d’impresa “senza soluzione di continuità”, sicché anche gli impianti sottoposti a sequestro preventivo possono continuare ad operare senza modifiche in attesa della predisposizione del piano e, quindi, senza che neppure il piano sia adottato. L’unico limite temporale effettivo è posto al comma 2, che stabilisce che l’attività di impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a dodici mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro.
Quanto al contenuto, il piano deve recare «misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio», non meglio definite, neppure attraverso un rinvio, che pure sarebbe stato possibile, alla legislazione in materia di sicurezza sul lavoro. Il mancato riferimento a specifiche disposizioni delle leggi in materia di sicurezza sul lavoro o ad altri modelli organizzativi e di prevenzione lascia sfornito l’ordinamento di qualsiasi concreta ed effettiva possibilità di reazione per le violazioni che si dovessero perpetrare durante la prosecuzione dell’attività.
Nella formazione del piano non è prevista alcuna partecipazione di autorità pubbliche, le quali devono essere informate solo successivamente. Tale comunicazione assume la forma di una mera comunicazione-notizia, per quanto riguarda l’autorità giudiziaria procedente (art. 3, comma 3) e si traduce nell’attribuzione di un generico potere di monitoraggio e ispezione per quanto riguarda INAIL, ASL e Vigili del Fuoco; tale potere, peraltro, si limita alla verifica della corrispondenza tra le misure aggiuntive indicate nel piano e quelle in concreto attuate dall’impresa, così da renderne ambigua e indeterminata l’effettiva possibilità di incidenza (art. 3, comma 4).
3.3.– Considerate queste caratteristiche della norma censurata, appare chiaro che, a differenza di quanto avvenuto nel 2012, il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.).
Il sacrificio di tali fondamentali valori tutelati dalla Costituzione porta a ritenere che la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona.
In proposito questa Corte ha del resto già avuto occasione di affermare che l’art. 41 Cost. deve essere interpretato nel senso che esso «limita espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la “sicurezza” del lavoratore» (sentenza n. 405 del 1999). Così come è costante la giurisprudenza costituzionale nel ribadire che anche le norme costituzionali di cui agli artt. 32 e 41 Cost. impongono ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori (sentenza n. 399 del 1996).
4.– Considerato assorbito ogni ulteriore profilo e chiarite quali siano le disposizioni sulle quali si riverberano gli esiti del sindacato di costituzionalità per le ragioni esposte al precedente punto 2.3, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge n. 92 del 2015 e degli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge n. 132 del 2015.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. [/panel]
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Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) e degli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente Marta CARTABIA, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2018.
Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA [/panel]
Aggiornamento abilitazioni attrezzature in scadenza il 12 marzo 2018
Il 12 marzo 2018 scadono i termini previsti per l’adempimento dell’obbligo di aggiornamento delle Abilitazioni Attrezzature di cui al comma 5 dell’art. 73 del D. Lgs n. 81/08, le cui modalità sono state definite dall’Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012.
Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012 - punto 9. Riconoscimento della formazione pregressa
[panel]9.1. Alla data di entrata in vigore del presente accordo sono riconosciuti i corsi già effettuati che, per ciascuna tipologia di attrezzatura, soddisfino i seguenti requisiti:
a) corsi di formazione della durata complessiva non inferiore a quella prevista dagli allegati, composti di modulo teorico, modulo pratico e verifica finale dell’apprendimento; b) corsi, composti di modulo teorico, modulo pratico e verifica finale dell’apprendimento, di durata complessiva inferiore a quella prevista dagli allegati a condizione che gli stessi siano integrati tramite il modulo di aggiornamento di cui al punto 6, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente accordo; c) corsi di qualsiasi durata non completati da verifica finale di apprendimento a condizione che entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente accordo siano integrati tramite il modulo di aggiornamento di cui al punto 6 e verifica finale dell’apprendimento.
Il punto 9.2 di tale accordo è stato modificato dall’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 sui percorsi formativi per RSPP e ASPP, rettificando un errore di stesura dell’accordo attrezzature e chiarendo che gli attestati di abilitazione hanno una validità di 5 anni dal 12 marzo 2013 (data di entrata in vigore dell’accorso attrezzature).[/panel]
Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 - punto 12.11 Modifiche all'accordo per l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, ai sensi dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (53/CSR del 22 febbraio 2012).
[panel][...]Il punto 9.2 dell'Accordo Stato-Regioni del 22/02/2012 è sostituito dal seguente:
Gli attestati di abilitazione conseguenti ai corsi di cui al punto 9.1 hanno validità di 5 anni a decorrere rispettivamente dalla data di entrata in vigore del presente Accordo per quelli di cui alla lettera a), dalla data di aggiornamento per quelli di cui alla lettera b) e dalla data di attestazione di superamento della verifica finale di apprendimento per quelli di cui alla lettera c).[/panel]
Pertanto, per ciascuna Abilitazione conseguita in sede formativa, i datori di lavoro devono far seguire un corso di aggiornamento di quattro ore ai propri operatori, entro il 12 marzo 2018.
Cassazione Civile Sent. Sez. Lav. 19 dicembre 2017 n. 30437
Caduta al suolo del neo assunto. Nessun comportamento abnorme
Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 19/12/2017
[panel]Ritenuto
che la Corte d'Appello di Caltanissetta, con sentenza n. 416/2011, rigettava l'appello proposto da E.S., titolare di omonima impresa edile, avverso la sentenza del tribunale di Caltanissetta ed in parziale riforma elevava a € 52.272,48 l'ammontare della somma dovuta dall'appellante in favore dell'Inail a titolo di regresso ex artt. 10 e 11 d.p.r. n. 1124/1965 per infortunio sul lavoro avvenuto in data 18 gennaio 1999 ai danni di M.A., allorché quest'ultimo alle dipendenze della predetta impresa, durante i lavori di ristrutturazione di un vecchio immobile sito in Trapani, ebbe a cadere al suolo da una impalcatura sulla quale era salito per verificare la stabilità del ponteggio esistente; che a fondamento della sentenza, per quanto qui interessa, la Corte sosteneva che gravasse sul titolare dell'impresa il preciso obbligo non solo di fornire, ma di assicurarsi che il lavoratore facesse effettivo uso del casco e della cintura di sicurezza, aggiungendo che non si potesse ritenere che il comportamento posto in essere dal M.A. (salire sulla parte non calpestabile del ponteggio e appoggiare il piede sulla mantovana) fosse connotato da abnormità e/o imprevedibilità; che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione E.S. con tre motivi, illustrati da memoria, mentre l'Inail ha resistito con controricorso;[/panel]
[panel]Considerato
che il primo motivo deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 10 e 11 d.p.r. 1124/1965, artt. 2697, 2729, 2087, 1218, c.c., insussistenza di prova in ordine al nesso causale, art. 115, 116 c.p.c. Inammissibilità dell'azione di regresso. Articolo 2087 c.c. Error in iudicando (in relazione all'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c.). Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del fatto reato (art. 360 numero 3 e 5); lamenta il ricorrente che la Corte non abbia accertato se nell'occorso sussistesse o meno un'ipotesi di fatto reato penalmente perseguibile d'ufficio, posto che il giudizio penale si era concluso con un provvedimento di archiviazione; che inoltre il giorno dell'evento M.A. si era recato sui luoghi di lavoro per un sopralluogo volto alla verifica della stabilità del ponteggio da smontare senza ricevere nessuna direttiva dal datore di lavoro, come comprovato dalla testimonianza di A. dalla quale discendeva che il comportamento del lavoratore era da porsi come causa esclusiva dell'evento; [...] che per il resto i motivi sollevano, oltretutto in modo contraddittorio (posto che vi si afferma che il datore non ha dato direttive al lavoratore), questioni di merito già correttamente esaminate, senza vizi logici e giuridici, dalla Corte competente, e che non sono suscettibili di esame da parte di questa corte di legittimità, alla quale il ricorso domanda un generale riesame del materiale probatorio al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto e senza neppure denunciare effettivi vizi di motivazione ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c. applicabile ratione tempore il quale postula l'omessa, insufficiente o contraddittoria valutazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio; che le stesse censure sono peraltro infondate nel merito, atteso che l'infortunio è avvenuto sul luogo di lavoro e nella esecuzione di una attività lavorativa in relazione alla quale lo stesso datore di lavoro, il quale accampa come propria giustificazione di "non avere impartito nessuna direttiva al lavoratore", sostiene nel contempo di avergli fornito i necessari mezzi di sicurezza; mentre egli, oltre che fornire i presidi di protezione, aveva il preciso obbligo di individuare anzitutto ogni situazione di rischio presente sul luogo di lavoro, di informare tempestivamente e dettagliatamente il lavoratore e di sottoporlo alla opportuna vigilanza in ordine al corretto impiego dei medesimi mezzi di prevenzione, essendo tra l'altro al suo primo giorno di lavoro; che salire su una parte non calpestabile del ponteggio ed appoggiare un piede su una mantovana non costituisce comportamento connotato da abnormità e/o imprevedibilità in quanto non esorbitava dall'attività lavorativa; posto che, come affermato nell'immediatezza dei fatti dal testimone A., il lavoratore infortunato era salito sul ponteggio, in quella parte ove erano sistemate delle mantovane costituite da due tavole poste al riparo dei calcinacci, proprio al fine di procedere allo smontaggio delle stesse; in quanto il punteggio esistente doveva essere smontato, perché già ritenuto non conforme alle esigenze di sicurezza; e ciò richiedeva, evidentemente, l'impiego di una ulteriore attenzione e di una supplementare cautela da parte del datore di lavoro, garante della sicurezza, il quale ha invece adibito ad una attività particolarmente pericolosa un lavoratore, come il M.A., al primo giorno di assunzione ("appena assunto"), senza dargli adeguate informazioni e vincolanti prescrizioni; essendo sufficiente osservare a tal fine che lo stesso teste A., ha affermato testualmente, in relazione al ponteggio in questione, che: "non potevamo immaginare che l'impalcatura non fosse stabile, anche perché dava l'impressione che fosse stabile, né c'era segnaletica che avvisasse della sua pericolosità"; che in conclusione la sentenza impugnata si sottrae a tutte le censure fatte valere col ricorso che deve essere quindi rigettato; che le spese processuali seguono la soccombenza come da dispositivo;[/panel]
[panel]P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 3700 di cui € 3500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese aggiuntive ed oneri accessori. Roma, così deciso nella adunanza camerale del 21.9.2017[/panel]
Infortunio di un lavoratore irregolare con una sega circolare elettrica
Responsabilità del committente, direttore tecnico di cantiere e responsabile della sicurezza
Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 57187 Anno 2017
Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 25/10/2017
[panel]Ritenuto in fatto
1. La Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, appellata da M.G.C.A., con la quale costui era stato condannato - per il reato di cui all'art. 590 co. 1 e 3 cod. pen. in relazione all'art. 90 d.lgs. 81/2008, ai danni del lavoratore E.O.T. - alla pena sospesa di mesi cinque di reclusione, oltre al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile, con riconoscimento di una provvisionale di euro 15.000,00. 2. Si è contestato al M.G.C.A., nella qualità di Presidente del C.d.A. di GE.MA. s.r.l., impresa committente ed esecutrice principale delle opere edili, di avere cagionato al predetto E.O.T., lavoratore con mansioni di manovale, lesioni personali gravi per colpa generica, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, e specifica, per inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare: per non aver verificato l'idoneità tecnico-professionale del lavoratore in relazione alle funzioni e ai lavori da affidargli con le modalità di cui all'allegato XVII del d.lgs. 81/2008; e per non aver verificato l'idoneità delle attrezzature utilizzate. In particolare, E.O.T., il giorno 19/04/2010, mentre era impegnato nella posa in opera di un battiscopa in quel cantiere, durante il taglio di un listello di legno con l'utilizzo di una sega circolare elettrica, si era avvicinato oltre misura con la mano destra alla lama circolare, procurandosi una ferita al terzo dito della mano dx e ai tendini estensori e al II dito della stessa mano, da cui era derivata una malattia della durata di gg. 295, con un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un ugual periodo di tempo. 3. L'imputato ha proposto ricorso personalmente, formulando due motivi. Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla valutazione del compendio probatorio. La parte contesta la prova di due circostanze, vale a dire l'esistenza nel cantiere del macchinario sprovvisto di protezione e l'impiego del lavoratore al suo interno, essendo emerso a tal proposito che il M.G.C.A. era intervenuto per allontanarlo dai luoghi. Cosicché l'infortunio sarebbe ricollegabile ad una condotta inopinabile del lavoratore, esorbitante dal procedimento lavorativo, cui egli non era addetto, poiché non autorizzato a svolgerlo. Con il secondo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale, a causa dell'errata ricostruzione dei fatti, che la parte ritiene fondata su assunti inesistenti. Osserva il ricorrente che, in base al principio di affidamento, devono essere individuati specifici limiti alla responsabilità datoriale, che sarebbe altrimenti attribuita in maniera automatica, trasformando il principio di garanzia in una forma di responsabilità oggettiva.[/panel]
[panel]Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile. 2. La Corte d'appello ha ritenuto che l'imputato, in qualità di committente e responsabile della sicurezza del cantiere, avesse l'onere di assicurarsi, non soltanto prima, ma anche durante lo svolgimento dei lavori, del rispetto delle norme di sicurezza da parte di tutti coloro che operavano all'interno dello stesso, ivi compresi i lavoratori alle dipendenze delle ditte subappaltatrici, ancorché non regolarmente assunti da quest'ultime. Verifica che, secondo la Corte ambrosiana, avrebbe dovuto riguardare anche le attrezzature appartenenti a quelle ditte nel momento in cui esse venivano utilizzate in cantiere, osservando che l'onere di informazione nei confronti degli operai si impone a maggior ragione rispetto ai dipendenti di altre ditte che utilizzino o possano anche solo accedere a macchinari della società committente. Cosicché, secondo la Corte territoriale, anche a voler ritenere accertato che la p.o. fosse alle dipendenze della ditta E.M., ne conseguirebbe solo la configurabilità di una concorrente responsabilità del presunto datore di lavoro, la posizione di garanzia ricoperta dall'imputato essendo riconducibile comunque alle qualità di legale rappresentante dell'impresa committente, di direttore tecnico e di responsabile del cantiere. Quanto alla apertura del cantiere e alla ritenuta persistenza della posizione di garanzia ricoperta dall'Imputato, la Corte di merito ha rilevato che esso doveva considerarsi ancora tale, ad onta della formale presentazione della dichiarazione di fine lavori del 04/04/2010, nella quale infatti il M.G.C.A., in qualità di rappresentante di GE.MA. s.r.l., dava atto della esistenza di lavori da ultimare, diffidando in data 13/04/2010 la ditta E.M. ad ultimare le opere. Tra i lavori ancora da eseguire, oltre ai lavori idraulici ed elettrici certamente in corso, la Corte di merito ha ritenuto doversi annoverare anche la posa dei battiscopa, cui era intento il lavoratore E.O.T. al momento dell'infortunio. In merito, poi, al presunto intervento del M.G.C.A. per allontanare la p.o. dal cantiere e alla conseguenza che la parte appellante vi ha riconnesso (che l'infortunio fosse cioè da ricollegarsi alla inopinabile iniziativa del E.O.T., del tutto eccentrica rispetto al ciclo lavorativo), secondo quanto riferito in sede testimoniale (il riferimento è al teste a difesa R., il quale ha riferito di avere visto l'imputato dialogare con due uomini ai quali stava intimando di allontanarsi dal cantiere e di avere poi notato i due nell'atto di andarsene), la Corte d'appello ha ritenuto che il nesso eziologico non sarebbe stato interrotto da un eventuale intervento dell'imputato nei termini anzidetti, la cui inefficacia ha ricollegato alla circostanza che le stesse persone che il teste riferiva essersi allontanate avrebbero ciononostante portato avanti un'attività lavorativa, utilizzando un macchinario molto rumoroso, trovando così conferma l'assunto che il M.G.C.A. non aveva posto in essere quei presidi e quelle cautele necessari ad assicurarsi che nell'area dì propria competenza non operassero persone non regolarmente assunte, non formate né informate. Conclusivamente, poi, per quanto attiene alla disponibilità della sega circolare sprovvista dei presidi di sicurezza, la Corte di merito ha rilevato la solidità del quadro probatorio in base al quale il Tribunale aveva ritenuto il macchinario di pertinenza della GE.MA. s.r.l., rilevando risolutivamente la non incidenza della circostanza sulla responsabilità ravvisata in capo all'imputato, i cui oneri non sarebbero venuti meno nell'ipotesi in cui lo strumento fosse appartenuto ad altra ditta operante in quel cantiere. 3. I motivi sono entrambi manifestamente infondati. 3.1. Le questioni che il ricorso ripropone al vaglio di legittimità si polarizzano attorno a censure, con le quali, in definitiva, parte ricorrente contesta il ragionamento probatorio condotto in sede di merito, con riferimento a due profili principali: l'affidamento riposto dal M.G.C.A. sull'efficacia del suo presunto intervento per allontanare due soggetti, uno dei quali dovrebbe essere stata la p.o., con conseguente interruzione del nesso eziologico tra le omissioni contestate e l'evento, che sarebbe conseguenza della sola condotta del lavoratore, del tutto eccentrica rispetto al ciclo lavorativo in corso; la non pertinenza del macchinario sprovvisto dei presidi di sicurezza alla GE.MA. s.r.l., anche alla luce dell'esito positivo della causa introdotta dinnanzi al giudice del lavoro. 3.2. A questo punto s'impone una premessa di ordine generale. In caso di giudizio conforme di colpevolezza, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei, rispetto a quelli utilizzati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità (Cass. pen., Sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994), Rv. 197250; Sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012), Rv. 252615). Va pure ribadito che la funzione tipica dell'impugnazione è quella di una critica argomentata al provvedimento che si realizza, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), attraverso la presentazione di motivi che devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta [cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584]. Quanto alla natura del sindacato di legittimità, poi, avuto riguardo alla invocata rivalutazione del compendio probatorio, anche di natura dichiarativa, pare opportuno rammentare che gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099). [...] 4.1. Nello specifico, però, va intanto considerato che le contestazioni formulate a carico del M.G.C.A. sono da ricondursi ad una duplice posizione di garanzia, quale legale rappresentante cioè della ditta committente dei lavori e quale direttore tecnico del cantiere e responsabile per la sicurezza al suo interno, posizioni invero neppure contestate in ricorso. Cosicché, sul punto, pare sufficiente osservare come, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la figura del direttore tecnico dei lavori è inquadrabile nel modello legale del dirigente (cfr. sez. 4 n. 39606 del 28/06/2007, Rv. 237879), soggetto, cioè, preposto alla direzione tecnico-amministrativa dell'azienda con responsabilità diretta dell'andamento del servizio, cui spetta, in definitiva, di predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell'impresa e stabilite dalle norme, di controllare le modalità del processo di lavorazione, vigilare, per quanto è possibile, sulla regolarità antinfortunistica delle lavorazioni (cfr. sez. 4 n. 1345 dell'01/07/1992, Rv. 193034). 4.2. La posizione di garanzia ricoperta dall'imputato, inoltre, è ricollegata anche alla qualità di committente e responsabile dei lavori in esame, in un cantiere nel quale erano impiegate più ditte e più lavoratori dipendenti di esse - anche irregolari - come accertato in sede di merito. Alla pag. 20 della sentenza appellata, il Tribunale ha dato opportunamente atto della circostanza che il M.G.C.A. aveva ammesso di conoscere T.S., dipendente irregolare della ditta E.M., parimenti coinvolta in quei lavori edili, il quale aveva peraltro dichiarato di aver portato con sé l'amico E.O.T. il giorno dell'infortunio proprio su richiesta del M.G.C.A. (cfr., quanto al contenuto della testimonianza del T.S., pagg. 7 e 8 della sentenza appellata). Peraltro, non risulta che l'imputato avesse nominato un coordinatore per l'esecuzione dei lavori, a norma dell'art. 90 co. 4 d. lgs. 81 del 2008, pur trattandosi di cantiere nel quale era prevista la presenza contemporanea di più imprese esecutrici. Pertanto, egli aveva lo specifico onere di procedere alle verifiche di cui all'art. 90 co. 9 stesso d.lgs. e, tra queste, quella concernente proprio la idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, di quelle esecutrici e dei lavoratori autonomi, in relazione alle funzioni e ai lavori da affidare, con le modalità di cui all'allegato XVII. 4.3. Infine, con riferimento alla pretesa interruzione del nesso eziologico, una volta accertato che la p.o. era irregolarmente impiegata in quel cantiere e che l'infortunio è avvenuto nel corso di una lavorazione inclusa a pieno titolo nel ciclo lavorativo, avvalendosi di una strumentazione presente in cantiere e priva dei presidi di sicurezza, si rileva che la condotta colposa del lavoratore può far venire meno la responsabilità del soggetto che ricopre la posizione di garanzia solo ove egli abbia tenuto un vero e proprio contegno abnorme, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313). L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato In modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). In conclusione, tale comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094). 5. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, a norma dell'alt. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).[/panel]
[panel]P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. Deciso in Roma il giorno 26 ottobre 2017[/panel]
Lo strumento ECETOC's Targeted Risk Assessment calcola il rischio di esposizione dei lavoratori, dei consumatori e dell'ambiente ai prodotti chimici.
È stato identificato dal regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH) della Commissione europea come approccio preferenziale per la valutazione dei rischi per la salute dei consumatori e dei lavoratori (ECHA, 2010 a, b).
In risposta ai riscontri ricevuti dagli utenti del TRA, ECETOC ha ulteriormente migliorato la quota del consumatore del modello inserendo la capacità di tenere conto degli usi infrequenti dei prodotti di consumo. Le modifiche sviluppate in collaborazione con l'ECHA si trovano nella versione corrente 3.1 del TRA e si trovano anche nella versione 2.3 di Chesar ( https://chesar.echa.europa.eu ).
Una spiegazione dettagliata della motivazione delle modifiche è contenuta in un addendum al rapporto tecnico ECETOC 114 (pubblicato come rapporto tecnico ECETOC n. 124) che fornisce ulteriori chiarimenti su come ECETOC ha applicato "fattori di trasferimento" nella previsione di TRA di orale, dermico e le esposizioni di inalazione. Questi miglioramenti ora consentono di essere adeguatamente elaborati le informazioni contenute negli sviluppi come i DUCC specifici determinanti per l'esposizione al consumo ( http://www.ducc.eu/Activities.aspx ).
L'aggiornamento alla versione 3.1 è stato utilizzato come un'occasione per includere una lista specifica di rilascio ambientale aggiornato (SpERC) e miglioramenti delle funzionalità offrendo l'esportazione e l'importazione di singoli set di dati di sostanze. La versione 3.1 è disponibile sia come modello integrato che come versione standalone per la parte consumer e può essere scaricata insieme con guide aggiornate per questi strumenti e rapporti tecnici ECETOC TRA.
ECHA. 2010 a. Guida tecnica REACH sui requisiti di informazione e sulla valutazione della sicurezza chimica, Capitolo R14: Estimazione dell'esposizione professionale. Agenzia europea delle sostanze chimiche, Helsinki, Finlandia.
ECHA. 2010 b. Guida ai requisiti di informazione e valutazione della sicurezza chimica, Capitolo R15: Valutazione del rischio di consumo (versione 2, aprile 2010). Agenzia europea delle sostanze chimiche, Helsinki, Finlandia. Addendum a TR114: Base tecnica per il TRA v3.1 (giugno 2014)
Fonte: ECETOC European Centre for Ecotoxicology and Toxicology Of Chemicals
Rischio chimico negli ambienti di lavoro ed il Regolamento CLP
Dal 1° Giugno l'armonizzazione
A partire dal 1 Giugno 2015 il Regolamento (CE) 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio (CLP) sarà la sola normativa vigente per la classificazione e l’etichettatura delle sostanze chimiche e delle miscele.
Le valutazioni dei rischi dovranno essere aggiornate sulla base dei pericoli e degli scenari previsti dalla nuova Scheda Dati di Sicurezza (SDS alias MSDS), recependo il cambiamento adeguandosi ai nuovi standard di classificazione delle sostanze e miscele.
Le schede di dati di sicurezza sono un metodo efficace e bene accettato per fornire ai destinatari informazioni su sostanze e miscele all’interno dell’UE e sono diventate parte integrante del sistema di cui al regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).
Le prescrizioni iniziali del REACH relative alle schede di dati di sicurezza sono state ulteriormente adeguate affinché tengano conto delle norme per le schede di dati di sicurezza stabilite dal Sistema globale armonizzato (GHS) e dell’attuazione di altri elementi del GHS nella normativa della UE introdotti dal regolamento (CE) n. 1272/2008 (CLP) mediante un aggiornamento dell’allegato II del REACH (in appresso ”Revisione dell’allegato II”).
Protocollo di intesa per la tutela della salute lavoratori negli ambienti confinati / Regione Toscana 2023
ID 20377 | 11.09.2023 / In allegato
Approvazione schema “Protocollo di intesa per la tutela della salute e la prevenzione degli infortuni dei lavoratori negli ambienti confinati e/o a possibile sospetto di inquinamento” (Delibera Regione Toscana n.783 del 10 luglio 2023)
In allegato:
- Delibera RT n.783 del 10 luglio 2023 - Allegato A1 - Comunicazione presenza ambienti confinati - Allegato A2 - Comunicazione lavori ambienti confinati - Allegato A - Schema protocollo tutela salute e prevenzione infortuni dei lavoratori negli ambienti confinati
[panel]Schema protocollo tutela salute e prevenzione infortuni dei lavoratori negli ambienti confinati
Art. 1 Premesse
1. Le premesse costituiscono parte integrante del presente protocollo d’intesa, di seguito chiamato “Protocollo”.
Art. 2 Soggetti incaricati e finalità del protocollo
1. I soggetti firmatari del presente atto convengono che:
a) i soggetti incaricati delle comunicazioni per l’individuazione in via preventiva, degli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento presenti sul territorio regionale e delle attività lavorative in essi svolte, sono i datori di lavoro/committenti che si avvalgono di propri addetti o di altre aziende esecutrici o di lavoratori autonomi in conformità di quanto previsto dal DPR 177/2011;
b) saranno trasmesse dai soggetti sopra individuati due comunicazioni necessarie alla conoscenza degli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento in via preventiva per l’approntamento di un pronto ed efficace intervento di soccorso, coordinato fra i Vigili del fuoco e gli operatori del soccorso sanitario, da attivare attraverso il Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), qualora si verificassero incidenti in tali ambienti;
c) le comunicazioni preventive di cui agli allegati n. 1 e 2 del presente protocollo costituiscono per i datori di lavoro/committenti un adempimento idoneo a realizzare un’efficiente ed efficace organizzazione dei necessari rapporti con i servizi pubblici in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza, secondo quanto previsto dall’art. 43 c. 1 lett. a) del D. Lgs 81 del 2008 e dall’art. 3 c. 3 del DPR 177/2011;
d) l’ invio telematico attraverso il portale del Sistema Informativo della Prevenzione Collettiva (SISPC) dell’allegato n. 1 “Comunicazione presenza ambiente confinato o a possibile sospetto di inquinamento” e n. 2 “Comunicazione preventiva esecuzione lavori in ambienti confinati o a possibile sospetto di inquinamento”, si avvale dell’uso diretto delle interfacce applicative che consentono l’immissione controllata dei dati, favorendo altresì il loro riutilizzo per la conoscenza del tessuto produttivo e per la predisposizione di interventi mirati per la prevenzione dei fenomeni infortunistici nonché per lo svolgimento di attività formative e informative mirate a cura delle PARTI;
e) scopo ulteriore del presente Protocollo è quello di promuovere iniziative di informazione, formazione e assistenza in materia di lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati (artt. 66 e 121Dlgs 81/2008, art. 1 del DPR 177/2011), nonché di incentivare e monitorare l’utilizzo delle comunicazioni preventive meglio descritte al successivo art. 3.
Art. 3 Procedure e allegati
1. Al fine del raggiungimento di un elevato grado di efficienza e tempestività del soccorso in caso di incidente è necessaria una conoscenza preventiva della presenza di ambienti confinati e/o a sospetto di inquinamento, delle loro caratteristiche e delle imprese che vi eseguono le lavorazioni.
Pertanto è richiesta la compilazione e l’invio telematico delle schede tecniche di cui agli allegati 1 e 2 del presente protocollo, che saranno predisposte per la compilazione sul portale del Sistema Informativo della Prevenzione Collettiva (SISPC), ove sarà possibile trovare tutte le relative informazioni per l’accesso al sistema:
a) l’Allegato 1 - scheda tecnica “Comunicazione presenza ambiente confinato e/o a possibile sospetto di inquinamento” riguarda la descrizione dell’ambiente confinato e/o a possibile sospetto di inquinamento individuato all’interno di un luogo di lavoro, riportando con tutte le informazioni sulle caratteristiche fisiche e di possibile inquinamento che si rendano necessarie per un eventuale intervento di soccorso. Il datore di lavoro/committente comunica la presenza nella propria azienda di un ambiente confinato e/o a possibile sospetto di inquinamento e le sue caratteristiche attraverso l’invio telematico della predetta scheda tecnica, con le modalità specificate al primo comma, invio da aggiornare ogni qualvolta vi sia una variazione dei dati precedentemente trasmessi. L’ambiente confinato deve comunque essere indicato nel DVR sulla base di quanto indicato dalla normativa vigente.
b) l’Allegato 2 – scheda tecnica “Comunicazione preventiva esecuzione lavori in ambienti confinati e/o a possibile sospetto di inquinamento”, è comprensivo di tutte le informazioni relative ai tempi, alle modalità dei lavori che debbano svolgersi e dei dati relativi alle imprese e ai lavoratori che intervengono in tali ambienti. Questo per permettere una verifica delle certificazioni necessarie per l’espletamento di tali lavorazioni ai fini della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e per l’approntamento delle modalità e dei mezzi necessari per un pronto ed efficace intervento in caso di necessità. Quando sono in programma lavorazioni all’interno di ambienti confinati e/o a possibile inquinamento, il datore di lavoro/committente comunica, almeno tre giorni prima del loro inizio, salvi i casi di necessità e di urgenza che richiedano interventi tempestivi e/o non programmabili, le informazioni di cui sopra attraverso l’invio telematico della predetta scheda tecnica, con le modalità specificate all’art. 2, c. 2. In caso di lavorazioni ripetute ciclicamente negli ambienti confinati e/o a possibile sospetto di inquinamento, la comunicazione di cui all’Allegato 2 può essere inviata una sola volta specificando la tempistica con cui avvengono le attività lavorative. Tale comunicazione dovrà essere nuovamente trasmessa in caso di modifica delle caratteristiche ambientali, delle possibili sostanze inquinanti e/o dell’intervento da realizzare dichiarate nell’invio precedente.
2. L’allegato 1 e l’allegato 2 costituiscono parte integrante e sostanziale del presente protocollo.
Art. 4 – Impegni delle PARTI
1. Allo scopo di dare attuazione alle finalità stabilite, i soggetti firmatari del presente atto si impegnano ciascuno per la propria competenza, nel seguente modo:
a) Direzione Regionale Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario, Direzione regionale dei Vigili del Fuoco, nonché le sue articolazioni territoriali rappresentate dai Comandi provinciali hanno accesso ai format delle comunicazioni di cui all’Allegato 1 e 2, che sono inseriti su una sezione dedicata di SISPC dalle imprese o titolari di tali ambienti, al fine di costruire una banca dati contenente localizzazione, caratteristiche e tipi di inquinanti negli ambienti confinati e/o a possibile inquinamento e le imprese/lavoratori che vi hanno accesso; Utilizzano le comunicazioni per l’approntamento di un pronto ed efficace intervento di soccorso coordinato, attraverso il Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), qualora si verificassero incidenti in tali ambienti. Definiscono le procedure coordinate per gli scenari possibili al verificarsi di un incidente, da attuare con i datori di lavoro tenendo conto delle caratteristiche fisiche dell’ambiente e dei potenziali inquinanti, da attivare eventualmente tramite Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112)
b) Regione Toscana
Regione Toscana, in collaborazione con gli altri Enti, promuove l’informazione e la formazione relativa alla sicurezza degli ambienti confinati e/o a possibile rischio di inquinamento. Promuove altresì l’organizzazione di corsi specifici rivolti ai soggetti sottoscrittori del presente protocollo e ai datori di lavoro/committenti per gli adempimenti discendenti da quest’ultimo anche per ciò che concerne le modalità di compilazione e trasmissione attraverso SISPC delle comunicazioni di cui all’art. 3. Qualora vengano ritenute necessarie, potranno essere valutate ulteriori azioni propositive e/o correttive da mettere in atto.
c) Direzione Regionale Vigili del Fuoco, Aziende USL Toscana-Servizi Prevenzione, Igiene sicurezza nei luoghi di lavoro (PISLL), Ispettorato Interregionale del Lavoro-Centro
Gli operatori della Direzione Regionale Vigili del Fuoco e dei Comandi VV.F. territoriali, dei Servizi PISLL delle Aziende USL, e dell’ Ispettorato Interregionale del Lavoro-Centro, se rilevano la presenza di ambienti confinati e/o a sospetto di inquinamento nel corso dello svolgimento di attività di vigilanza, promuovono l’invio delle comunicazioni di cui agli allegati 1 e 2, in ottemperanza di quanto previsto all’art. 43 comma 1 lettera a) del D. Lgs. 81/2008.
d) Associazioni di categoria e ordini professionali
Le Associazioni di categoria e gli ordini professionali si impegnano, relativamente ai loro iscritti, a diffondere e promuovere l’invio delle comunicazioni di cui agli Allegati 1 e 2 da parte del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 3 del presente protocollo, quale idoneo adempimento di quanto previsto dalla normativa vigente in riferimento all’organizzazione dei necessari rapporti con i servizi pubblici in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza. Si impegnano a diffondere l’informativa sulle procedure di richiesta di soccorso di cui al punto 4.1, da attivare tramite Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), stabilite in modo coordinato fra i Vigili del Fuoco e gli operatori del soccorso sanitario. Si impegnano a supportare i datori di lavoro/committenti fornendo assistenza per la compilazione e trasmissione attraverso SISPC delle comunicazioni di cui all’art. 3.
e) Cgil, Cisl e Uil
Cgil, Cisl e Uil si impegnano a svolgere attività di promozione dell’invio delle comunicazioni di cui agli allegati 1 e 2, anche attraverso il coinvolgimento attivo degli RLS aziendali e gli RLST di settore. Si impegnano a diffondere l’informativa sulle procedure di richiesta di soccorso di cui al punto 4.1, da attivare tramite Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), stabilite in modo coordinato fra i Vigili del Fuoco e gli operatori del soccorso sanitario.
Art. 5 Oneri
1. Le attività oggetto del presente Protocollo non comportano alcun onere finanziario per Regione Toscana.
Art. 6 Trattamento dei dati personali
1. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario, della Toscana si danno reciprocamente atto:
a) di conoscere ed applicare, nell’ambito delle proprie organizzazioni, tutte le norme vigenti ed in fase di emanazione in materia di trattamento dei dati personali, sia primarie che secondarie, rilevanti per la corretta gestione del Trattamento, ivi compreso il Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito “GDPR”);
b) che lo scambio di dati oggetto del presente protocollo risponde ai principi di liceità determinati da specifiche norme ed è conforme alle disposizioni, alle linee guida e alle regole tecniche previste per l’accesso, la gestione e la sicurezza dei dati dalla normativa in materia di amministrazione digitale (in specifico, d.lgs. 82/2005 e relative linee guida e regole tecniche) e dalle altre norme di riferimento richiamate nella premessa del presente atto;
c) che lo scambio dei dati tra Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana avviene tramite SISPC. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana tratteranno in via autonoma i dati personali oggetto dello scambio per trasmissione o condivisione, per le finalità connesse all’esecuzione del presente protocollo. I predetti soggetti, in relazione agli impieghi dei predetti dati nell’ambito della propria organizzazione, assumeranno, pertanto, la qualifica di Titolare autonomo del trattamento ai sensi dell’articolo 4, nr. 7) del GDPR, sia fra di loro che nei confronti dei soggetti cui i dati personali trattati sono riferiti. Estar assume la qualifica di responsabile del trattamento ai sensi dell’articolo 4, nr. 8) del GDPR.
2. A tal fine Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana si impegnano a che:
a) i dati personali che saranno forniti per le finalità del presente protocollo siano esatti e corrispondano al vero, esonerandosi reciprocamente da qualsivoglia responsabilità per errori materiali di compilazione, ovvero per errori derivanti da un’inesatta imputazione dei dati stessi negli archivi elettronici e cartacei; b) i dati personali saranno conservati in forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità di cui al citato art. 2;
c) ciascuna parte, in qualità di titolare, provvederà ad individuare il proprio personale autorizzato e ad istruirlo , dandone informazione all'altra parte;
d) ciascuna parte potrà trattare e registrare i dati ad essa comunicati ai fini per le finalità del presente protocollo;
e) sia consentito agli interessati l’esercizio dei diritti di cui agli articoli 15-22 del Regolamento UE/2016/679 presso ciascuna delle parti, che ne definiranno le modalità di esercizio, nel rispetto
della normativa in materia di protezione dei dati personali.
f) i dati personali oggetto del trattamento sono: - tipologia dei dati personali: dati comuni; - categorie degli interessati: titolari imprese, rappresentanti legali, personale dipendente ditte interessate; - tipologia del formato dei dati: testo.
3. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana dichiarano che le misure di sicurezza messe in atto al fine di garantire lo scambio sicuro dei dati sono adeguate al contesto del trattamento. Al contempo, si impegnano a mettere in atto ulteriori misure qualora fossero da almeno una delle due parti ritenute insufficienti quelle in atto e ad applicare misure di sicurezza idonee e adeguate a proteggere i dati personali trattati in esecuzione del presente accordo, contro i rischi di distruzione, perdita, anche accidentale, di accesso o modifica non autorizzata dei dati o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità ivi indicate.
4. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario si impegnano a far sì che l’accesso ai dati personali oggetto dello scambio sia consentito solo a coloro e nella misura in cui ciò sia necessario per l’esecuzione del protocollo di intesa, e che l’uso dei dati personali da parte del soggetto utilizzatore rispetti gli stessi impegni assunti dal produttore riguardo alla conformità legale del trattamento e la sicurezza dei dati trattati con misure adeguate alla tipologia dei dati degli interessati e dei rischi connessi.
5. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana individuano un proprio referente tecnico, responsabile dell’accesso, della gestione e della sicurezza dei dati e dell’applicazione delle relative norme, linee guida e regole tecniche, tenuto a comunicare tempestivamente all’altra parte modifiche, aggiornamenti, esigenze, problematiche, incidenti e quanto ritenuto necessario nella corretta gestione dei dati, al fine di assicurarne la conformità ai principi e alle disposizioni normative di riferimento.
6. Fatto salvo quanto previsto come inderogabile dalla legge, nessuna responsabilità sarà imputabile a ciascuna parte per i trattamenti operati dall’altra. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario si obbligano a manlevare e tenere indenne la controparte per qualsiasi danno, incluse spese legali, che possa derivare da pretese avanzate da terzi – inclusi gli interessati - a seguito dell’eventuale illiceità o non correttezza delle operazioni di trattamento imputabili a ciascuno dei predetti soggetti.
Art. 7 Monitoraggio dell’accordo
Regione Toscana si impegna a monitorare l’esecuzione dell’accordo, prevedendo riunioni periodiche specifiche, almeno semestrali, con i firmatari del presente protocollo o in sede di Comitato ex art. 7 della Toscana, per verificare lo stato di avanzamento dell'attuazione del protocollo e il grado di raggiungimento dei suoi obiettivi.
Art. 8 Forma dell’accordo
Il presente Protocollo d’Intesa è firmato digitalmente, e trasmesso tramite posta certificata, secondo quanto previsto dalla normativa vigente.[/panel]
Prima individuazione delle aree prioritarie a rischio Radon in Lombardia ai sensi dell’articolo 11 comma 3 d.lgs. 101 del 31 luglio 2020secondo i termini transitori in attesa dell'adozione del Piano nazionale d'azione per il radon.
La Regione Lombardia ha pubblicato in data 28 Giugno 2023 sul BURL SO nr. 26 la prima identificazione delle aree prioritarie ex Decreto 101 (D.g.r. 26 giugno 2023 - n. XII/508 - Prima individuazione delle aree prioritarie a rischio Radon in Lombardia ai sensi dell’articolo 11 comma 3 d.lgs. 101 del 31 luglio 2020).
Il radon è un inquinante di origine naturale presente in modo ubiquitario nell’ambiente in cui viviamo e che negli ambienti chiusi può raggiungere livelli particolarmente elevati.
L’esposizione al radon è correlata all’insorgenza di patologie tumorali (cancro al polmone). Maggiore è l’esposizione (data dal prodotto della concentrazione di radon x la durata dell’esposizione), maggiore è il rischio. Non esiste un valore soglia al di sotto del quale il rischio è nullo.
Nel rispetto di quanto richiesto dal D.Lgs. 101/2020 si è provveduto ad una prima identificazione dei comuni in cui le concentrazioni di radon indoor sono mediamente più elevate, secondo i criteri stabiliti dal decreto stesso (sono identificati in area prioritaria i comuni in cui la stima della percentuale di edifici che supera il livello di 300 Bq/m3 è superiore al 15%, dove la percentuale degli edifici è determinata con indagini o misure di radon effettuate o riferite o normalizzate al piano terra). In questi comuni i datori di lavoro che eserciscono la propria attività in ambienti al piano seminterrato o al piano terra saranno tenuti ad effettuare misure della concentrazione media annua di radon e ad applicare azioni di risanamento nei casi in cui i valori risulteranno > 300 Bq/m3.
Lo scopo del decreto 101, ripreso anche dalla Legge Regionale 3/2022, è quello di sensibilizzare la popolazione rispetto ad un rischio ubiquitario e sinora poco percepito e di informare sui modi con cui si può gestire e ridurre. Le aree individuate come “prioritarie” non sono le uniche in cui il problema esiste bensì quelle in cui si è ritenuto di dare una priorità agli interventi di sensibilizzazione, che devono essere estesi a tutta la regione. Poiché non esiste un valore soglia al di sotto del quale il rischio è nullo, ci si aspetta in realtà che il numero di casi di tumore al polmone attribuibile al radon sarà maggiore nelle aree più densamente abitate che sono ubicate nella fascia di pianura, anche se in queste zone le concentrazioni di radon indoor sono mediamente più basse.
[box-warning]Piano nazionale d'azione per il radon 2023 / 2032
Alla data news, non ancora emanato il Piano nazionale d'azione per il radon (rif. Artt. 10, 11 D.Lgs. 101/2020) a cui Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, devono far riferimento(decennale - stato bozza).[/box-warning]
1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sentito l'ISIN e l'Istituto superiore di sanita' (ISS), e' adottato il Piano nazionale d'azione per il radon, concernente i rischi di lungo termine dovuti all'esposizione al radon. 2. Il Piano si basa sul principio di ottimizzazione di cui all'articolo 1, comma 3, del presente decreto e individua conformemente a quanto previsto all'allegato III: a) le strategie, i criteri e le modalita' di intervento per prevenire e ridurre i rischi di lungo termine dovuti all'esposizione al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro, anche di nuova costruzione, per qualsiasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua; b) i criteri per la classificazione delle zone in cui si prevede che la concentrazione di radon come media annua superi il livello di riferimento nazionale in un numero significativo di edifici; c) le regole tecniche e i criteri di realizzazione di misure per prevenire l'ingresso del radon negli edifici di nuova costruzione nonche' degli interventi di ristrutturazione su edifici esistenti che coinvolgono l'attacco a terra, inclusi quelli di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b), c) e d) del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380; d) gli indicatori di efficacia delle azioni pianificate. 3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del Piano nazionale d'azione per il radon le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, adeguano i rispettivi ordinamenti alle indicazioni del Piano. 4. Il Piano di cui al comma 1 e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed e' aggiornato con cadenza almeno decennale.
Art. 11 Individuazione delle aree prioritarie (Direttiva 2013/59/Euratom, articolo 103, commi 1 e 2 e Allegato XVIII; decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, articolo 10-sexies).
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore del Piano di cui all'articolo 10, sulla base delle indicazioni e dei criteri tecnici ivi contenuti: a) individuano le aree in cui si stima che la concentrazione media annua di attivita' di radon in aria superi il livello di riferimento in un numero significativo di edifici; b) definiscono le priorita' d'intervento per i programmi specifici di misurazione al fine della riduzione dei livelli di concentrazione al di sotto dei livelli di riferimento e ne prevedono le modalita' attuative e i tempi di realizzazione. 2. L'elenco delle aree di cui al comma 1, lettera a), e' pubblicato da ciascuna regione e provincia autonoma sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed e' aggiornato ogni volta che il risultato di nuove indagini o una modifica dei criteri lo renda necessario. 3. Fino al termine di cui al comma 1, Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sulla base di metodologie documentate, effettuano le misurazioni di radon, acquisiscono i relativi dati e individuano le aree prioritarie nelle quali la stima della percentuale di edifici che supera il livello di 300 Bq m3 e' pari o superiore al 15 per cento, procedendo alla pubblicazione dell'elenco con le modalita' di cui al comma 2. La percentuale degli edifici e' determinata con indagini o misure di radon effettuate o riferite o normalizzate al piano terra.[/panel]
Il risultato è illustrato nella mappa nella quale sono presentati i primi comuni Lombardi classificati in area prioritaria ex D. Lgs. 101/2020 s.m.i..
L'elenco è riportato nella tabella seguente:
ELENCO DEI COMUNI LOMBARDI CLASSIFICATI IN AREA PRIORITARIA
UNI/PdR 149:2023 | Formazione in videoconferenza sincrona
ID 20020 | 21.07.2023 / In allegato
UNI/PdR 149:2023 - Guida metodologica per l'organizzazione e la gestione dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro erogati in modalità videoconferenza sincrona
Pubblicata il 20 luglio 2023 la prassi di riferimento UNI/PdR 149:2023 “Guida metodologica per l’organizzazione e la gestione dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro erogati in modalità videoconferenza sincrona”.
La prassi di riferimento costituisce una guida metodologica, operativa e gestionale a carattere volontario a supporto di tutti i soggetti legittimati dalla legislazione vigente ad erogare la formazione obbligatoria in materia di SSL, i quali intendono avvalersi della videoconferenza sincrona (VCS) come modalità complementare, integrante o alternativa alla formazione in presenza, nel rispetto della legislazione stessa.
Dal 2022 la formazione a distanza in modalità sincrona è equiparata a quella in presenza. La prassi, nata da una proposta dell’Inail approvata dal Consiglio direttivo dell’UNI, si configura come una guida metodologica, operativa e gestionale, a carattere volontario. Viene offerta, a tutti i soggetti legittimati dalla legislazione vigente a erogare formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro in videoconferenza sincrona (Vcs), una modalità che si era imposta per necessità nel periodo di emergenza sanitaria ed equiparata alla formazione in presenza dalla legge n. 52 del 19 maggio 2022.
Qualità, rispetto dei dati personali e coerenza con la normativa europea gli elementi prioritari della prassi. Nella sua impostazione concettuale, la prassi pone l’accento sull’importanza della formazione, misura generale di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, e sulla sua qualità quale fattore fondamentale per garantirne l’efficacia.
La prassi di riferimento propone un approccio strutturato per processi, secondo il metodo gestionale suggerito dal ciclo di Deming (o ciclo di PDCA, Plan–Do–Check–Act), volto ad assicurare la qualità delle singole fasi di produzione della formazione erogata in Vcs. È formulato, inoltre, in coerenza concettuale e metodologica con i principi riportati nella raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo del 18 giugno 2009, relativa all’istituzione di un Quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (Eqavet), nonché nel rispetto dei principi di protezione nel trattamento dei dati.
...
Nota procedurale: La prassi di riferimento è stata elaborata dal Tavolo "Formazione in videoconferenza sincrona salute e sicurezza sul lavoro" condotto da UNI e costituito da: Giannunzio Sinardi - Project Leader (INAIL), Adriano Bacchetta (Esperto UNI/CT 042 “Sicurezza”), Claudia Cassano (INAIL), Nicoletta Cornaggia (Regione Lombardia - Coordinamento Regioni), Lorenzo Fantini (Libero Professionista), Giovanni Finotto (Università Cà Foscari di Venezia), Donato Lombardi (Provincia Autonoma di Trento - Coordinamento Regioni), Francesco Naviglio (Esperto UNI/CT 042 “Sicurezza”), Riccardo Orsini (INAIL), Paolo Pascucci (Università degli Studi di Urbino), Sara Stabile (INAIL).
Data entrata in vigore: 20 luglio 2023
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SOMMARIO
0. INTRODUZIONE 0.1 CONTESTO DI RIFERIMENTO 0.2 FINALITÀ, TARGET DI RIFERIMENTO E AMBITO APPLICATIVO
1 SCOPO E CAMPO DI APPLICAZIONE
2 RIFERIMENTI NORMATIVI
3 TERMINI E DEFINIZIONI
4 PRINCIPIO
5 ASPETTI DI TIPO ORGANIZZATIVO, GESTIONALE E DI ASSICURAZIONE DELLA QUALITÀ PER L’EROGAZIONE DELLA FORMAZIONE SU SSL IN MODALITÀ VCS. L’APPROCCIO PER PROCESSI 5.1 GENERALITÀ 5.2 L’APPROCCIO PER PROCESSI 5.2.1 GENERALITÀ 5.2.2 PLAN (PIANIFICAZIONE) 5.2.3 DO (REALIZZAZIONE) 5.2.4 CHECK (MONITORAGGIO E VALUTAZIONE) 5.2.5 ACT (RIESAME E ADOZIONE DI MISURE DI MIGLIORAMENTO) 5.3 PROFILI DI COMPETENZA, RUOLI E RESPONSABILITÀ DELLE FIGURE PROFESSIONALI PER LA FORMAZIONE SU SSL IN MODALITÀ VCS 5.3.1 GENERALITÀ 5.3.2 RESPONSABILE DEI PROCESSI FORMATIVI 5.3.3 DOCENTE 5.3.4 TUTOR D’AULA VIRTUALE 5.3.5 TECNICO ESPERTO NELLA GESTIONE DELLA PIATTAFORMA MULTIMEDIALE
6 CARATTERISTICHE TECNOLOGICHE E FUNZIONALI DELLE PIATTAFORME MULTIMEDIALI E DELLE POSTAZIONI DEGLI UTENTI 6.1 CARATTERISTICHE TECNICHE E FUNZIONALITÀ DELLE PIATTAFORME MULTIMEDIALI 6.2 CONNETTIVITÀ DELLA POSTAZIONE UTENTE
7 PROTEZIONE E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
8 INDICAZIONI OPERATIVE E PROCEDURALI PER LA GESTIONE DELLA FORMAZIONE SU SSL IN VCS 8.1 PROCEDURE OPERATIVE PRELIMINARI ALL’EROGAZIONE 8.1.1 INFORMAZIONI E COMUNICAZIONI PRELIMINARI 8.1.2 CONSENSO INFORMATO E ISCRIZIONE 8.2 PROCEDURE E MODALITÀ OPERATIVE IN FASE DI EROGAZIONE 8.2.1 MODALITÀ DI ACCESSO PROTETTO 8.2.2 VERIFICA DELLA CONTINUITÀ DELLA PRESENZA 8.2.3 GESTIONE DELLE VERIFICHE DI APPRENDIMENTO INTERMEDIE E FINALI 8.2.4 RILASCIO DELLE ATTESTAZIONI 8.3 PROCEDURE OPERATIVE EX POST PER IL MONITORAGGIO, LA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ FORMATIVA E LA CONSERVAZIONE DEI DATI 8.3.1 MONITORAGGIO E VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DIDATTICA E DELLA QUALITÀ ORGANIZZATIVA 8.3.2 CONSERVAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE E DEI DATI PERSONALI
APPENDICE A (Informativa) COMPITI, CONOSCENZE E ABILITÀ PER I PROFILI DI RESPONSABILE DEI PROCESSI FORMATIVI, DOCENTE, TUTOR D’AULA VIRTUALE E TECNICO ESPERTO NELLA GESTIONE DELLA PIATTAFORMA MULTIMEDIALE
Vademecum MLPS rischi lavorativi esposizione ad alte temperature | 2023
ID 20022 | 21.07.2023 / In allegato
Il vademecum contiene indicazioni per la gestione dei lavoratori esposti (in ambienti indoor e outdoor) alle elevate temperature nel periodo estivo, comprensiva del rimando alle indicazioni dell’Inps per la gestione della CIG ordinaria con causale “eventi meteo - temperature elevate”.
Il vademecum colleziona le analisi sui rischi lavorativi effettuate dagli enti preposti, correlate con le disposizioni normative vigenti per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Al suo interno si individuano i settori di attività coinvolti e le misure da adottare.
Oltre la rete. Salute e sicurezza nella pesca professionale / CIIP 2023
ID 19845 | 19.06.2023
CIIP ha promosso la produzione dell'Ebook "Oltre la rete - Salute e sicurezza nella pesca professionale", destinato ad un settore produttivo nel quale nel 2020 erano coinvolti 17.000 lavoratori.
Decreto 18 maggio 2023 / Protocollo Istruzioni uso DAE
ID 19809 | 13.06.2023
Decreto 18 maggio 2023 Adozione del protocollo recante «Istruzioni da seguire, in attesa dell'arrivo dei mezzi di soccorso, per le manovre di rianimazione cardiopolmonare di base e per l'uso del defibrillatore semiautomatico e automatico esterno (DAE) nonche', ove possibile, le indicazioni utili a localizzare il DAE piu' vicino al luogo ove si sia verificata l'emergenza».
(GU n.136 del 13.06.2023)
...
Art. 1. Protocollo
1. È adottato il protocollo allegato recante «le istruzioni da seguire, in attesa dell’arrivo dei mezzi di soccorso, per le manovre di rianimazione cardiopolmonare di base e per l’uso del DAE nonché, ove possibile, le indicazioni utili a localizzare il DAE più vicino al luogo ove si sia verificata l’emergenza» che «le centrali operative del sistema di emergenza sanitaria “118” sono tenute a fornire durante le chiamate di emergenza, nonché, ove possibile, le indicazioni utili a localizzare il DAE più vicino al luogo ove si sia verificata l’emergenza» in ottemperanza alle disposizioni dell’art. 7, comma 3 della legge 4 agosto 2021, n. 116.
Nota INL 6 aprile 2023 prot. n. 642 - Art. 14, comma 16, D.Lgs. n. 81/2008 - Decadenza del provvedimento di sospensione a seguito di decreto di archiviazione del giudice penale
...
Sono pervenute alla scrivente Direzione alcune richieste di chiarimento in merito a quanto disposto dal comma 16 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 e, in particolare, su alcune casistiche che possono ricorrere a seguito dell’emissione da parte del Giudice penale del decreto di archiviazione per l'estinzione - ad esito della procedura di prescrizione di cui agli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994 - delle contravvenzioni accertate in occasione dell’adozione del provvedimento di sospensione di cui al comma 1 dello stesso art. 14.
A riguardo, acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che si è espresso con nota prot. 2884 del 29 marzo 2023, si rappresenta quanto segue, ad integrazione di quanto già precisato con circolare INL n. 3/2021.
Il richiamato comma 16 dell’art. 14 prevede espressamente che “l'emissione del decreto di archiviazione per l'estinzione delle contravvenzioni, accertate ai sensi del comma 1, a seguito della conclusione della procedura di prescrizione prevista dagli articoli 20 e 21, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, comporta la decadenza dei provvedimenti di cui al comma 1 fermo restando, ai fini della verifica dell'ottemperanza alla prescrizione, anche il pagamento delle somme aggiuntive di cui al comma 9, lettera d)”.
Ne deriva che, laddove il provvedimento di sospensione sia stato adottato non solo per motivi di salute e sicurezza, ma anche per motivi di lavoro irregolare, lo stesso manterrà i suoi effetti anche in presenza del decreto di archiviazione emesso dal Giudice penale. Pertanto, il datore di lavoro, per poter riprendere l’attività lavorativa, dovrà in ogni caso porre in essere le condizioni per ottenerne la revoca, previste al comma 9, lett. a) e d), dell’art. 14.
Ciò premesso, nel caso di provvedimento di sospensione adottato esclusivamente per ragioni di salute e sicurezza, laddove non pervenga istanza di revoca del provvedimento da parte del datore di lavoro - il quale ad esempio decida di non proseguire l’attività lavorativa nel luogo o nell’unità locale interessata dalla sospensione (ad es. un cantiere) - l’intervenuta emissione del decreto di archiviazione da parte del Giudice determina la decadenza del provvedimento sospensivo e non vi saranno adempimenti da porre in essere da parte del personale dell’Ispettorato. In tali ipotesi, in ragione di quanto previsto al comma 2 dell’art. 14 - secondo il quale “per tutto il periodo di sospensione è fatto divieto all'impresa di contrattare con la pubblica amministrazione e con le stazioni appaltanti (...) A tal fine il provvedimento di sospensione è comunicato all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, per gli aspetti di rispettiva competenza al fine dell'adozione da parte del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili del provvedimento interdittivo” - laddove l’archiviazione sia a conoscenza dell’Ufficio, sarà necessario darne comunicazione all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, affinché venga meno il provvedimento interdittivo a contrattare con la pubblica amministrazione e con le stazioni appaltanti.
Va inoltre chiarito che, in presenza di un provvedimento di sospensione non revocato dall’Ufficio ai sensi del comma 11, ma decaduto ai sensi del comma 16, la ripresa dell’attività lavorativa da parte del datore di lavoro, successiva all’emissione del decreto di archiviazione, non costituisce violazione del comma 15 dell’art. 14, il quale prevede la pena dell’arresto fino a sei mesi per il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione adottato per violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
La decadenza del provvedimento di sospensione ai sensi del comma 16 opera, inoltre, anche nelle ipotesi di decreti di archiviazione adottati per reati a condotta esaurita. Come già chiarito da questo Ispettorato con nota prot. n. 119 del 25 maggio 2020, anche per tali fattispecie risulta applicabile la procedura di prescrizione obbligatoria ex art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004, la quale consisterà esclusivamente nell’ammettere il contravventore al pagamento dell’ammenda nella misura pari ad un quarto del massimo o della misura fissa. Ove a seguito di detto pagamento e della consequenziale informativa alla Procura, ai sensi dell’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994, dovesse essere adottato il decreto di archiviazione, allo stesso modo, ai sensi del comma 16 dell’art. 14, si determinerà la decadenza del provvedimento di sospensione.
Da ultimo, appare opportuno chiarire una ulteriore casistica che può presentarsi nell’ipotesi in cui il provvedimento di sospensione venga revocato a seguito di istanza di parte - ai sensi del comma 11 dell’art. 14, mediante il pagamento del 20% della somma aggiuntiva dovuta - e successivamente, intervenga l’adozione del decreto di archiviazione da parte del Giudice penale per ottemperanza alla prescrizione obbligatoria di cui agli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994. In tal caso l’adozione del decreto di archiviazione non fa venire meno l’obbligo, da parte da datore di lavoro, di versare la quota residua della somma aggiuntiva, maggiorata del 5%, obbligo che rimane fermo in quanto derivante dalla presentazione della relativa istanza, finalizzata alla concessione della revoca che ha consentito al datore di riprendere la sua attività.
Nota INL n. 162 del 24 gennaio 2023 / Provvedimento di sospensione e microimpresa
ID 18779 | 25.01.2023 / Nota ufficiale in allegato
Oggetto: art. 14, D.Lgs. n. 81/2008 - adozione provvedimento di sospensione e microimpresa - richiesta parere.
Si riscontra il quesito relativo alla possibilità di procedere all'adozione di un provvedimento di sospensione nei confronti di una impresa che occupi un solo dipendente “in nero” con conseguente violazione prevenzionistica relativa alla mancanza del DVR e della nomina del RSPP.
Al riguardo, d'intesa con l'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 509 del 20 gennaio 2023, si rappresenta quanto segue.
Ai sensi dell'art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008, i provvedimenti di sospensione “per le ipotesi di lavoro irregolare, non trovano applicazione nel caso in cui il lavoratore risulti l'unico occupato dall'impresa”.
Tale eccezione, la cui ratio risiede nella volontà del legislatore di escludere le c.d. microimprese dal campo di operatività del provvedimento di sospensione, è riferita esplicitamente alle sole ipotesi di occupazione di lavoratori irregolari.
Ne consegue che tale esclusione non troverà applicazione qualora siano contestualmente evidenziate le gravi violazioni di natura prevenzionistica indicate nell'allegato 1 al D.Lgs. n. 81/2008 - ivi compresa la mancanza del DVR o della nomina del RSPP - da sole sufficienti a giustificare l'adozione del provvedimento cautelare.
Da ultimo si ricorda che, qualora invece non sia adottato il provvedimento di sospensione in applicazione della deroga in questione, come chiarito con circ. n. 3/2021, il personale ispettivo dovrà comunque imporre, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 14 cit., ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro, disponendo l'allontanamento del lavoratore sino alla completa regolarizzazione anche sotto il profilo prevenzionistico.
ID 18776 | 25.01.2023 / XX rapporto ultimo pubblicato
Il Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato, elaborato dall’Inapp per conto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con Inps (in precedenza elaborato da Isfol), esamina l’evoluzione dell’occupazione in apprendistato, sulla base dei dati Inps - Archivi delle denunce retributive mensili (UniEmens), e l’andamento della partecipazione degli apprendisti alla formazione pubblica nel nostro Paese, mediante i dati forniti dalle Regioni e Province autonome. _________
A partire dal 1° gennaio 2023 entrerà in vigore il decreto interministeriale 9 agosto 2022, di attuazione dell’articolo 129, comma 4, del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, che disciplina i requisiti di iscrizione all’elenco degli esperti di radioprotezione, nonché le modalità di formazione e svolgimento del relativo esame e dell’aggiornamento professionale.
Le disposizioni del citato decreto interministeriale andranno a sostituire, per quanto ivi previsto, le disposizioni dell’Allegato XXI al decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, che attualmente disciplina, tra l’altro, la materia dell’esame di abilitazione per gli esperti di radioprotezione.
In proposito, con l’obiettivo di favorire la corretta applicazione delle nuove norme, acquisito il parere dell’Ufficio legislativo di questo Ministero in data 11 novembre 2022, si forniscono le seguenti indicazioni relative al citato decreto interministeriale, nonché alcune precisazioni inerenti alle sessioni d’esame da tenersi nell’anno 2023 (con termine di presentazione delle domande entro il 31 dicembre 2022), anche in considerazione delle richieste di chiarimento finora pervenute.
Esame di abilitazione per l'iscrizione negli elenchi degli esperti di radioprotezione.
I candidati che presenteranno domanda di ammissione all’esame per l’iscrizione nell’elenco degli esperti di radioprotezione, entro il 31 dicembre 2022, dovranno possedere i titoli di studio e professionali previsti della normativa attualmente in vigore, in relazione al grado di abilitazione richiesto (punto 9 dell’Allegato XXI al decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101).
L’esame, che i suddetti candidati sosterranno nell’anno 2023, verterà sugli argomenti indicati negli articoli 9, 10, 11 e 12 del decreto interministeriale 9 agosto 2022 per il grado di abilitazione richiesto nella domanda di ammissione all’esame.
In particolare, per il II grado il candidato deve dimostrare di possedere un’adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati all’articolo 9, anche in materia di:
v) caratterizzazione radiologica dei materiali; z) bonifica e rilascio condizionato e incondizionato.
Per il III grado sanitario il candidato deve dimostrare di possedere un’adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati all’articolo 9 e 10, anche in materia di:
c) caratterizzazione radiologica dei materiali per gli aspetti di competenza; d) bonifica e rilascio incondizionato per gli aspetti di competenza.
Per il terzo grado il candidato deve dimostrare di possedere un’adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati all’articolo 9, 10 e 11, anche in materia di:
m) radioprotezione legata alle installazioni basate sul processo di fusione; p) caratterizzazione radiologica dei materiali nelle installazioni e negli impianti non ricompresi nei gradi inferiori; q) bonifica e rilascio condizionato e incondizionato nelle installazioni e negli impianti non ricompresi nei gradi inferiori.
Pertanto, i titoli di studio e professionali per l’ammissione all’esame di abilitazione saranno quelli previsti dalla normativa in vigore.
Sul punto, si precisa che i tirocini conclusi dai candidati entro il 31 dicembre 2022 si considerano validi ai fini del conseguimento del titolo di formazione post-universitaria per la parte in cui la suddetta formazione prevede il tirocinio pratico.
Resta inteso che il tirocinio svolto deve essere congruo con il grado di abilitazione previsto dalla formazione post-universitaria.
Nel caso in cui il tirocinio abbia avuto solo inizio nell’anno 2022, secondo le modalità previste dall’Allegato XXI al decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101 e si concluda successivamente al 31 dicembre 2022, i soggetti che effettueranno la formazione post-universitaria valuteranno se lo stesso, nei limiti del grado per il quale si consegue la formazione post-universitaria, costituisca elemento di esonero per l’assolvimento dell’obbligo di tirocinio pratico previsto dalla nuova disciplina.
Testo unico assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
ID 18041 | 10.11.2022 / In allegato TU e nota di aggiornamento
Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali - d.p.r. 1124/1965. Proposta di lettura integrata
Il testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, negli oltre cinquanta anni decorsi dalla sua entrata in vigore, è stato oggetto di interventi del legislatore finalizzati a modificarne o integrarne taluni articoli.
In alcuni casi, gli interventi di modifica sono stati reiterati sulla medesima disposizione. Nella presente pubblicazione non sono indicate tutte le modificazioni che si sono succedute nel tempo, ma soltanto quelle per effetto delle quali la formulazione della disposizione è quella attualmente vigente.
Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2022 / Indicazioni operative attività di controllo e vigilanza D.Lgs. 81/2008
ID 17815 | 11.10.2022 / Accordo in allegato (Rep. Atti n. 142 /CSR del 27 luglio 2022)
Accordo, ai sensi degli articoli 2, comma 1, lettera b) e 4, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle “Indicazioni operative per le attività di controllo e vigilanza ai sensi dell’art.13 del decreto legislativo 81/2008, come modificato dal decreto legge 21 ottobre 2021, n.146, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n.215, recante le Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”. (Rep. Atti n. 142/CSR del 27 luglio 2022)
E' molto importante in quanto:
- è un accordo sancito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; - stabilisce regole per il coordinamento nella programmazione e nell'attività delle Regioni/ASL e dell'INL; - stabilisce che le circolari con indirizzi operativi e procedurali siano emanati congiuntamente da INL e Regioni; - impegna il Ministero Salute a percorsi di formazione sia per ASL che per INL. _______
1. La vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, dall'Ispettorato nazionale del lavoro (3) e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché per il settore minerario, fino all'effettiva attuazione del trasferimento di competenze da adottarsi ai sensi del Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, dal Ministero dello sviluppo economico, e per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali dalle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano. Le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del presente articolo, nell'ambito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.
1-bis. Nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni. (2)
3. In attesa del complessivo riordino delle competenze in tema di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, restano ferme le competenze in materia di salute e sicurezza dei lavoratori attribuite alle autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli uffici di sanità aerea e marittima, alle autorità portuali ed aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale nonché ai servizi sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco; i predetti servizi sono competenti altresì per le aree riservate o operative e per quelle che presentano analoghe esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute. L'Amministrazione della giustizia può avvalersi dei servizi istituiti per le Forze armate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi istituiti con riferimento alle strutture penitenziarie. (1) (2)
4. La vigilanza di cui al presente articolo è esercitata nel rispetto del coordinamento di cui agli articoli 5 e 7. A livello provinciale, nell'ambito della programmazione regionale realizzata ai sensi dell'articolo 7, le aziende sanitarie locali e l'Ispettorato nazionale del lavoro promuovono e coordinano sul piano operativo l'attività di vigilanza esercitata da tutti gli organi di cui al presente articolo. Sono adottate le conseguenti modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 6 febbraio 2008. (4)
5. Il personale delle pubbliche amministrazioni, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di consulenza.
6. L'importo delle somme che l'ASL e l'Ispettorato nazionale del lavoro (3), in qualità di organo di vigilanza, ammettono (4) a pagare in sede amministrativa ai sensi dell'articolo 21, comma 2, primo periodo, del Decreto Legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, integra rispettivamente, l'apposito capitolo regionale e il bilancio dell'Ispettorato nazionale del lavoro (3) per finanziare l'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dai dipartimenti di prevenzione delle AA.SS.LL e dall'Ispettorato. (3)
7. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 64 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, con riferimento agli organi di vigilanza competenti, come individuati dal presente decreto.
7-bis. L'Ispettorato nazionale del lavoro è tenuto a presentare, entro il 30 giugno di ogni anno al Ministro del lavoro e delle politiche sociali per la trasmissione al Parlamento, una relazione analitica sull'attività svolta in materia di prevenzione e contrasto del lavoro irregolare e che dia conto dei risultati conseguiti nei diversi settori produttivi e delle prospettive di sviluppo, programmazione ed efficacia dell'attività di vigilanza nei luoghi di lavoro. (3)
(Note) (1) Decreto Legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, art. 44, comma 1 lett. d, come novellato dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95 (2) Ministero dell'interno, Decreto Interministeriale 21 agosto 2019, n. 127 - Regolamento recante l'applicazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica. (3) L'articolo 13 co. 1 del Decreto-Legge 21 ottobre 2021 n. 146 Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili (in GU n.252 del 21.10.2021) ha modificato i comma 1 e 6, abrogato il comma 2, sostituito il comma 4 ed aggiunto il comma 7-bis. (4) Modifiche apportate dalla Legge 17 dicembre 2021 n. 215 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 ottobre 2021 n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. (GU n.301 del 20.12.2021).[/panel]
La Circolare n. 19 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali pubblicata fornisce indicazioni su taluni specifici profili degli obblighi informativi introdotti dal decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 (cosiddetto "Decreto Trasparenza) in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili.
Il decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 (pubblicato in G.U. del 29 luglio 2022) di attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea, ha aggiornato il quadro normativo già previsto dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 (che aveva recepito a sua volta la precedente direttiva n. 91/533) in materia di obblighi di informazione, introducendo alcune novità che riguardano vari profili del rapporto di lavoro.
In proposito, con l’obiettivo di favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina e acquisito il parere dell’Ufficio legislativo di questo Ministero, espresso con nota del 20 settembre 2022, si forniscono prime indicazioni interpretative, anche in considerazione delle richieste di chiarimento finora pervenute.
Tali indicazioni fanno seguito a quelle già contenute nella circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 4 del 10 agosto 2022, cui la presente si raccorda con l’obiettivo di approfondire ulteriori aspetti, nella consapevolezza che - a fronte di un testo normativo particolarmente ricco di elementi innovativi - verranno esaminate in questa sede le questioni più rilevanti che sono state rappresentate a questa Amministrazione e le innovazioni che meritano un primo approccio interpretativo.
In via preliminare, è utile osservare che la suddetta direttiva nelle sue premesse richiama il percorso che ha portato alla luce il nuovo quadro normativo a livello europeo e offre alcune utili indicazioni sul significato e sulle ragioni delle innovazioni introdotte, sia con riferimento ai princìpi ispiratori sia con riferimento alle indicazioni di dettaglio della nuova disciplina.
E infatti, l’intervento normativo eurounitario si inserisce in un orientamento, ormai consolidato, volto ad innalzare i livelli di tutela dei lavoratori, come espressamente affermato all’articolo 1, comma 1, della direttiva.
Nel caso specifico, questo innalzamento avviene mediante la previsione di una dettagliata serie di informazioni che devono essere rese al lavoratore al momento dell’instaurazione del rapporto, in maniera tale che quest’ultimo sia informato dei diritti e doveri che ne conseguono in relazione agli aspetti principali del contratto, nonché mediante la previsione di prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro.
Sono quindi evidenti, per il lavoratore, il valore e l’importanza di una corretta informativa che, comunque, deve essere modulata in maniera proporzionata e sostenibile per i datori di lavoro.
Un ausilio nella lettura delle disposizioni europee è offerto anche dai considerando della direttiva, che, pur se non giuridicamente vincolanti, si rivelano di interesse sul piano ricostruttivo.
In tal senso si segnalano, in particolare, i seguenti considerando: 3 - che richiama il principio n. 7 del pilastro europeo dei diritti sociali; 4 - sui profondi cambiamenti che hanno subìto negli ultimi anni i mercati del lavoro, a causa degli sviluppi demografici e della digitalizzazione; 6 - sulla opportunità di garantire a tutti i lavoratori dell’Unione livelli adeguati di trasparenza e prevedibilità delle loro condizioni di lavoro; 1 e 19 - sul tema dei periodi di riposo giornalieri e settimanali e del congedo retribuito; 15 - sulla possibilità di adattare l’elenco degli elementi essenziali del contratto di lavoro in relazione all’evoluzione del mercato; 16 - sul luogo di lavoro; 20 - sul tema della retribuzione; 24 - sul tema delle comunicazioni per via elettronica per l’adempimento degli obblighi informativi; 32 - sul periodo minimo di preavviso ragionevole; 35 - sui contratti di lavoro a chiamata; 37 - sul tema della formazione.
Con il decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 vengono dunque introdotti nel decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 profili ulteriori che riguardano gli obblighi di informazione ma, come già rilevato dalla circolare INL n. 4/2022 e proprio alla luce dei principi enunciati dalla direttiva (UE) 1152/2019, il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore le informazioni di base riferite ai singoli istituti di cui al nuovo articolo 1 del richiamato decreto legislativo n. 152, potendo rinviare per le informazioni di maggior dettaglio al contratto collettivo o ai documenti aziendali che devono essere consegnati o messi a disposizione del lavoratore secondo le prassi aziendali.
La ratio della riforma è, quindi, quella di ampliare e rafforzare gli obblighi informativi, ma tale operazione di ampliamento e di rafforzamento deve essere calata nella concretezza del rapporto di lavoro.
Con ciò si vuole segnalare che l’obbligo informativo non è assolto con l’astratto richiamo delle norme di legge che regolano gli istituti oggetto dell’informativa, bensì attraverso la comunicazione di come tali istituti, nel concreto, si atteggiano, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro.
A ben vedere, una chiara indicazione sulla effettività e sulla concretezza dell’obbligo informativo si ricava dall’articolo 3 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, secondo cui «Il datore di lavoro e il committente pubblico e privato comunicano per iscritto al lavoratore, entro il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica, qualsiasi variazione degli elementi di cui agli articoli 1, 1-bis e 2 che non derivi direttamente dalla modifica di disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo».
Ciò premesso, si procede all’esame di singoli aspetti del decreto legislativo che sono stati già sottoposti all’attenzione di questa Amministrazione o che, per la portata innovativa, meritano un primo approccio interpretativo.
1. SU ALCUNI SPECIFICI OBBLIGHI INFORMATIVI
Nel quadro dei nuovi adempimenti del datore di lavoro in tema di informazione occorre soffermarsi su alcuni specifici profili.
1.1. Congedi (articolo 1, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 152/1997)
La novella prescrive che il datore di lavoro debba informare il lavoratore sulla «durata del congedo per ferie, nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell'informazione, le modalità di determinazione e di fruizione degli stessi».
Le ferie e i congedi retribuiti cui si fa riferimento sono ovviamente quelli previsti dalla legge e dai contratti collettivi, ma è evidente - anche sulla scorta di quanto già chiarito in premessa - che l’attenzione dell’obbligo informativo si concentra sulla concretezza del rapporto e, su questo piano, oltre ai generali ed essenziali richiami alla disciplina legale applicabile, da formularsi con chiarezza e semplicità, occorre fornire al lavoratore le indicazioni della disciplina contenuta nel contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto.
Fermo l’obbligo dell’indicazione della durata del congedo per ferie, l’attenzione deve essere rivolta alla locuzione «nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore».
Il primo aspetto che emerge evidente dalla formulazione letterale della disposizione è che rilevano esclusivamente i congedi retribuiti, per cui non vi è obbligo di comunicazione di quelli per cui non è prevista la corresponsione della retribuzione.
Il secondo aspetto, di fondamentale importanza, è la perimetrazione del concetto di “congedo”, atteso che nel nostro ordinamento esistono diverse forme di temporanea astensione dalla prestazione lavorativa variamente denominate (congedo, assenza, permesso, aspettativa, ecc.).
Tenuto conto della formulazione letterale della disposizione – che evidentemente ha voluto prevedere l’informativa solo in relazione alle forme di astensione temporanea maggiormente incidenti sul rapporto di lavoro – si ritiene che l’obbligo di informazione per il datore di lavoro riguardi solo quelle astensioni espressamente qualificate dal legislatore come “congedo”.
Ciò anche in ossequio ad un principio di ragionevolezza degli oneri informativi posti a carico del datore di lavoro.
In via esemplificativa e non esaustiva si indicano, di seguito, alcune ipotesi di congedi retribuiti previsti dalla legge:
- congedi di maternità e paternità, congedo parentale e congedo straordinario per assistenza a persone disabili, secondo la disciplina di cui al d.lgs. n. 151/2001; - congedo per cure per gli invalidi, secondo la disciplina di cui all’articolo 7 del d.lgs. n. 119/2011; - congedo per le donne vittime di violenza di genere secondo la disciplina di cui all’articolo 24 del d.lgs. n. 80/2015.
Si richiama, comunque, la necessità che il datore di lavoro tenga conto, oltre che della disciplina legale, anche di quella contenuta nel contratto collettivo, in ossequio al principio di concretezza dell’informazione sul rapporto di lavoro già richiamato in precedenza.
1.2. Retribuzione (articolo 1, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 152/1997)
La riforma prevede che il datore abbia l’obbligo di indicare «l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e delle modalità di pagamento».
Con tale formula ci si riferisce a tutte quelle componenti della retribuzione di cui sia oggettivamente possibile la determinazione al momento dell’assunzione, secondo la disciplina di legge e di contratto collettivo.
Risulta chiaro, ad esempio, che il datore di lavoro non potrà indicare l’importo degli elementi variabili della retribuzione (ad esempio, il premio di risultato), pur essendo tenuto ad indicare al lavoratore – ciò sulla scorta di quanto previsto da specifiche previsioni di contratto collettivo soggettivamente applicabili al rapporto – in base a quali criteri tali elementi variabili saranno riconosciuti e corrisposti.
Per quanto concerne le eventuali misure di welfare aziendale o, ancora, il buono pasto, queste, non rientrando ordinariamente nell’assetto retributivo, non sono oggetto dell’informativa, salvo che non siano previste dalla contrattazione collettiva o dalle prassi aziendali come componenti dell’assetto retributivo.
1.3. Orario di lavoro programmato (articolo 1, comma 1, lett. o), d.lgs. n. 152/1997)
L’articolo 1, comma 1, lett. o) del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 prevede che il datore di lavoro debba informare il lavoratore su «la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile».
Sul punto deve ritenersi, come già evidenziato nella premessa, che le informazioni debbano riguardare, più che la generale disciplina legale, soprattutto i riferimenti al contratto collettivo nazionale e agli eventuali accordi aziendali che regolano il tema dell’orario nel luogo di lavoro.
Nello specifico, le informazioni devono essere incentrate sulla concreta articolazione dell’orario di lavoro applicata al dipendente, sulle condizioni dei cambiamenti di turno, sulle modalità e sui limiti di espletamento del lavoro straordinario e sulla relativa retribuzione.
Nel caso di variazioni dell’orario di lavoro successivamente intervenute, l’informativa si rende necessaria solo in presenza di modifiche che incidono sull’orario di lavoro in via strutturale o per un arco temporale significativo, fermo restando il rispetto della legge e del contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto di lavoro.
Può essere utile precisare che generalmente rientrano nella definizione del lavoro prevedibile anche le ipotesi di lavoro a turni e di lavoro multi-periodale: in tali casi sarà sufficiente indicare che il lavoratore viene inserito in detta articolazione oraria e rendere note le modalità con cui allo stesso saranno fornite informazioni in materia.
Del pari, rientra nella nozione di lavoro prevedibile anche l’orario di lavoro discontinuo, che si riferisce ad attività che non richiedono un impegno continuativo di lavoro (ad esempio nel caso di portieri, custodi, guardiani, fattorini, ecc.).
1.4. Previdenza e assistenza (articolo 1, comma 1, lett. r), d.lgs. n. 152/1997)
Il nuovo testo del d.lgs. n. 152/1997 prescrive per il datore di lavoro l’obbligo di informare il lavoratore su «gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali e assicurativi dovuti dal datore di lavoro» e «su qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso».
Dando per scontato il significato della prima parte della disposizione, è utile richiamare la seconda parte solo per chiarire che tali informazioni dovranno essere fornite dal datore di lavoro anche alla luce della specificità della contrattazione collettiva applicabile al rapporto, rappresentando al lavoratore, ad esempio, la possibilità di aderire a fondi di previdenza integrativa aziendali o settoriali.
2. SULLE MODALITÀ DI COMUNICAZIONE DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI
Come indicato nell’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, è possibile utilizzare diverse modalità per assolvere l’obbligo informativo, pur nel rispetto dei termini previsti dalla medesima disposizione.
E’ da ritenersi ammessa la possibilità di comunicazione dell’informazione in modalità informatica, come già chiarito nella citata circolare INL dello scorso agosto, cui si rinvia.
3. SUGLI ULTERIORI OBBLIGHI INFORMATIVI NEL CASO DI UTILIZZO DI SISTEMI DECISIONALI O DI MONITORAGGIO AUTOMATIZZATI
L’articolo 1-bis del d.lgs. n. 152/1997, inserito dall’articolo 4, lett. b), del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, prevede ulteriori obblighi informativi nel caso che il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.
In particolare, il comma 1 prevede che «Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto ad informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300.».
Dalla lettura della disposizione possono individuarsi due distinte ipotesi che il decreto ha voluto regolare per gli aspetti informativi, qualora il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati che siano: a) finalizzati a realizzare un procedimento decisionale in grado di incidere sul rapporto di lavoro; b) incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.
Premesso che il legislatore ha inteso occuparsi di strumenti tecnologici e modelli organizzativi in costante evoluzione, con particolare riferimento alla fattispecie sub a), sulla base delle conoscenze e delle esperienze attualmente disponibili, si può ritenere che per sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati si intendono quegli strumenti che, attraverso l’attività di raccolta dati ed elaborazione degli stessi effettuata tramite algoritmo, intelligenza artificiale, ecc., siano in grado di generare decisioni automatizzate.
Nell’ipotesi descritta, l’obbligo dell’informativa sussiste anche nel caso di intervento umano meramente accessorio.
Nella sostanza, il decreto legislativo richiede che il datore di lavoro proceda all’informativa quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi all’attività decisionale di sistemi automatizzati.
Ad esempio, l’obbligo dell’informativa sussiste nelle seguenti ipotesi:
1. assunzione o conferimento dell’incarico tramite l’utilizzo di chatbots durante il colloquio, la profilazione automatizzata dei candidati, lo screening dei curricula, l’utilizzo di software per il riconoscimento emotivo e test psicoattitudinali, ecc.; 2. gestione o cessazione del rapporto di lavoro con assegnazione o revoca automatizzata di compiti, mansioni o turni, definizione dell’orario di lavoro, analisi di produttività, determinazione della retribuzione, promozioni, etc., attraverso analisi statistiche, strumenti di data analytics o machine learning, rete neurali, deep-learning, ecc.
Diversamente, non sarà necessario procedere all’informativa nel caso, ad esempio, di sistemi automatizzati deputati alla rilevazione delle presenze in ingresso e in uscita, cui non consegua un’attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale.
Discorso a parte merita, invece, la previsione sub b), riguardante «le indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori».
Anche in questa ipotesi il datore di lavoro ha l’obbligo di informare il lavoratore dell’utilizzo di tali sistemi automatizzati, quali – a puro titolo di esempio: tablet, dispositivi digitali e wearables, gps e geolocalizzatori, sistemi per il riconoscimento facciale, sistemi di rating e ranking, etc.
Si deve ritenere che l’obbligo informativo introdotto dal citato articolo 1-bis del d.lgs. n. 152/1997 trovi applicazione anche in relazione all’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati integrati negli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, allorquando presentino le caratteristiche tecniche e le funzioni descritte in precedenza.
4. SULLE PRESCRIZIONI MINIME RELATIVE ALLE CONDIZIONI DI LAVORO
Preliminarmente, occorre precisare che trattandosi di «Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro», le disposizioni contenute nel Capo III del decreto legislativo in esame costituiscono norme inderogabili e la contrattazione collettiva può introdurre solo disposizioni più favorevoli.
L’articolo 7 fissa la durata massima del periodo di prova a sei mesi, termine che può essere ridotto dai contratti collettivi, come definiti dall’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015.
Nel caso di contratto a tempo determinato, il periodo di prova è fissato proporzionalmente alla durata massima del contratto, entro i limiti previsti ex lege, e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. Inoltre, in caso di rinnovo del contratto per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto a un nuovo periodo di prova.
Il comma 3 stabilisce che il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza, richiamando - a titolo meramente esemplificativo - la sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità/paternità obbligatori. L’indicazione di tali assenze, coerentemente con quanto previsto nella direttiva e come si evince dal tenore letterale della disposizione, non ha carattere tassativo e dunque rientrano nel campo di applicazione del comma 3 tutti gli altri casi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, fra cui anche i congedi e i permessi di cui alla legge n. 104/1992 (cfr. Cass. n. 4573 del 22 marzo 2012 e Cass. n. 4347 del 4 marzo 2015).
Ciò risponde al principio di effettività del periodo di prova, in forza del quale è stata riconosciuta valenza sospensiva dello stesso alla mancata prestazione lavorativa causata da malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, permessi, sciopero, sospensione dell’attività da parte del datore di lavoro.
Trattandosi di un principio consolidato nell’ordinamento giuridico nazionale, appare evidente che se l’elencazione di cui al terzo comma dell’articolo 7 fosse considerata esaustiva delle ipotesi di sospensione del periodo di prova, si avrebbe una riduzione generale del livello di protezione riconosciuto ai lavoratori, in contrasto con l’articolo 20 della direttiva (UE) 2019/1152. Ciò a ulteriore conferma del fatto che l’elencazione di cui al comma 3 è puramente esemplificativa e non esaustiva delle ipotesi di prolungamento del periodo di prova, nel cui novero si devono intendere ricomprese tutte quelle già riconosciute dall’attuale ordinamento giuridico.
Per le pubbliche amministrazioni continua ad applicarsi l’articolo 17 del d.P.R. n. 487/1994.
L’articolo 8 vieta al datore di lavoro di impedire al lavoratore di svolgere in parallelo un altro rapporto di lavoro, se quest’ultimo ha luogo in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata o di riservargli - per tale motivo
- un trattamento meno favorevole.
Le uniche condizioni che consentono al datore di lavoro di «limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro» sussistono allorché: a) vi sia un «pregiudizio per la salute e sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi»; b) sia necessario «garantire l’integrità del servizio pubblico»; c) «la diversa e ulteriore attività sia in conflitto di interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile».
La sussistenza di tali condizioni, che hanno carattere tassativo, deve essere verificata in modo oggettivo: le stesse devono, quindi, essere concretamente sussistenti e dimostrabili e non rimesse a mere valutazioni soggettive del datore di lavoro.
Con riferimento all’espressione «integrità del servizio pubblico», poiché resta ferma, ai sensi dell’articolo 8, comma 4, la disciplina del lavoro pubblico di cui all’articolo 53 del d.lgs. n. 165/2001, essa è da intendersi limitata a quei servizi pubblici gestiti da enti o società cui non si applica la disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Il «conflitto di interessi», anche alla luce degli orientamenti maturati in materia di anticorruzione, può ritenersi che ricorra quando l’ulteriore attività lavorativa, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 cod. civ., comporti, anche potenzialmente, interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro.
In ossequio ai principi generali di buona fede e correttezza, si può infine ritenere che spetti al lavoratore informare il datore di lavoro qualora ricorrano talune delle condizioni ostative al cumulo di impieghi.
L’articolo 9 riguarda i contratti in cui la durata dell’orario di lavoro e la sua collocazione temporale non sono predeterminati. In tali casi, il datore di lavoro o il committente (esclusivamente nell’ambito di contratti di co.co.co. ed etero-organizzati) può imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa solo se:
a) il lavoro si svolge entro ore e giorni di riferimento predeterminati; b) il lavoratore è informato dal suo datore di lavoro o committente sull’incarico da eseguire con il ragionevole periodo di preavviso di cui al nuovo articolo 1, comma 1, lettera p) 3), del d.lgs. n. 152/1997. Il considerando n. 32 della direttiva richiama espressamente l’esigenza che il periodo minimo di preavviso, inteso come il tempo che intercorre tra il momento in cui un lavoratore è informato in merito a un nuovo incarico di lavoro e il momento in cui inizia l’incarico, abbia una durata “ragionevole”. Tale periodo può variare in funzione delle esigenze del settore interessato, ferma restando la necessità di garantire in ogni caso l’adeguata protezione dei lavoratori.
L’articolo 10, ferme restando le disposizioni più favorevoli già presenti nel nostro ordinamento, ha previsto il diritto per il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro presso lo stesso datore di lavoro e che abbia superato l’eventuale periodo di prova, di poter accedere, ove possibile, ad un rapporto di lavoro più stabile e sicuro.
Tale principio, anche alla luce del considerando n. 36 e dell’impianto complessivo della direttiva, intende consentire a lavoratori che siano già occupati presso un datore di lavoro con forme contrattuali non particolarmente stabili, di poter transitare - previa espressa richiesta - verso contratti di lavoro che garantiscano maggiore durata e stabilità, a condizione che siano effettivamente disponibili presso il medesimo datore di lavoro.
L’articolo 11 prevede che la formazione obbligatoria sia garantita gratuitamente a tutti i lavoratori, sia considerata come orario di lavoro e, ove possibile, sia svolta durante lo stesso. La disposizione, tuttavia, non si applica alla formazione professionale e alla formazione per ottenere o mantenere una qualifica professionale, salvo che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla per legge o in base al contratto individuale o collettivo.
Tale previsione fa riferimento a «misure equivalenti» al licenziamento, intendendosi per esse tutte quelle modifiche, adottate dal datore di lavoro o dal committente in modo unilaterale e a svantaggio del lavoratore, che incidono in modo sostanziale sugli elementi essenziali del contratto di lavoro e sono conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dal decreto legislativo in oggetto e dal d.lgs. n. 152/1997 e, comunque, per ragioni estranee al lavoratore (cfr. Corte di Giustizia 11 novembre C- 422/14).
6. DISPOSIZIONI TRANSITORIE
Per quanto concerne la disciplina transitoria, contenuta all’articolo 16 del decreto in esame, si rinvia alle indicazioni già espresse nella circolare INL n. 4 del 10 agosto 2022.
Art. 14 D.Lgs. n. 81/2008 Provvedimenti di sospensione - Attività non differibili.
È pervenuta a questa Direzione una richiesta di parere concernente l’adozione del provvedimento di sospensione ex art. 14, D.Lgs. n. 81/2008 a seguito della sostituzione della citata disposizione da parte dall’art. 13 del D.L. n. 146/2021, con particolare riferimento ai casi di attività la cui interruzione potrebbe comportare gravi conseguenze ai beni ed alla produzione (ad es. nel settore agricolo o in quello zootecnico) nonché la compromissione del regolare funzionamento di un servizio pubblico.
Al riguardo, acquisito il parere concorde del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 4916 del 26 maggio u.s., si rappresenta quanto segue.
A seguito dell’introduzione del “nuovo” provvedimento di sospensione, l’attuale formulazione normativa prevede, diversamente dal testo previgente, l’assenza di discrezionalità in capo al personale ispettivo fatta salva - in forza del comma 4 dell’art. 14 - la possibilità di farne decorrere gli effetti in un momento successivo a meno che “non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità”.
Ciò premesso, la circolare di questo Ispettorato n. 3/2021, nel fornire le prime indicazioni sull’applicazione sul novellato istituto della sospensione, nel paragrafo “condizioni per l’adozione del provvedimento” ha comunque ribadito - richiamando alcuni passaggi della precedente circolare n. 33/2009 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - la necessità di “valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottarlo. Tali circostanze sono anzitutto legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro. In altre parole, laddove la sospensione dell’attività possa determinare a sua volta una situazione di maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi è opportuno non emanare alcun provvedimento. In tal senso va dunque precisato che il provvedimento non va adottato quando l’interruzione dell’attività svolta dall’impresa determini a sua volta una situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori della stessa o delle altre imprese che operano nel cantiere (si pensi, ad esempio, alla sospensione di uno scavo in presenza di una falda d’acqua o a scavi aperti in strade di grande traffico, a demolizioni il cui stato di avanzamento abbia già pregiudicato la stabilità della struttura residua e/o adiacente o, ancora, alla necessità di ultimare eventuali lavori di rimozione di materiali nocivi)”.
La mancata adozione del provvedimento di sospensione è pertanto da considerare una extrema ratio rispetto alla fisiologica applicazione del richiamato art. 14, determinata dal rischio che dall’adozione del provvedimento possano derivare situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.
Tale valutazione va effettuata in rapporto alla fattispecie concreta da parte del personale ispettivo, effettuando un bilanciamento degli interessi coinvolti nel caso di specie e la decisione della mancata adozione va accuratamente motivata, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241/1990 - come espressamente richiamato dal comma 5 dello stesso art. 14 - indicando già nel verbale di primo accesso i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione.
Nelle ipotesi prospettate, si ritiene pertanto che possa integrare un grave rischio per la pubblica incolumità la sospensione di un servizio pubblico che, in assenza di valide alternative che possano garantire l’esercizio di diritti spesso di rango costituzionale, va dunque salvaguardato (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica ecc.).
Analogamente è possibile che dalla sospensione dell’attività di allevamento di animali derivi un grave rischio per la pubblica incolumità, stanti peraltro le conseguenze di natura igienico sanitaria legate al mancato accudimento.
In tutte le ipotesi in cui non ricorrano i presupposti per una mancata adozione del provvedimento di sospensione ma si valuti che dallo stesso possano comunque derivare significativi danni per ragioni tecniche, sanitarie o produttive - ad es. per l’interruzione di cicli produttivi avviati o danni agli impianti per l’improvvisa interruzione - la valutazione da fare è sul possibile posticipo degli effetti della sospensione in un momento successivo a quello dell’adozione del provvedimento, come previsto dal comma 4 dell’art. 14 nel quale si fa riferimento al momento della “cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta”, intendendo pertanto per “attività lavorativa” non solo il singolo turno di lavoro ma il ciclo produttivo in corso, dalla cui interruzione possano derivare conseguenze gravi di natura economica (vedi raccolta dei frutti maturi, vendemmia in corso, ecc.) e sempre che dal posticipo degli effetti della sospensione non derivino rischi per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.
È evidente che laddove, medio tempore, stante il posticipo degli effetti del provvedimento di sospensione, dovessero verificarsi le condizioni indicate nel comma 9 dell’art. 14, lo stesso provvedimento potrà essere revocato.
Resta fermo che la continuazione dell’attività per mancata adozione del provvedimento o per posticipazione dei suoi effetti deve comunque avvenire nel rispetto di ogni condizione di legalità e di sicurezza, cosicché sarà ad esempio impedito ai lavoratori c.d. “in nero” di continuare a svolgere la propria attività sino ad una completa regolarizzazione e la possibilità, ai sensi del comma 1 dell’art. 14, di “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”.
Documento CIIP sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro
ID 16790 | 06.06.2022 / In allegato Documento Proposte CIIP 01.06.2022
Testo Unico Accordo Stato Regioni:
Sulla base di queste premesse e con riferimento alla modifica dell’art. 37 del D.Lgs. 81/08 introdotta dalla legge 215/21 (Decreto sicurezza lavoro Draghi), il gruppo FORMAZIONE di CIIP si è confrontato sull’ipotesi di definizione di un unico Accordo Stato Regioni per la Formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.
Entro il 30 giugno 2022, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adotta un accordo nel quale provvede all’accorpamento, alla rivisitazione e alla modifica degli accordi attuativi del presente decreto in materia di formazione, in modo da garantire: a) l’individuazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro; b) l’individuazione delle modalità della verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa. (Periodo aggiunto dal D.L n. 146/2021 / convertito L. n. 215/2021 / ndr)
________
Il quadro normativo previsto dal D.Lgs. 81/08 e dagli Accordi Stato Regioni appare complessivamente troppo intricato ed eterogeneo e necessita tuttora di interventi significativi di razionalizzazione e di semplificazione.
Il primo aspetto da considerare riguarda la necessità di evitare una divisione concettuale e temporale tra la formazione al lavoro e quella sulla sicurezza. È necessario un passaggio ad una formazione integrata che formi al lavoro sicuro e in salute.
In prospettiva, per i nuovi ingressi nel mondo del lavoro, sarebbe fondamentale che la formazione al lavoro sano e sicuro non fosse un “dopo” staccato dalla formazione al lavoro: risolvere questa “storica” crasi temporale aiuterebbe certamente a non considerare i temi della salute e sicurezza sul lavoro quasi un’opzione separata, “meno importante” rispetto all’acquisizione di competenze e professionalità nel proprio lavoro.
Negli ultimi 20 anni il mondo del lavoro è mutato profondamente, venendo sempre più caratterizzato da molteplicità di rapporti, da instabilità e varietà delle mansioni e da un progressivo stravolgimento del concetto di “sede e luogo di lavoro” oltre che di lavoro “collettivo”, e questo - di per sé - richiede un adeguamento delle modalità di formazione e dei percorsi formativi, con necessità di una ben maggiore flessibilità.
La formazione deve quindi sempre considerare il contesto dove opera il lavoratore e deve essere finalizzata a creare conoscenze e competenze a partire dai fabbisogni individuali oltre che collettivi.
Inoltre, un processo educativo efficace non può prescindere dall’acquisizione di una vera cultura della salute e della sicurezza che consenta di sviluppare una sensibilizzazione tale da determinare comportamenti virtuosi e coerenti.
È indispensabile, pertanto, il coinvolgimento del sistema dell’istruzione.
Per quanto riguarda i percorsi formativi specifici per i professionisti (RSPP, Medici del lavoro, operatori della prevenzione, consulenti) e per le altre figure della prevenzione aziendale (datori di lavoro, dirigenti, preposti, RLS) sono necessari in prima istanza interventi sui programmi dei corsi di laurea o di specializzazione, per fornire conoscenze e competenze più aderenti al mondo del lavoro attuale.
Al contempo è indispensabile una qualificazione degli enti formatori per garantire un adeguato livello della formazione specifica.
Un ruolo determinante negli insuccessi e nelle distorsioni del sistema della formazione delineato è determinato anche dalle difficoltà e dalle carenze del sistema dei controlli.
In aggiunta alle carenze del sistema dei controlli, va anche segnalata l’assenza diffusa di un sistema di verifiche ex post dell’efficacia della formazione e dell’addestramento impartiti ai destinatari della funzione formativa, in primis evidentemente i lavoratori, ma non certo solo essi. Tale carenza risulta decisiva per l’incapacità complessivamente mostrata dal sistema della formazione di auto correggersi eliminando strozzature ed inefficienze.
Per questi motivi diventa inderogabile intervenire definendo competenze (Piano Nazionale dei Controlli) e individuando strumenti adeguati per i controlli nei confronti degli enti erogatori di formazione, soprattutto in merito all’efficacia della formazione.
Tra le necessità di fondo, peraltro avanzate da tutti i soggetti istituzionali e non, c’è quella di operare una semplificazione dei percorsi formativi per evitare sovrapposizioni e ridondanze. Citiamo in proposito, a titolo esemplificativo: il riconoscimento dei crediti, della formazione scolastica, la riduzione delle ore per rischio basso e la riduzione dell’esternalizzazione.
TESTO UNICO ACCORDO STATO REGIONI
Sulla base di queste premesse e con riferimento alla modifica dell’art. 37 del D.Lgs. 81/08 introdotta dalla legge 215/21 (Decreto sicurezza lavoro Draghi), il gruppo FORMAZIONE di CIIP si è confrontato sull’ipotesi di definizione di un unico Accordo Stato Regioni per la Formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Nell’ipotesi di lavoro si è pensato a un documento che contenga gli elementi organizzativi fondamentali unici e validi per tutti i percorsi formativi e a una serie di allegati con i contenuti e le modalità specifiche per la formazione delle diverse figure, comprese quelle attualmente non ricomprese negli attuali Accordi Stato Regioni (lavoratori, preposti, dirigenti, datori di lavoro, RSPP/ASPP, RLS, CSP/CSE, addetti attrezzature, addetti lavori in quota, montaggio e smontaggio ponteggi, lavori in ambienti confinati, addetti rimozione amianto, ecc.).
Verrebbero in tal modo definiti gli aspetti organizzativi fondamentali per tutti i percorsi formativi previsti dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con le sole esclusioni della formazione degli addetti all’emergenza e degli addetti al primo soccorso in quanto i criteri e i con-tenuti sono già stabiliti con legislazione specifica.
Nel documento unico che dovrebbe definire le questioni organizzative, e con riferimento ai contenuti dei vigenti Accordi Stato Regioni, dovrebbero essere affrontati i seguenti aspetti:
[alert]1. Individuazione degli enti formatori e sistema di accreditamento 2. Requisiti dei docenti 3. Organizzazione della formazione 4. Modalità formativa 5. Verifica di apprendimento ed efficacia della formazione 6. Verbali e rilascio attestati 7. Riconoscimento della formazione pregressa 8. Aggiornamenti[/alert]
Le articolazioni dei percorsi formativi e le metodologie didattiche per la formazione delle diverse figure saranno oggetto di singoli allegati.
In questa prima fase sono stati presi in considerazione i percorsi formativi di lavoratori, preposti e dirigenti e sono state fatte alcune riflessioni sulla formazione dei “datori di lavoro”.
Al presente documento viene allegata una specifica proposta per la formazione in ambito scolastico
1. INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI FORMATORI E SISTEMA DI ACCREDITAMENTO
- Gli attuali Accordi Stato Regioni non sono univoci nell’individuazione dei soggetti formatori abilitati a erogare corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro
- Sono indicati i soggetti formatori “Ope legis” legittimati dalla Legge con il D.Lgs. 81/2008 (art. 32 e art. 98) che, di fatto, possono svolgere la formazione su tutto il territorio nazionale
- L’art. 32 del D. Lgs. 81/2008 indica altresì “ulteriori soggetti formatori” definiti da specifici Accordi Stato Regioni.
- Nell’Accordo Stato Regioni del 21/12/2011 viene indicata la possibilità che il soggetto organizzatore del corso sia anche il Datore di lavoro, senza indicare quali sarebbero i soggetti autorizzati
- Nell’’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 (formazione RSPP/ASPP) vengono individuati i soggetti formatori in un unico elenco che comprende sia gli autorizzati ex lege che gli enti accreditati (enti di formazione accreditati in conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia autonoma ai sensi dell’Intesa sancita in data 20 marzo 2008).
CIIP ha più volte evidenziato come l’incertezza interpretativa e, soprattutto, la mancanza di controlli ha comportato un proliferare di proposte formative assolutamente inadeguate con formatori non qualificati e spesso improvvisati che hanno creato un mercato di adempimenti formali e in alcuni casi truffaldino.
Gli stessi datori di lavoro, autorizzati alla organizzazione diretta dell’attività formativa dei propri lavoratori, preposti e dirigenti (Accordo Stato Regioni del 21/12/2011) hanno molto spesso preferito rivolgersi a soggetti esterni che offrono soluzioni immediate a costi contenuti proprio per la loro bassa qualità.
Attualmente è estremamente semplice per chiunque acquistare via web pacchetti di slide preconfezionati e proporre corsi di formazione standardizzati senza alcuna competenza specifica e, soprattutto, senza aver preventivamente effettuato una minima verifica dei bisogni formativi. Sugli attestati rilasciati da questi improvvisati formatori compaiono normalmente loghi vari di soggetti formatori autorizzati ex lege che, a fronte di un corrispettivo, concedono l’uso del logo senza alcun controllo sulle competenze e sulla correttezza di quanto rilasciato a loro nome.
Ogniqualvolta le ASL effettuano verifiche e controlli non limitandosi alla acquisizione di attestati, emergono palesi violazioni e inosservanze e, soprattutto, viene evidenziata l’assoluta inefficacia della presunta formazione erogata. Tale situazione è emersa in modo evidente proprio durante gli accertamenti sulle cause di infortuni particolarmente drammatici.
Inoltre solo per gli enti accreditati dalle Regioni è previsto un controllo (iniziale e periodico) circa il possesso dei requisiti con i quali ottenere l’accreditamento. Requisiti consistenti essenzialmente nella idoneità della sede e della struttura organizzativa. Non è previsto un controllo sulla reale capacità di organizzare e somministrare la formazione.
Nessun controllo è previsto per gli organismi “ope legis”, legittimati.
In entrambi i casi manca qualsiasi controllo sullo svolgimento dei corsi.
Oltre alla vigilanza ex post svolta da ASL e INL si ritiene indispensabile un controllo periodico su tutti gli enti formatori e sui metodi, procedure, programmi, docenti, ecc. dei corsi erogati.
IPOTESI DI LAVORO CIIP
- Sostituire “soggetto formatore” con “ente formatore” per differenziare dai “docenti formatori” - Riduzione del numero degli enti formatori autorizzati ex lege e individuazione di incompatibilità per gli enti deputati al controllo della formazione (ad esempio ASL/ATS e INAIL) - Limitazione dell’ambito di competenza degli enti formatori specialisti alle sole materie di competenza - Limitazione dell’ambito di competenza alla formazione delle sole proprie figure interne per Ministeri, Istituti d’istruzione, ecc. o ai propri iscritti per Ordini e collegi professionali - Obbligo di accreditamento per tutte le strutture che operano per conto di enti autorizzati ex lege quali Università, fondi interprofessionali, associazioni datoriali, associazioni sindacali o come strutture operative di Organismi paritetici - Sistema di accreditamento che dovrebbe essere, in prima istanza, unico, o comunque omogeneo nelle diverse Regioni e riconoscimento reciproco dei soggetti accreditati. Superamento dell’attuale sistema di accreditamento basato essenzialmente su requisiti strutturali e organizzativi e implementazione delle verifiche sulla competenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro - Istituzione di un elenco (repertorio nazionale) degli enti di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro autorizzati - Definizione di un sistema di controllo di qualità degli enti autorizzati: 1) controllo sull’attività di formazione esercitata direttamente sugli enti formatori da parte delle istituzioni pubbliche che accreditano (Regioni o nuovo sistema di accreditamento nazionale) o da organismi statali deputati per il controllo dei soggetti “ope legis” (ad es. INAIL, INL); 2) controllo sull’attività di formazione direttamente in azienda da parte degli organismi di vigilanza (ASL/ATS, INL, VVF). Tale controllo, oltre alla verifica della sussistenza di tutti gli elementi formali, dovrebbe essere mirato alla verifica di efficacia della formazione. - Valutazione circa la possibilità di istituire una funzione pubblica di accertamento dell’efficacia della formazione e dell’addestramento mediamente erogati nei diversi settori produttivi e ambiti territoriali, mirata a scopi conoscitivi e orientativi delle politiche di sostegno, priva di ricadute sanzionatorie. - Attivazione del libretto formativo con obbligo di aggiornamento a carico degli enti formatori. In assenza del libretto formativo generale è possibile utilizzare piattaforme specifiche quali, ad esempio, i registri regionali degli addetti alle attrezzature, o prevedere la registrazione sul SINP - Possibilità di organizzare la formazione di lavoratori, preposti e dirigenti in ambito aziendale sotto la responsabilità del Datore di lavoro (ente formatore), anche utilizzando competenze in-terne (formazione on the job) - Introduzione di momenti formativi nella scuola per la diffusione della cultura della sicurezza, con inserimento curriculare, e facoltà per le scuole superiori di erogare ai loro studenti la “formazione dei lavoratori” direttamente in ambito scolastico prima dell’avvio al lavoro o al tirocinio (che andrà poi completata in modo contestualizzato dall’azienda). Vedi allegato “Scuola”.
Al fine di garantire un sistema per l’accreditamento omogeneo sul territorio nazionale e basato su effettivi principi di efficienza ed efficacia dell’attività formativa erogata, sarebbe opportuno ridefinire i criteri, eventualmente ipotizzando una autorizzazione unica nazionale.
Sistemi di questo tipo sono attualmente già vigenti per il rilascio di autorizzazioni o abilitazioni a soggetti privati che devono svolgere funzioni per conto dello Stato quali verifiche e controlli periodici di attrezzature e impianti, oppure funzioni di tipo omologativo (soggetti notificati per il rilascio di certificazioni CE).
2. REQUISITI DEI DOCENTI
- Il D.I. 6 marzo 2013 definisce i requisiti per i formatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro. - L’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 ha esteso l’obbligo di possesso dei requisiti di cui al D.I. 6/3/2013 ai docenti di tutti i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro (esclusione solo laddove sono previsti requisiti specifici) - Il D.I. 6/3/2013 stabilisce (art. 3) che, dopo 12 mesi dalla data di entrata in vigore, la Commissione consultiva valuti ed eventualmente elabori proposte migliorative.
Il giudizio su detta disciplina non può che essere di grave insufficienza, poiché accolla interamente al committente dei servizi formativi (il datore di lavoro) l’apprezzamento dell’idoneità e preparazione del docente ingaggiato.
Per quanto la materia sia attratta nelle competenze dirette dello Stato ed esuli quindi dal campo di intervento della CSR, la sua strettissima interconnessione con le materie trattate dalla CSR dovrebbe legittimare quest’ultima a farsi portavoce nei confronti dei competenti organi statali, segnatamente alla Commissione consultiva ex art. 6, d. lgs. 81/2008, di alcune basilari richieste di perfezionamento e aggiornamento della disciplina.
Va ristrutturata l’individuazione dei criteri mediante i quali attualmente il formatore in materia di SSL si autoqualifica, evitando di confondere quantità e qualità della sua personale forma-zione e sottoponendo a verifica soprattutto la sua qualificazione rispetto ad ogni singola “tematica" - es. MMC, Rumore, Vibrazioni, DPI, ecc.
Va individuata e riconosciuta la figura dell’istruttore/addestratore per le attività pratiche (anche on the job - es. manutentore elettrico aziendale per la parte pratica del corso PES/PAV) che il D.I. del 2013 non conosce. Andrebbero differenziati i profili professionali di docente, formatore e istruttore in funzione della scala di valutazione EQF per meglio allinearsi al sistema europeo.
IPOTESI DI LAVORO CIIP
È necessario che i docenti posseggano competenze tecnico-professionali adeguate in SSL nei precisi ambiti di insegnamento, con una dimostrabile esperienza pratica e al contempo competenze didattiche.
- Prevedere una formazione specifica o esperienza diretta e pratica documentabile in ambito salute e sicurezza sul lavoro per tutti i docenti. Il solo possesso di una laurea o di un titolo di studio di secondo grado, quando ritenuto sufficiente, non può essere considerato elemento sufficiente per valutare conoscenza ed esperienza sulla materia.
Definire meglio i requisiti di conoscenza ed esperienza per evitare margini interpretativi (es.: individuare i KPI per ogni categoria come: Conoscenze - tecnico-specifiche, organizzative, comunicative / Capacità - intellettuale, gestionale, relazionale, emozionale, creativa-innovativa - Esperienza - in relazione alle attività svolte nel tempo sul campo - ecc...)
- Fornire indicazioni per l’individuazione delle aree tematiche di competenza (normativo/giuridica/organizzativa - rischi tecnici/igienico sanitari - relazioni/comunicazioni), già individuate dal legislatore, ma da puntualizzare e articolare in aree ben più specifiche, in particolare per ciò che concerne l’area “rischi tecnici/igienico sanitari”, prossima alla tuttologia.
- Prevedere un percorso differenziato con requisiti differenti per i docenti “aziendali” (formazione on the job). Le docenze potrebbero essere effettuate anche da personale interno alle aziende, che abbia frequentato il corso da preposto e che abbia il possesso dell’esperienza professionale triennale
- Garantire una effettiva parità di requisiti tra docenti aziendali interni e docenti esterni. Infatti, presumibilmente quello interno potrebbe disporre di una conoscenza più approfondita della Valutazione dei rischi aziendali. Tuttavia la formazione dello stesso esclusivamente on the job dovrebbe essere considerata non sufficiente; è in ogni caso necessaria la dimostrazione della sua conoscenza anche sul piano teorico e scientifico.
Per i docenti esterni deve essere prevista obbligatoriamente l’acquisizione della Valutazione dei rischi del Cliente per contestualizzare meglio l’attività formativa prima di erogare il corso.
- Definire i requisiti degli “istruttori per le parti pratiche dei corsi”. (Le parti pratiche dei corsi di formazione possono essere svolte da persone in possesso di esperienza professionale pratica, documentata, almeno triennale, nelle tecniche che comportano l’impiego di specifiche attrezzature o presidi, in relazione agli argomenti da trattare in ciascun specifico corso).
3. ORGANIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE
Gli Accordi Stato Regioni attuali stabiliscono che il soggetto formatore deve:
a) Indicare il responsabile del progetto formativo b) Indicare i nominativi dei docenti c) Definire il numero massimo di partecipanti (35) d) Predisporre il registro presenze e) Verificare la partecipazione (minimo 90% delle ore per essere ammessi alla verifica dell’apprendimento
IPOTESI DI LAVORO CIIP
Prioritariamente si ritiene che il numero di 35 partecipanti sia troppo elevato per la forma-zione sia in aula (si propone 30) che in particolare in videoconferenza (massimo 20). Non è tuttora chiarito se il numero massimo di 35 partecipanti sia riferibile anche ai corsi di formazione in modalità e-learning.
Per alcuni percorsi formativi particolari che riguardano numeri molto grandi di discenti, potrà essere valutata la possibilità di avere un numero di discenti più ampio previa definizione di modalità di verifica dell’apprendimento più stringenti.
L’ente formatore che ha rilasciato gli attestati, sia un ente esterno oppure lo stesso datore di lavoro, deve conservare per un periodo congruo (ad es. 10 anni) il “Fascicolo del corso” contenente:
- Dati del corso (tipologia, analisi dei bisogni formativi, durata, contenuti) - Dati anagrafici dei partecipanti - Nominativi docenti (con CV) - Registro del corso con elenco e firme dei partecipanti (per i corsi in videoconferenza o e-learning la registrazione con i tempi di fruizione) - Verbali di verifica apprendimento (con data e ora) - Elenco partecipanti idonei - Copia degli attestati rilasciati
Qualora venga attivato il libretto formativo on line, l’ente formatore deve poter esibire copia di quanto registrato.
4. MODALITÀ FORMATIVA
Gli attuali Accordi Stato Regioni precisano che occorre privilegiare le metodologie interattive che comportano la centralità del discente.
La scelta delle modalità da adottare è determinata dagli obiettivi didattici specifici (acquisizione di conoscenze, o di capacità, oppure di atteggiamenti) che devono discendere dall’analisi dei fabbisogni formativi dei soggetti destinatari. In particolare per i lavoratori devono essere considerate le caratteristiche (stranieri, anziani/giovani, grado di esperienza e di specializzazione ...) e le tipologie contrattuali (temporanei, flessibili, somministrazione ...).
Per la formazione dei lavoratori, dei preposti e dei dirigenti deve essere preferita la forma-zione in azienda utilizzando, ad esempio il training on the job e altre metodologie interattive. Il tempo dedicato alle lezioni frontali non dovrebbe superare il 50% del tempo di formazione. Per questi motivi, in particolare per la formazione dei lavoratori e dei preposti, pur considerando che la normativa attuale prevede la possibilità di utilizzare modalità da remoto (e-learning e videoconferenza), tali modalità dovrebbero essere il più possibile evitate.
Si ritiene possibile consentire la formazione e-learning per quelle macro-categorie che si caratterizzano per avere particolari esigenze di ordine organizzativo quali ad esempio:
- elevata numerosità della popolazione lavorativa ed elevata mobilità interna; - una matrice rischio/figura professionale ad elevata complessità; - presenza di competenze ad elevato profilo professionale.
La soluzione tecnologica a supporto dello strumento formativo e-learning deve essere integrata all’interno di un più complesso sistema informativo aziendale, e deve garantire:
- accessibilità attraverso il sito intranet aziendale e integrata ai sistemi presenti; - gestione del Servizio di Prevenzione e Protezione anche attraverso l’utilizzo di fornitori esterni; - tracciamento e reportistica sia dei tempi di fruizione sia dell’esito delle verifiche di apprendi-mento;
I singoli corsi dovranno inoltre garantire:
- elevata integrazione tra le procedure aziendali ed il materiale didattico; - metodologie didattiche differenti, immagini, testi, filmati ecc, per favorire l’apprendimento e la memorizzazione a lungo termine.
La validità dello strumento deve essere assicurata dalle figure responsabili, Dirigenti e Preposti, che assumono un ruolo fondamentale nel processo di individuazione di eventuali debiti formativi, ne verificano l’effettiva fruizione e verificano sul campo le competenze acquisite dando evidenza dell’efficacia dell’intervento formativo.
Per le figure che dovranno acquisire specifiche competenze tecniche e professionali (ad esempio RSPP, ASPP, Formatori, CSP, CSE, in parte RLS, ecc.) è possibile utilizzare modalità e metodologie differenti considerando:
- Formazione in aula 8 - Videoconferenza sincrona - E-learning
Note:
- Preso atto che il legislatore ha riconosciuto la modalità della videoconferenza sincrona come un valido strumento per la formazione (legge 19 maggio 2022, n. 52 - art 9 bis), si ritiene indispensabile definire i requisiti di trasparenza, tracciabilità e interattività, fermo restando l’impossibilità di utilizzare questa modalità per le parti pratiche dei corsi di formazione. - Ridurre al minimo la possibilità di accedere alla formazione e-learning. Proprio per l’uso dif-fuso di questa modalità, sarebbe opportuna una verifica di tutti gli enti che fanno formazione in e-Learning, ad esempio sottoponendo ad autorizzazione/abilitazione preventiva gli enti autorizzati (da affidare ad esempio a INAIL) e sulla effettiva efficacia laddove si è proceduto in tal modo. - L’uso della modalità e-learning per la formazione di soggetti che si occuperanno di sicurezza professionalmente (RSPP, Coordinatori della sicurezza in edilizia, ecc.) dovrebbe prevedere un formale riconoscimento con un sistema abilitativo a cura dell’istruzione pubblica attraverso Università e scuole superiori, con una verifica di apprendimento affidata ad una commissione “terza”.
5. VERIFICA DI APPRENDIMENTI ED EFFICACIA DELLA FORMAZIONE
Premesso che si ritiene sempre indispensabile la rilevazione preventiva dei bisogni formativi individuali e collettivi, è comunque opportuno prevedere sempre anche verifiche iniziali prima dell’avvio del corso
Valutare l’opportunità di prevedere che la verifica di apprendimento e il conferimento dell’abilitazione vengano effettuati da organismi “terzi”, indipendenti o pubblici, soprattutto per le figure professionali (RSPP, CSP/CSE) e per la formazione in modalità e-learning.
In alternativa, per i corsi di formazione e di aggiornamento svolti in modalità e-Learning e per i corsi in videoconferenza sincrona l’ente soggetto formatore dovrà definire preventivamente le modalità con le quali verrà effettuata la verifica finale dell’apprendimento.
Le verifiche devono essere registrate, anche con l’utilizzo di supporti informatici, e devono evidenziare il nominativo del lavoratore coinvolto, data, tipologia del corso svolto, nominativo leggibile con firma del Docente o del Responsabile del progetto formativo.
Passaggi per le verifiche:
1. Rilevazione dei bisogni formativi e/o verifica iniziale 2. Verifiche intermedie 3. Valutazione alla fine del corso con metodologie più probanti rispetto al questionario (ad esempio con esercitazioni, presentazione e discussione su project work, colloquio) 4. Valutazione d’impatto 5. Verifica d’efficacia durante le prestazioni lavorative
Le verifiche di efficacia della formazione e dell’aggiornamento devono essere svolte durante lo svolgimento della prestazione lavorativa e sono predisposte dal Servizio di Prevenzione e Protezione che ne definisce argomenti, attrezzature, modalità, procedure nonché la periodicità, anche in funzione dei processi produttivi e dei corrispondenti rischi associati alle mansioni.
Nella elaborazione e predisposizioni delle verifiche di efficacia sono coinvolti i componenti del Servizio di Prevenzione e Protezione.
Un ruolo importante dovrà essere svolto dal preposto che dovrà essere appositamente formato per lo svolgimento di questo ruolo.
Per le aziende che hanno implementato il sistema di gestione MOG SSGL (verifica monito-raggio e miglioramento), la verifica di efficacia della formazione potrà avvenire nell’ambito di questo sistema.
Si ritiene opportuno che, sotto la responsabilità del datore di lavoro, vengano registrati e siano riscontrabili tutti controlli e le verifiche sulla coerenza dei comportamenti durante le prestazioni lavorative rispetto alla formazione erogata.
Da valutare l’ipotesi che l’efficacia complessiva del sistema possa essere monitorata con metodi “tipo INVALSI”: permetterebbe di verificare l’efficacia dell’intero sistema in maniera slegata dalla “vigilanza” e per scopi “statistici” utili alla sua eventuale ritaratura. Senza nulla togliere alla necessità che sia condotta una valutazione ad hoc rispetto ai singoli momenti formativi, necessaria sia all’impresa che ai “controlli”.
6. VERBALI E RILASCIO ATTESTATI
L’intero sistema non può più fare a meno di un libretto formativo del cittadino, sul quale siano registrati tutti i percorsi formativi in materia di salute e sicurezza sul lavoro e non solo.
In attesa della completa attuazione ad opera delle Regioni delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 276/2003 relative al “libretto formativo del cittadino”, autorizzare l’Ispettorato Nazionale del Lavoro o l’INAIL a predisporre un modello utile alla tenuta della documentazione relativa all’avvenuta formazione da inserire nella III sezione “Elenco delle certificazioni e attestazioni”.
Ciò allo scopo di favorire la corretta tenuta della documentazione stessa e, al contempo, permettere che, in caso di mutamento di lavoro, il datore di lavoro possa avere rapidamente contezza della formazione già effettuata dal soggetto.
I verbali con i risultati delle verifiche di apprendimento devono essere disponibili nel fascicolo del corso presso l’ente organizzatore o presso l’azienda qualora lo stesso sia organizzato e gestito sotto la responsabilità aziendale.
Per quanto riguarda la formazione dei professionisti (RSPP/ASPP, CSP/CSE) e le formazioni qualificanti (addetti alle attrezzature, lavori in ambienti confinati, addetti rimozione amianto, montaggio e smontaggio ponteggi, lavori in quota, ecc.) e indispensabile prevedere una registrazione formalizzata unica a livello nazionale (SINP o altra modalità).
7. RICONOSCIMENTO DELLA FORMAZIONE PREGRESSA
L’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 contiene le tabelle di equiparazione che consentono di evitare duplicazioni nei percorsi formativi richiesti.
Tuttavia si ritiene indispensabile una riflessione sulla possibilità di valorizzare per tutte le figure in formazione, compresi quindi lavoratori, dirigenti e preposti, le specifiche esperienze lavorative svolte (apprendimento informale o non formale), comprese quelle effettuate nell’ambito scolastico.
Si ritiene necessaria una semplificazione dei diversi percorsi formativi qualificanti proprio per evitare ripetitività e ridondanza di alcuni concetti.
8. AGGIORNAMENTI
L’aggiornamento è quello che rende la formazione un processo continuo, quale deve essere: occorre evitare che esso consista - come spesso avviene attualmente - nella somministrazione di un corso standardizzato di un numero fissato di ore entro la scadenza.
L’aggiornamento va realizzato - anche al di fuori di schemi normativi - ad ogni modifica significativa del processo produttivo (modifiche dei reparti, introduzione di nuove attrezzature, nuove tecnologie, nuove sostanze e miscele pericolose) e dell’organizzazione del lavoro ma anche a seguito di infortuni e malattie professionali o di altri eventi significativi nella gestione della SSL, coerentemente con l’aggiornamento del DVR ma non solo.
L’aggiornamento deve essere realizzato sul posto di lavoro, con modalità e durata variabili in funzione delle necessità, assicurando comunque la periodicità minima stabilita, introducendo un sistema con crediti annuali (tipo ECM o simili).
Per l’aggiornamento dei lavoratori e dei preposti è opportuna una formazione in azienda, possibilmente sul posto di lavoro, al fine di riprendere gli aspetti formativi che hanno evidenziato carenze e correggere procedure inadeguate.
L’aggiornamento dovrebbe essere programmato per ogni cambiamento delle condizioni di lavoro o in caso di eventi significativi (come sopra).
L’aggiornamento obbligatorio per le figure professionali e specialistiche può essere ottemperato per mezzo della partecipazione a convegni o seminari nella misura non superiore al 25% del totale di ore previste.
Possono essere assegnate al massimo 2 ore di aggiornamento per ciascun evento.
I crediti formativi sono rilasciati dagli enti soggetti formatori che possono organizzare o patrocinare Convegni e seminari di studio.
ALLEGATI
LA FORMAZIONE DEI DATORI DI LAVORO
La base di partenza è rappresentata dal percorso formativo attualmente previsto per i datori di lavoro RSPP delle aziende a rischio basso (16 ore). Infatti i contenuti di questa formazione si sovrappongono a quanto previsto per la formazione dei dirigenti.
È comunque opportuno prevedere perlomeno due diverse tipologie di datori di lavoro:
1. Titolari di grandi aziende - Amministratori delegati - Direttori generali - Direttori di stabilimento con delega 2. Lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, professionisti - con collaboratori
Per i datori di lavoro di cui al punto 1, che normalmente dispongono di strutture di supporto, la formazione deve avere un approccio culturale qualitativo con taglio prevalentemente organizzativo, gestionale, strategico, economico oltre che tecnico.
Per i datori di lavoro di cui al punto 2 la formazione deve essere mirata anche alla gestione dei rischi specifici presenti in queste attività lavorative. Anche in questo caso è necessario prevedere un momento formativo sugli aspetti normativi, gestionali e organizzativi.
Per le imprese artigiane e le microimprese, dove spesso il datore di lavoro opera a contatto con i propri collaboratori, sarebbe opportuno prevedere momenti formativi comuni tra lavoratori e datori di lavoro.
LE FIGURE AZIENDALI DELLA PREVENZIONE
La formazione deve:
- essere specifica per settore lavorativo, per mansione e per tipologia contrattuale; - privilegiare le metodologie attive idonee a ottimizzare i processi di apprendimento degli adulti nel contesto considerato; - basarsi sulla centralità del discente, ricercandone partecipazione e coinvolgimento: in relazione a questo la modalità “lezioni frontali” non deve superare il 50% del tempo di formazione. - bilanciare gli aspetti nozionistici e tecnici con quelli motivazionali e comportamentali o socio- relazionali (”trasversali”) - sviluppare nei discenti capacità di autonoma analisi del contesto lavorativo, di lettura dei documenti aziendali e di interazione con gli altri soggetti aziendali della prevenzione; - essere integrata con l’organizzazione aziendale, riducendosi per quanto possibile l’esternalizzazione in modo che almeno una quota significativa della formazione venga condotta nel luogo di lavoro o sia comunque legata alla realtà lavorativa aziendale: -- avvalendosi delle competenze e della collaborazione di figure aziendali (RSPP, MC, RLS, di-rigenti, preposti o lavoratori senior o esperti) -- utilizzando quali supporti della formazione i documenti aziendali di gestione della SSL (DVR, procedure e disposizioni interne, manuali di istruzioni di macchine, schede di sicurezza, protocollo sanitario, dati infortunistici e di malattia ecc.) -- impiegando metodi di affiancamento, mentoring o coaching. - utilizzare ai fini didattici appropriati esempi di eventi infortunistici o di malattie da lavoro relativi all’andamento di tali fenomeni nella azienda e/o nel comparto/settore di appartenenza al fine dell’apprendimento dei fattori causali, dell’acquisizione di consapevolezza dei rischi e delle conseguenze di salute.
LAVORATORI
Il percorso formativo deve essere per quanto possibile personalizzato sulla base delle necessità e della formazione pregressa, per costruire un curriculum formativo individuale. I fabbisogni devono essere formalmente riportati nella pianificazione della formazione, a sostegno della motivazione nella scelta delle modalità in relazione agli obiettivi (che possono consistere nell’acquisizione di conoscenze, capacità e comportamenti), ai contesti formativi, ai discenti.
Gli schemi formativi definiti - al fine di garantire l’adeguamento della formazione al contesto, ai fabbisogni, ai destinatari, alle imprese - possono essere applicati con la necessaria flessibilità, che deve essere motivata.
Ciò deve essere realizzato in particolare nelle situazioni caratterizzate da rapporti di lavoro flessibili, luoghi di lavoro destrutturati o non definiti, lavori in appalto/sub-appalto, lavoro in solitario, smart working, instabilità o variabilità occupazionale, ecc. per le quali è necessario prevedere modalità speciali volte a:
- fornire ai lavoratori capacità di lettura dell’organizzazione aziendale; - fornire consapevolezza in merito ai propri diritti; - permettere di riconoscere le particolarità dell’applicazione delle norme di tutela di salute e sicurezza nel proprio ambito.
Sulla base della formazione pregressa e dei fabbisogni formativi il tempo della formazione può essere rimodulato con possibilità di riduzione fino al 50% nel caso di precedenti corsi in parte sovrapponibili, onde evitare ripetizioni.
La formazione per la categoria di “rischio basso” dovrebbe essere semplificata e, probabilmente, ridotta nei tempi.
La formazione è propedeutica all’addestramento effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro (art.37 c.5).
PREPOSTI
La formazione deve garantire ai preposti le conoscenze specifiche del contesto di lavoro in cui operano, dei pericoli e dei rischi, delle misure di prevenzione e protezione ma, al contempo, le competenze necessarie allo svolgimento dei compiti richiesti, con attenzione quindi agli aspetti relazionali, comunicativi, psico-sociali.
La formazione dei preposti deve adottare modalità in grado di costruire capacità:
- di rilevare le carenze dei luoghi, delle attrezzature, delle macchine e degli impianti; - di avere un quadro dei rischi e delle possibili conseguenze degli stessi; - di svolgere i compiti di vigilanza sull’osservanza degli obblighi di legge dei lavoratori, sulle misure di sicurezza collettive e di protezione personale, sulle disposizioni aziendali in materia; - di intervenire sui comportamenti dei lavoratori e delle ditte presenti in regime di appalto.
Durata: 16 ore (aumento di 8 ore) con ripetizione biennale (L. 215) solo di 8 ore?
DIRIGENTI
La formazione per i dirigenti deve essere sovrapponibile a quella dei datori di lavoro per argomenti e per modalità, ad esclusione di quanto concerne gli obblighi non delegabili di cui all’art. 17.
La formazione deve garantire ai dirigenti le conoscenze specifiche del contesto di lavoro in cui operano, dei pericoli, dei rischi, dei possibili danni, delle misure di prevenzione e protezione adottabili e al contempo le competenze necessarie allo svolgimento dei compiti previsti dal loro ruolo e incarico e dalle deleghe ricevute (dirigente del personale, degli acquisti, della manutenzione, ecc.) compresi gli aspetti relazionali, comunicativi, psico-sociali.
Le modalità per la formazione dei dirigenti devono permettere di costruire capacità:
- di collaborare alla valutazione dei rischi della propria azienda, compresi i rischi di interferenza in caso di appalti e subappalti, e alla definizione delle soluzioni tecniche, organizzative, procedurali; - di rilevare carenze dei luoghi, attrezzature, macchine e impianti; - di saper comunicare con le figure aziendali (preposti, RLS, medico competente, incaricati del primo soccorso...) coinvolgendole ai fini di creare un’organizzazione efficiente e proattiva alle finalità di prevenzione; - di svolgere i compiti di direzione sull’osservanza degli obblighi di legge dei preposti e dei lavoratori, sulle misure di sicurezza collettive e di protezione personale, sulle disposizioni aziendali, con attenzione anche alle modalità operative dei lavoratori e delle ditte presenti in regime di appalto.
ALLEGATO SULLA FORMAZIONE ALLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO (SSL) NELLE SCUOLE
A cura di Sergio Piazzolla e Maria Grazia Fulco
Le scuole superiori sono obbligate a formare alla Sicurezza sul lavoro i propri alunni che nella didattica utilizzano laboratori ed attrezzature, sia per la parte Generale sia per la parte specifica. Qualora ci siano le condizioni, ciascuna scuola può erogare agli alunni la formazione generale e la formazione specifica direttamente, oppure in alternativa può scegliere di avvalersi di formatori esterni o di attuare forme miste. In caso di Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO), la formazione specifica ricevuta a scuola potrebbe non essere sufficiente e quindi va necessariamente integrata e contestualizzata da parte dell’azienda ospitante. Nella progettazione/realizzazione dei PCTO vanno ricordati i ruoli fondamentali dei tutor scolastici e aziendali.
Tuttavia, parlando con studenti e professori, sembra che la formazione alla SSL sia ancora vissuta come un obbligo da assolvere e non come una necessità da fare propria e da interiorizzare.
Per ovviare a ciò si propone di adottare il percorso proposto in “Scuola Sicura”, ovvero di accompagnare lo studente, dalle scuole materne fino alle superiori, con le conoscenze in materia di SSL, che dovranno essere declinate in base all’età e sviluppate in un continuum didattico. Viene proposto che gli insegnanti ”aggancino” le tematiche di SSL alle proprie materie, offrendo così spunti concreti e pertinenti di riflessione e di rielaborazione in merito.
Appare anche strategico, accanto alla formazione obbligatoria “standard” prevista per le scuole (generale e specifica), avvalersi di approfondimenti tematici, che ogni scuola potrà sviluppare sulla scorta delle sollecitazioni interne e del proprio territorio, finalizzate a sviluppare consapevolezza nei confronti di SSL da parte dei propri studenti.
Tali approfondimenti/sollecitazioni sono ancora più necessari in questo momento storico in cui la formazione generale viene erogata on line. Bisogna allenare gli studenti a ragionare nei termini di causa ed effetto e aiutarli ad immaginare le conseguenze delle azioni/situazioni, etc.
Gli psicologi ci insegnano che per ricordare è bene legare gli eventi alle emozioni, per cui è necessario anche nella scelta degli approfondimenti, tenere in considerazione questi aspetti. Potrebbe essere funzionale allo scopo, per esempio la visione di un pezzo teatrale, della lettura di un passo di letteratura, di un film, etc...
Il recente reinserimento dell’Educazione civica può rappresentare una opportunità per la promozione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro nelle scuole.
Il vero salto culturale sarebbe quello di realizzare l’inserimento curricolare della cultura della salute e sicurezza nelle scuole. Come si diceva prima, Scuola sicura, potrebbe rappresentare un utile strumento.
Tuttavia per facilitare questo processo anche gli insegnanti andrebbero accompagnati e sostenuti. Dal nostro punto di vista gli insegnanti rivestono il duplice ruolo, ovvero quello di lavoratori e quello di educatori.
Si tratta di un connubio prezioso, che va tenuto presente in occasione della loro formazione obbligatoria in qualità di lavoratori. La formazione dedicata agli insegnanti dovrebbe essere progettata e strutturata già con l’ottica che questi possano ritrasferirla ai propri studenti, con metodologie didattiche opportune da loro elaborate e declinate per età, contesto scolastico e ambientale.
Nelle more che avvenga questo cambio di paradigma si potrebbe agire offrendo degli aggiornamenti agli insegnanti di tutte le scuole di ogni ordine e grado, coinvolgendo i Servizi PSAL dei Dipartimenti di Prevenzione.
In questo duplice processo dovrebbero essere coinvolti i Dipartimenti di Prevenzione con i propri PSAL, previa intesa fra MIUR, Ministero del Lavoro e Ministero della salute.
Tale mission andrebbe inserita nei LEA della sanità e nei corsi obbligatori di aggiornamento degli insegnanti, in modo che non si verifichino costi aggiuntivi per lo Stato. Inoltre si realizzerebbe quella tanto auspicata collaborazione fra enti. E’ un processo lungo, che darà i suoi frutti sul lungo periodo.
Questi atti sono necessari per permettere l’inserimento di SSL nei piani delle offerte formative e nei curricula scolastici.
Si aggiunge che anche nei percorsi universitari è opportuno che si inserisca un insegnamento di SSL. In particolare nel Corso di Laurea di Scienze della Formazione Primaria, che prepara i futuri docenti delle scuole d’infanzia e primarie, è importante insegnare e sperimentare queste competenze, come attuato per tre anni accademici presso l’Università di Bergamo. Si ritiene opportuno sensibilizzare le Università, attraverso il Ministero dell’Università.
Di seguito si riportano le esperienze svolte fino ad oggi da ATS Bergamo e da ATS CM Milano, insieme ad una tabella che riassume diverse proposte.
Esperienze:
ATS Bergamo:
“La Scuola Sicura" in fase di sperimentazione a Bergamo, con le Unità di apprendimento e gli strumenti di osservazione e valutazione che sono stati messi a punto finora (visionabili liberamente al sito www.lascuolasicurabergamo.it).
Percorsi universitari relativi al mondo scolastico: Ideazione e realizzazione sperimentale (con docenza di personale ATS) di un corso “Salute e sicurezza del lavoro dell’insegnante, del tirocinante presso le istituzioni scolastiche ed educative, e degli allievi delle scuole.
Didattica della promozione della salute nelle scuole e nei servizi educativi” di 16 ore, attuato da personale di ATS Bergamo per 3 anni accademici (2017-2019) presso l’Università di Bergamo. È a disposizione il materiale didattico, il programma del corso e le valutazioni di gradimento.
ATS Città Metropolitana MILANO:
Ideazione e sperimentazione da parte di ATS Servizio PSAL Milano di un percorso formativo dedicato ai docenti della scuola primaria (elementari e medie) al fine di introdurre nel piano dell’offerta formativa l’inserimento di SSL. L’iniziativa è stata apprezzata dai docenti e dalla dirigenza scolastica, che ha chiesto una nuova edizione da presentare ai nuovi docenti poiché la scuola si è trovata ad affrontare un grande turn-over a causa del pensionamento della maggior parte dei docenti.
Ideazione e sperimentazione di un percorso formativo per far approfondire e sviluppare le tematiche di SSL all’interno di un PCTO fra un liceo di scienze umane e una scuola elementare per promuovere in quest’ultima, sede di PCTO, il trasferimento di aspetti di SSL da parte degli studenti liceali ai bambini più piccoli. Per tale progetto il servizio PSAL ha vinto nel 2018 il Premio qualità di ATS.
Realizzazione di percorsi prima in Alternanza scuola lavoro e successivamente in PCTO presso le nostre unità operative.
Si riporta la seguente tabella utilizzabile come riassunto/proposta:
Questione
Norma attuale
Riflessione
Proposta
1) La scuola ha già oggi l’obbligo di formare alla sicurezza i suoi alunni che nella didattica utilizzano laboratori ed attrezzature (equiparati al lavoratore, e spesso cominciano ad utilizzarle già in classe prima...)
Ai sensi dell’Art.2 c.1 lettera a) del D.gs. 81/08, nelle Istituzioni scolastiche, in talune condizioni, ogni studente è equiparato al lavoratore. In particolare tale equiparazione è presente allorché gli Allievi delle scuole di ogni ordine e grado siano impegnati effettivamente in laboratori nell’uso di sostanze e attrezzature di lavoro ovvero quando sono esposti a rischio chimico, fisico o biologico (se considerato nel DVR) ovvero se usano videoterminali
La scuola DEVE garantire agli alunni almeno le 4 ore di formazione generale e 8 ore (rischio medio x Istruzione) di formazione specifica come da art. 37 D.Lgs 81/2008)
Esplicitare in quali modi alternativi:
1) erogandola direttamente a scuola
2) affidandola a enti esterni
3) Forma mista tra le 2 precedenti
4) Attuando l’inserimento curricolare permanente della cultura della SSL, suddiviso tra le varie discipline di insegnamento
E’ già in vigore l’obbligo per le scuole superiori, che riguarda quasi tutti gli allievi
Formalizzare - esplicitare che la scuola può erogare agli alunni la formazione direttamente, oppure in alternativa può scegliere di avvalersi di formatori esterni
Prevedere il rilascio dell’attestato di formazione da parte delle scuole, in caso di formazione in autonomia
2)La scuola superiore deve formare alla sicurezza gli alunni che fanno l’ex Alternanza scuola- lavoro (ora PCTO), equiparati ai lavoratori
Per quanto riguarda la Scuola Secondaria di Secondo Grado è necessaria la formazione da effettuare per tutti gli studenti (equiparati ai lavoratori poiché entrano nell’azienda ospitante) tenendo anche conto dell’obbligatorietà dei percorsi di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, ossia Alternanza Scuola-Lavoro), per i quali, sempre e comunque, devono essere applicate tutte le misure preventive e protettive dell'integrità fisicopsichica di cui D.Lgs. n. 81/2008
Come sopra, la scuola può formare direttamente o scegliendo di concordare e affidare il compito all’azienda ospitante (che comunque deve assicurare la parte rimanente della formazione specifica che si è definita "CONTESTUALIZZATA")
Come da art. 37 D.Lgs (81/2008) e Accordo del 2011 art.5 c.2
E’già un obbligo in vigore per le scuole superiori, che riguarda tutti gli allievi (perché tutti devono fare PCTO)
Formalizzare- esplicitare che la scuola può erogare agli alunni la formazione generale e specifica direttamente (esclusa la parte di "specifica contestualizzata" riservata
all’azienda ospitante) oppure in alternativa può scegliere di avvalersi di formatori esterni
Prevedere il rilascio dell’attestato di formazione da parte delle scuole
3)Insegnamento della CULTURA della sicurezza, che è più ampia della Formazione mirata, è un percorso quinquennale che dà una forma mentis e delle competenze che si basano su conoscenze
E’una cultura più vasta, da cittadino
preparato ed attento, che prevede un numero più elevato di ore svolte nelle normali lezioni curricolari, per tutti gli anni di corso.
Esempio:
"A scuola di sicurezza": manuale guida della Regione Lombardia sulle
competenze di sicurezza da trasmettere nelle scuole
Inserimento curricolare della salute e sicurezza sul lavoro i docenti delle varie discipline di insegnamento veicolano ciascuno alcuni concetti ed aspetti culturali di sicurezza, legandoli alla propria materia.
Si può solo a titolo di esempio utilizzare eventualmente e liberamente il materiale di "lascuolasicu
rabergamo.it" ma anche altri analoghi.
La scuola può decidere liberamente di inserirlo nella sua proposta curricolare in modo trasversale tra le varie materie/discipline
oppure
si può anche trasmettere utilizzando il percorso obbligatorio trasversale di Educazione Civica (33 ore/anno scolastico, da erogare da parte dei docenti delle varie materie/discipline)
4) Percorsi universitari relativi al mondo scolastico
E’ opportuno che almeno nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria si introduca un insegnamento con CFU sull’igiene e Sicurezza dei docenti e degli allievi
Attualmente i percorsi con CFU di questo Corso di Laurea non prevedono questo insegnamento
La Sicurezza deve essere un bagaglio culturale dei futuri insegnanti delle scuole d’infanzia e primarie. Ed anche le modalità di base per trasmetterla.
Proporre al Ministero dell’università l’inserimento di questo insegnamento almeno nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria
Formazione/aggiornamento insegnanti elementari e medie per introdurre SSL nei POF.
Introduzione di momenti formativi ad hoc da affiancare alla formazione generale e specifica già prevista per elevare il livello di consapevolezza nei confronti di SSL degli studenti.
Il libro unico del lavoro ha la funzione di documentare lo stato effettivo di ogni singolo rapporto di lavoro e rappresenta per gli organi di vigilanza lo strumento attraverso il quale verificare lo stato occupazionale dell’impresa.
Il datore di lavoro privato, a meno che non sia un datore di lavoro domestico, deve istituire e tenere il libro unico del lavoro, sul quale iscrivere i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi (con o senza progetto) e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo.
Il libro unico del lavoro si realizza mediante uno dei seguenti sistemi:
- elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, preventivamente numerati in ogni pagina e vidimati dall’Inail o da soggetti abilitati (tipografie) - a stampa laser, con autorizzazione preventiva dell’Inail alla stampa e alla generazione della numerazione automatica; l’autorizzazione consente di vidimare il libro unico con stampa laser, utilizzando sia un tracciato pre-autorizzato dall’Inail alla casa di software che lo produce sia un tracciato elaborato dal datore di lavoro stesso - su supporti magnetici o a elaborazione automatica dei dati, che garantiscano la consultabilità, la inalterabilità, la integrità dei dati, la sequenzialità cronologica. Questa modalità di tenuta è sottratta agli obblighi di vidimazione e autorizzazione dell’Inail.
La richiesta di autorizzazione alla vidimazione in stampa laser è presentata dalla Ditta o dall’intermediario (sempre a nome della ditta) tramite l’apposito servizio on line “Autorizzazione stampa laser” presente sul sito www.inail.it.
In caso di tenuta del libro unico su supporti magnetici o a elaborazione automatica dei dati, invece, bisogna fare comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro prima della messa in uso, con indicazioni dettagliate delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.
Le registrazioni obbligatorie sul libro unico del lavoro devono avvenire entro la fine del mese successivo a quello di riferimento.
Il libro unico è tenuto e conservato, in alternativa, presso:
- la sede legale dell’impresa - lo studio dei consulenti del lavoro o di altro professionista abilitato - i servizi ed i centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa.
Il datore di lavoro, i professionisti autorizzati o i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria che detengono il libro unico del lavoro hanno l'obbligo di conservarlo per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione.
La violazione dell’obbligo di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro. L’omessa esibizione agli organi di vigilanza del libro unico del lavoro é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro. I soggetti di cui all’articolo 1, quarto comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso sono puniti con la sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro. In caso di recidiva della violazione la sanzione varia da 500 a 3000.
Salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro. La violazione dell’obbligo di compilazione coi dati , per ciascun mese di riferimento, entro la fine del mese successivo é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 150 a 1500 euro. La mancata conservazione é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro.[/box-warning]
Art. 39 Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro
1. Il datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, deve istituire e tenere il libro unico del lavoro nel quale sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Per ciascun lavoratore devono essere indicati il nome e cognome, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.
2. Nel libro unico del lavoro deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro, compresi le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente. Il libro unico del lavoro deve altresi’ contenere un calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché l’indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori é annotata solo la giornata di presenza al lavoro.
3. Il libro unico del lavoro deve essere compilato coi dati di cui ai commi 1 e 2, per ciascun mese di riferimento, entro la fine del mese successivo.
4. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali stabilisce, con decreto da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le modalità e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina il relativo regime transitorio.
5. Con la consegna al lavoratore di copia delle scritturazioni effettuate nel libro unico del lavoro il datore di lavoro adempie agli obblighi di cui alla legge 5 gennaio 1953, n. 4.
6. La violazione dell’obbligo di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro di cui al comma 1 é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro. L’omessa esibizione agli organi di vigilanza del libro unico del lavoro é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro. I soggetti di cui all’articolo 1, quarto comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso sono puniti con la sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro. In caso di recidiva della violazione la sanzione varia da 500 a 3000.
7. Salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1 e 2 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro. Ai fini del primo periodo, la nozione di omessa registrazione si riferisce alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui manchi la registrazione e la nozione di infedele registrazione si riferisce alle scritturazioni dei dati di cui ai commi 1 e 2 diverse rispetto alla qualità o quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme effettivamente erogate. La violazione dell’obbligo di cui al comma 3 é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 150 a 1500 euro. La mancata conservazione per il termine previsto dal decreto di cui al comma 4 é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro. Alla contestazione delle sanzioni amministrative di cui al presente comma provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 é la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.
8. Il primo periodo dell’articolo 23 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 é sostituito dal seguente: “Se ai lavori sono addette le persone indicate dall’articolo 4, primo comma, numeri 6 e 7, il datore di lavoro, anche artigiano, qualora non siano oggetto di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, deve denunciarle, in via telematica o a mezzo fax, all’Istituto assicuratore nominativamente, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, indicando altresi’ il trattamento retributivo ove previsto”.
9. Alla legge 18 dicembre 1973, n. 877 sono apportate le seguenti modifiche: a) nell’articolo 2, é abrogato il comma 3; b) nell’articolo 3, i commi da 1 a 4 e 6 sono abrogati, il comma 5 é sostituito dal seguente: “Il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda é obbligato a trascrivere il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione nel libro unico del lavoro”; c) nell’articolo 10, i commi da 2 a 4 sono abrogati, il comma 1 é sostituito dal seguente: “Per ciascun lavoratore a domicilio, il libro unico del lavoro deve contenere anche le date e le ore di consegna e riconsegna del lavoro, la descrizione del lavoro eseguito, la specificazione della quantità e della qualità di esso”; d) nell’articolo 13, i commi 2 e 6 sono abrogati, al comma 3 sono abrogate le parole “e 10, primo comma”, al comma 4 sono abrogate le parole “3, quinto e sesto comma, e 10, secondo e quarto comma”.
10. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati, fermo restando quanto previsto dal decreto di cui al comma 4: a) l’articolo 134 del regolamento di cui al regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422; b) l’articolo 7 della legge 9 novembre 1955, n. 1122; c) gli articoli 39 e 41 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797; d) il decreto del Presidente della Repubblica 24 settembre 1963, n. 2053; e) gli articoli 20, 21, 25 e 26 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124; f) l’articolo 42 della legge 30 aprile 1969, n. 153; g) la legge 8 gennaio 1979, n. 8; h) il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 1981, n. 179; i) l’articolo 9-quater del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla legge 28 novembre 1996, n. 608; j) il comma 1178 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296; k) il decreto ministeriale 30 ottobre 2002 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 282 del 2 dicembre 2002; l) la legge 17 ottobre 2007, n. 188; m) i commi 32, lettera d), 38, 45, 47, 48, 49, 50, dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247; n) i commi 1173 e 1174 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
11. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto trovano applicazione gli articoli 14, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modifiche e integrazioni.
Modalita' di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina del relativo regime transitorio.
(GU n.192 del 18.08.2008)
...
Art. 1. Modalità di tenuta
1. Fermo restando l’obbligo, in fase di stampa, di attribuire a ciascun foglio una numerazione sequenziale, conservando eventuali fogli deteriorati o annullati, la tenuta e la conservazione del libro unico del lavoro può essere effettuata mediante la utilizzazione di uno dei seguenti sistemi:
a) a elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, con numerazione di ogni pagina e vidimazione prima della messa in uso presso l’Inail o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall’Inail, in sede di stampa del modulo continuo; b) a stampa laser, con autorizzazione preventiva, da parte dell’Inail, alla stampa e generazione della numerazione automatica; c) su supporti magnetici, sui quali ogni singola scrittura costituisca documento informatico e sia collegata alle registrazioni in precedenza effettuate, o ad elaborazione automatica dei dati, garantendo oltre la consultabilità, in ogni momento, anche la inalterabilità e la integrità dei dati, nonché la sequenzialità cronologica delle operazioni eseguite, nel rispetto delle regole tecniche di cui all’art. 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; tali sistemi sono sottratti ad obblighi di vidimazione ed autorizzazione, previa apposita comunicazione scritta, anche a mezzo fax o e-mail, alla direzione provinciale del lavoro competente per territorio, prima della messa in uso, con indicazione dettagliata delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.
2. Ciascuna annotazione relativa allo stato di presenza o di assenza dei lavoratori deve essere effettuata utilizzando una causale precisamente identificata e inequivoca. In caso di annotazione tramite codici o sigle, il soggetto che cura la tenuta del libro unico del lavoro rende immediatamente disponibile, al momento della esibizione dello stesso, anche la decodificazione utile alla piena comprensione delle annotazioni e delle scritturazioni effettuate.
3. Fermi restando gli altri obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, la registrazione dei dati variabili delle retribuzioni può avvenire con un differimento non superiore ad un mese, a condizione che di ciò sia data precisa annotazione sul libro unico del lavoro.
Art. 2. Gestione della numerazione unitaria per consulenti del lavoro e soggetti autorizzati
1. I consulenti del lavoro, i professionisti e gli altri soggetti di cui all’art. 1, commi 1 e 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che siano autorizzati ad adottare un sistema di numerazione unitaria del libro unico del lavoro per i datori di lavoro assistiti devono: a) ottenere delega scritta da ogni datore di lavoro, anche inserita nella lettera di incarico o documento equipollente; b) inviare, in via telematica, all’Inail con la prima richiesta di autorizzazione, un elenco dei suddetti datori di lavoro e del codice fiscale dei medesimi; c) dare comunicazione, in via telematica, all’Inail, entro 30 giorni dall’evento, della avvenuta acquisizione di un nuovo datore di lavoro e della interruzione di assistenza nei confronti di uno dei datori di lavoro già comunicati ai sensi della precedente lettera b).
Art. 3. Luogo di tenuta e modalità di esibizione
1. Il libro unico del lavoro è conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati o presso la sede dei servizi e dei centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
2. Il libro unico del lavoro deve essere tempestivamente esibito agli organi di vigilanza nel luogo in cui si esegue il lavoro, quando trattasi di sede stabile di lavoro, anche a mezzo fax o posta elettronica, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale. In caso di attività mobili o itineranti, le cui procedure operative comportano lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso più luoghi di lavoro nell’ambito della stessa giornata o sono caratterizzate dalla mobilità dei lavoratori sul territorio, il libro unico del lavoro deve essere esibito, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale, entro il termine assegnato nella richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
3. I consulenti del lavoro e gli altri professionisti abilitati, nonché i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria di cui all’art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, devono esibire il libro unico del lavoro dagli stessi detenuto non oltre quindici giorni dalla richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
Art. 4. Elenchi riepilogativi mensili
1. A richiesta degli organi di vigilanza, in occasione di un accesso ispettivo, i datori di lavoro che impiegano oltre dieci lavoratori od operano con più sedi stabili di lavoro ed elaborano il libro unico del lavoro con uno dei sistemi di cui all’art. 1, comma 1, del presente decreto, devono esibire elenchi riepilogativi mensili del personale occupato e dei dati individuali relativi alle presenze, alle ferie e ai tempi di lavoro e di riposo, aggiornati all’ultimo periodo di registrazione sul libro unico del lavoro, anche suddivisi per ciascuna sede.
2. Il personale ispettivo ha facoltà di richiedere gli elenchi riepilogativi mensili relativi ai cinque anni che precedono l’inizio dell’accertamento, avendo cura di verificare, nel caso concreto, la materiale possibilità di realizzazione e di esibizione degli stessi da parte del datore di lavoro, del consulente del lavoro o della associazione di categoria di cui all’art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
Art. 5. Sede stabile di lavoro e computo dei lavoratori
1. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto si considera «sede stabile di lavoro» qualsiasi articolazione autonoma della impresa, stabilmente organizzata, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l’attività aziendale e risulti dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi.
2. Ai fini del calcolo dei lavoratori di cui all’art. 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e all’art. 4 del presente decreto, si computano i lavoratori subordinati, a prescindere dall’effettivo orario di lavoro svolto, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, che siano iscritti sul libro unico del lavoro e ancora in forza.
Art. 6. Obbligo di conservazione
1. Il datore di lavoro ha l’obbligo di conservare il libro unico del lavoro per la durata di cinque anni dalla data dell’ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali.
2. L’obbligo di cui al comma 1 è esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all’entrata in vigore della semplificazione di cui all’art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e alle disposizioni del presente decreto.
Art. 7. Regime transitorio e disposizioni finali
1. Fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo le disposizioni dettate dall’art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e dal presente decreto, mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati.
2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile.
3. Il libro matricola e il registro d’impresa s’intendono immediatamente abrogati.
Nota INL n. 856/2022 del 20 aprile 2022 / Maxisanzione per lavoro sommerso
ID 16459 | 21.04.2022 / In allegato Nota INL n. 856/2022
MAXISANZIONE PER LAVORO SOMMERSO
[box-download]In calce all'articolo testo della Nota INL n. 856/2022 "Maxisanzione per lavoro sommerso"[/box-download]
AMBITO DI APPLICAZIONE
a) soggettivo
Datori di lavoro privato, indipendentemente dal fatto che siano o meno organizzati in forma di impresa, ad esclusione del datore di lavoro domestico. Tale esclusione “non opera nel caso in cui il datore di lavoro occupi il lavoratore assunto come domestico in altra attività imprenditoriale o professionale” (cfr. ML circ. n. 38/2010).
In altre parole, il lavoratore assunto come domestico (quindi per finalità esclusivamente riferite alle necessità private e familiari del datore di lavoro in veste di privato cittadino) e rispetto al quale sono stati altresì posti in essere gli adempimenti di formalizzazione di un rapporto di lavoro domestico, ivi compresa la comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, resta comunque un lavoratore in “nero” nell’ipotesi in cui venga impiegato in attività d’impresa o professionale facente capo al medesimo datore di lavoro (cfr. ML lett. circ. n. 8906/2007).
Sono compresi nel novero dei datori di lavoro privato anche gli enti pubblici economici tenuti alle comunicazioni ex art. 9 bis del D.L. n. 510/1996 secondo la tempistica ivi prevista.
I medesimi principi trovano applicazione anche con riferimento alle ipotesi di utilizzo di prestazioni rese in regime di Libretto Famiglia che non risultino conformi al disposto dell’art. 54-bis, comma 6 lett. a), del D.L. n. 50/2017. Secondo tale diposizione le persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale nonché le società sportive di cui alla L. n. 91/1981, tramite Libretto Famiglia, possono fare ricorso a prestazioni di lavoro occasionali entro determinati e tassativi limiti economici.
Mediante il Libretto Famiglia, ai sensi del comma 10 dell’art. 54-bis, l’utilizzatore può remunerare esclusivamente le prestazioni di lavoro occasionali rese in suo favore per:
a) lavori domestici, inclusi i lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione; b) assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità; c) insegnamento privato supplementare; c-bis) attività degli "steward" negli impianti sportivi, di cui al decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2007, limitatamente alle società sportive di cui alla L. n. 91/1981.
L’utilizzatore del Libretto di famiglia deve provvedere a comunicare i dati identificativi del prestatore, il compenso pattuito, il luogo di svolgimento e la durata della prestazione, nonché ogni altra informazione necessaria ai fini della gestione del rapporto, entro il terzo giorno del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione.
Tanto premesso, la maxisanzione andrà applicata anche nelle ipotesi in cui il prestatore, impiegato mediante Libretto Famiglia - pur correttamente gestito mediante la piattaforma INPS - venga di fatto adibito in attività diverse da quelle previste dall’art. 54-bis non rientranti, quindi, in nessuna delle categorie che legittimano l’utilizzo del Libretto Famiglia.
b) oggettivo
L’illecito è integrato dai seguenti requisiti:
- mancanza della comunicazione preventiva di assunzione: il datore di lavoro deve aver omesso di effettuare la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro che, ai sensi dell'art. 9-bis del D.L. n. 510/1996, deve essere effettuata entro le ore 24 del giorno antecedente a quello di instaurazione del relativo rapporto; - subordinazione: il rapporto di lavoro instaurato di fatto deve presentare i requisiti propri della subordinazione ai sensi di quanto previsto dall'art. 2094 c.c.
Sono, pertanto, escluse dall’applicazione della maxisanzione le prestazioni lavorative che rientrano nell’ambito del rapporto societario ovvero di quello familiare, difettando di norma in tali casi l’essenziale requisito della subordinazione. Per tali figure (in particolare coniuge, parenti, affini, affiliati e affidati del datore di lavoro) che non sono soggette all’ordinaria comunicazione UNILAV, la legge prevede una comunicazione ex art. 23 del D.P.R. n. 1124/1965.
In termini generali e ad ulteriore precisazione di quanto affermato dal Ministero del lavoro con circ. n. 38/2010, occorre sottolineare che la maxisanzione non può trovare diretta applicazione per la sola omissione di detta comunicazione essendo comunque necessario verificare in concreto il requisito della subordinazione. Tale indice non può darsi per accertato ma va debitamente ed accuratamente dimostrato (cfr. ML circ. n. 38/2010 e lett. circ. n. 10478/2013).
MAXISAZIONE E COLLABORAZIONI OCCASIONALI EX ART. 2222 C.C.
Ai sensi dell’art. 2222 c.c., il contratto d’opera è quel contratto in forza del quale una persona si obbliga a compiere un'opera o un servizio, verso un corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.
Tra le parti sorge un’obbligazione di risultato, posto che la causa contrattuale è insita nel legame sinallagmatico tra il compimento di un’opera o un servizio e un corrispettivo e pertanto, deve potersi agevolmente individuare un risultato concretamente apprezzabile, al cui raggiungimento mira il committente.
A tale fondamentale requisito si accompagna il rischio economico posto in capo al lavoratore autonomo del mancato raggiungimento dell’opera o del servizio richiesto. Solo ove tale risultato sia compiutamente raggiunto, secondo gli accordi precedentemente pattuiti, il lavoratore autonomo avrà diritto al proprio compenso, indipendentemente dall’impegno e dal lavoro comunque profuso. Caratteri essenziali della collaborazione autonoma occasionale sono pertanto:
a) prestazione di lavoro prevalentemente personale; b) assenza di vincolo di subordinazione; c) occasionalità della prestazione (carattere episodico della stessa); d) corresponsione di un corrispettivo.
La collaborazione genuina è legata, pertanto, all’accertamento in concreto dei suddetti requisiti, con particolare riguardo all’insussistenza dei tradizionali indici sintomatici della subordinazione e all’occasionalità della prestazione, intesa come assenza dei requisiti della professionalità e della prevalenza (INL nota n. 5546/2017). Tale verifica potrà fondarsi, oltre che sulla base della documentazione acquisita in corso di accesso, anche sulle dichiarazioni testimoniali “incrociate” raccolte nel corso delle indagini.
Esclusa la natura autonoma della prestazione e accertata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, occorrerà verificare che la prestazione risulti sconosciuta alla P.A. dovendosi, in caso contrario, procedere alla riqualificazione del rapporto.
A tale riguardo assume peculiare rilevanza l’obbligo di comunicazione preventiva di tali prestazioni all'Ispettorato territoriale del lavoro competente per territorio, introdotta all’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008 da parte dell’art. 13 del D.L. n. 146/2021 (conv. da L. n. 215/2021).
A fronte di tale novità, la maxi-sanzione potrà trovare applicazione soltanto nel caso di prestazioni autonome occasionali che non siano state oggetto di preventiva comunicazione, sempreché la prestazione sia riconducibile nell’alveo del rapporto di lavoro subordinato e non siano stati già assolti, al momento dell’accertamento ispettivo, gli ulteriori obblighi di natura fiscale e previdenziale, ove previsti, idonei ad escludere la natura “sommersa” della prestazione.
In tal senso occorrerà verificare, ad esempio, il versamento della ritenuta d’acconto del 20% mediante modello F24 ovvero la circostanza che la prestazione autonoma risulti indicata sul modello 770 del committente. Tali adempimenti dovranno essere assolti preventivamente rispetto all’accertamento ispettivo e riconducibili alla prestazione oggetto di verifica. (cfr. ML nota n. 16920/2014; circc. n. 33/2009 e n. 38/2010).
A tali documenti occorre aggiungere la Certificazione Unica, relativa ai compensi corrisposti per lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi che il committente, in veste di sostituto d’imposta, deve trasmettere annualmente all’Agenzia delle entrate, ex art. 4 del D.P.R. n. 322/1998. Va ricordato che la Comunicazione Unica, oltre ad essere trasmessa all’Agenzia delle entrate, deve altresì essere consegnata direttamente al lavoratore e, a differenza del 770, riporta i dati anagrafici del lavoratore, oltre ai compensi corrisposti e all’indicazione delle trattenute operate. Tali elementi risultano indispensabili per verificare che i versamenti fiscali siano stati effettivamente eseguiti a favore di quel determinato lavoratore.
Oltre agli adempimenti fiscali andranno verificati, eventualmente, anche quelli di natura previdenziale. Si ricorda, infatti, che con il superamento della soglia dei 5.000 euro annui, in relazione ai compensi superiori a tale soglia il committente è altresì tenuto al versamento della relativa contribuzione alla Gestione separata INPS.
L’assolvimento di uno o più di tali obblighi, anche in assenza di comunicazione preventiva, comporterà quindi la semplice riqualificazione del rapporto di lavoro con applicazione delle conseguenti sanzioni e recuperi contributivi nonché con la eventuale adozione della diffida accertativa per la tutela della posizione retributiva del lavoratore.
In presenza della comunicazione preventiva, infine, è sempre esclusa l’applicazione della maxisanzione ricorrendo invece la sola riqualificazione del rapporto.
Le prestazioni rese da lavoratori autonomi iscritti nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane, adibiti nel settore dell’edilizia alle attività di manovalanza, muratura, carpenteria, rimozione amianto, posizionamento di ferri e ponti, addetti a macchine edili fornite dall’impresa committente o appaltatore e simili, per le quali sussistono i requisiti della subordinazione non sono soggette a maxisanzione per lavoro “nero” ma all’impianto sanzionatorio previsto nelle ipotesi di riqualificazione dei rapporti di lavoro (cfr. ML circ. n. 16/2012).
In tal caso, oltre ai recuperi contributivi a carico del committente, andranno applicate le sanzioni amministrative per mancata consegna della dichiarazione di assunzione (art. 4-bis, primo periodo, comma 2, D.Lgs. n. 181/2000), l’omessa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro (art. 9-bis, comma 2, 2-bis e 2-ter, D.L. n. 510/1996) nonché le omesse registrazioni sul libro unico del lavoro (art. 39, comma 7, D.L. 112/2008) trattandosi di prestazione di lavoro autonomo non soggetto “a priori” a registrazioni sul libro unico del committente. Inoltre, andranno applicate anche le sanzioni connesse agli illeciti riscontrabili in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria e di mancata formazione ed informazione dei lavoratori, adottando apposito provvedimento di prescrizione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994.
Diversamente, laddove il lavoratore risulti iscritto nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane per un’attività estranea al settore dell’edilizia, non potendosi inquadrare il fenomeno nell’ambito di una riqualificazione, andrà applicata, oltre alle sanzioni in materia di salute e sicurezza, anche la maxisanzione per lavoro “nero”, con esclusione, prevista dalla norma, delle sanzioni amministrative sopra richiamate, in materia di dichiarazione di assunzione, comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro e omesse registrazioni sul libro unico del lavoro.
Tale ultimo principio andrà applicato anche a settori diversi dall’edilizia, tutte le volte in cui un soggetto iscritto nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane venga impiegato quale lavoratore subordinato, senza comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, per un’attività non coerente a quella normalmente resa in forza della sua iscrizione.
NATURA DELL’ILLECITO
La condotta di impiego irregolare di lavoratori subordinati integra un illecito di natura permanente che si consuma nel momento in cui la condotta antigiuridica cessa in seguito alla cessazione del rapporto o alla sua regolarizzazione (cfr. ML n. 26/2015).
Tale ricostruzione ha effetti sulla individuazione della legge da applicare nel caso di condotte illecite che si protraggano ricadendo nel periodo di vigenza di più norme succedutesi nel tempo. Poiché, infatti, la commissione dell’illecito coincide con la cessazione della condotta antigiuridica, la disciplina da applicare, in virtù del principio del tempus regit actum, è quella vigente in quel momento, diversamente da quanto previsto per gli illeciti di rilevanza penale per i quali vige il principio del favor rei (cfr. ML circ. n. 29/2006).
SANZIONI
La sanzione, a seguito dell’intervento normativo del 2015, è stata graduata per fasce in base alla durata del comportamento illecito. La sanzione così determinata è stata inoltre aumentata del 20% ai sensi dell’art. 1, comma 445 lett. d), della L. n. 145/2018.
Attualmente la sanzione è quindi determinata come di seguito:
a) da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro; b) da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro; c) da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro.
In forza dell’art. 3, comma 3-quater, le sanzioni sono aumentate del 20% in caso di impiego di:
- lavoratori stranieri ai sensi dell'art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998; - minori in età non lavorativa (cioè coloro che non possono far valere dieci anni di scuola dell’obbligo e il compimento dei sedici anni); - percettori del reddito di cittadinanza di cui al D.L. n. 4/2019 (conv. da L. n. 26/2019).
La legge di bilancio 2019 ha altresì previsto, oltre alla maggiorazione del 20% degli importi dovuti a titolo di sanzione, il raddoppio di tali percentuali laddove il datore di lavoro, nei tre anni precedenti, sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti (c.d. recidiva).
Ai fini della verifica sulla sussistenza della “recidiva” occorre accertare che:
a) il destinatario delle sanzioni corrisponda al soggetto che, nell’ambito della medesima impresa, ha rivestito la qualità di “trasgressore” persona fisica ex L. n. 689/1981 che agisce per conto della persona giuridica (generalmente coincidente con il legale rappresentante dell’impresa o persona delegata all’esercizio di tali poteri). Non si avrà, quindi, recidiva tutte le volte in cui, sebbene gli illeciti siano riferibili indirettamente alla medesima persona giuridica, siano commessi da trasgressori diversi; analogamente, in tutte le ipotesi in cui le violazioni siano commesse dalla medesima persona fisica per conto di persone giuridiche diverse (cfr. INL nota n. 1148/2019 e n. 2594/2019); b) il trasgressore sia stato destinatario delle medesime sanzioni irrogate con provvedimenti divenuti definitivi nel triennio precedente alla commissione del nuovo illecito per il quale va effettuato il calcolo della sanzione. L’arco triennale di riferimento deve essere inteso sia quale periodo in cui l’illecito è stato commesso, sia quale periodo in cui lo stesso è stato definitivamente accertato (cfr. INL nota n. 2594/2019).
Per illeciti definitivamente accertati, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza in riferimento all’art. 8-bis della L. n. 689/1981, devono intendersi quelli per i quali:
- sia decorso il termine per impugnare l’ordinanza-ingiunzione ex art. 18 L. n. 689/1981; - sia stata pagata la sanzione ingiunta; - sia passata in giudicato la sentenza emessa a seguito di impugnazione della medesima ordinanza. Gli illeciti presi in considerazione (c.d. fondanti) sono anche quelli commessi prima dell’entrata in vigore della legge di bilancio (cfr. INL nota n. 2594/2019).
La maggiorazione per recidiva non si applica: - nelle ipotesi di estinzione degli illeciti amministrativi contestati, qualora sia intervenuto il pagamento in misura ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981, ai sensi di quanto disposto espressamente dal comma 5 dell’art. 8-bis, cui va equiparato il pagamento ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004; - con riferimento agli illeciti per i quali il contravventore abbia adempiuto alla prescrizione effettuando i relativi pagamenti ai sensi degli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994 e dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004.
A seguito dell’introduzione delle predette maggiorazioni con l’art. 1, comma 445 lett. d) ed e), della L. n. 145/2018 è stato istituito il nuovo codice tributo “VAET”. Pertanto:
1. per il versamento tramite F23 dei maggiori introiti derivanti dall’incremento delle sanzioni amministrative previsto dalla citata norma è da utilizzare il codice “VAET”, denominato “Maggiorazione sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale disposta dall’articolo 1, comma 445, lett. d) ed e), della legge 30 dicembre 2018, n. 145” (cfr. Ag. Entrate ris. 7/E del 22 gennaio 2019 e INL nota n. 779/2019);
2. per effettuare l’iscrizione a ruolo delle sole somme dovute ai sensi dell’art. 1, comma 445 lett. d) ed e) e contraddistinte dal codice tributo VAET si utilizzano i codici: - 3U56 “Sanzione in materia di lavoro e legislazione sociale art. 1, comma 445, lett. d) e), L. n. 145/2018”; - 3U57 “Maggiorazione materia di lavoro e legislazione sociale art. 1, comma 445, lett. d) e), L. n. 145/2018”.
Come chiarito con nota INL n. 4502/2019, per le altre quote relative alle medesime sanzioni amministrative contraddistinte dai codici tributo 741T e 79AT, si utilizzeranno rispettivamente i codici:
- per il 741T: 5030 e 5031 per le maggiorazioni; - per il 79AT: 2Y25 e 2Y26 per le maggiorazioni.
Segue: assorbimento altre sanzioni
La disposizione contenuta nell’art. 3, comma 3-quinquies, del D.L. n. 12/2002 e succ. mod. prevede in modo espresso, in caso di irrogazione della maxisanzione, la non applicazione delle sanzioni di cui all'art. 19, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 276/2003 relative alla comunicazione di instaurazione dei rapporti di lavoro e alla consegna della lettera di assunzione (cfr. ML lett. circ. n. 16494/2015), nonché delle sanzioni in materia di libro unico del lavoro di cui all’art. 39, comma 7, D.L. n. 112/2008 per omesse registrazioni.
Diversamente, laddove il datore di lavoro non abbia mai istituito il libro unico e sia tenuto a farlo in ragione del lavoratore in “nero”, oggetto di accertamento, la sanzione per omessa istituzione, prevista dal comma 6 del medesimo art. 39, non essendo espressamente richiamata nell’esclusione di cui all’art. 3, comma 3-quinques, andrà sempre applicata.
La sanzione prevista per i pagamenti non effettuati con strumenti tracciabili, ai sensi dell’art. 1, comma 913, L. n. 205/2017, può coesistere con la maxisanzione per lavoro “nero”.
Il comma 910 della citata L. n. 205/2017 non consente più che la retribuzione sia versata in contanti ai lavoratori subordinati (nonché ai collaboratori coordinati e continuativi o ai soci di cooperativa con contratto di lavoro di qualsiasi tipo) in quanto la stessa norma impone, a fini di piena tracciabilità dei flussi retributivi ed a tutela dei lavoratori, di servirsi unicamente di alcuni strumenti di pagamento, individuati dal medesimo comma.
Nell’ipotesi di impiego irregolare di personale, generalmente retribuito in contanti o mediante gli strumenti di pagamento non ammessi dal citato comma 910, troverà quindi applicazione sia la maxisanzione per lavoro “nero” sia la sanzione prevista dal l’art. 1, comma 913, della L. n. 205/2017.
Inoltre, “stante il tenore letterale del comma 910, l’illecito si configura solo laddove sia accertata l’effettiva erogazione della retribuzione in contanti; peraltro, atteso che nelle ipotesi di lavoro “nero” la periodicità della erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, in ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro in “nero” sono state effettuate” (cfr. INL nota n. 9294/2018).
Ciò vuol dire che deve essere acquisita prova dell’effettiva erogazione delle somme. Al riguardo, va altresì rammentato che l’ulteriore determinazione del compenso percepito è funzionale all’adozione della diffida accertativa in favore del lavoratore (usualmente sottopagato in rapporto al livello del CCNL applicato/applicabile) e alla comunicazione da inoltrare alla GdF e al competente Ufficio dell’Agenzie delle entrate in relazione alle somme percepite e non denunciate al fisco.
DIFFIDA A REGOLARIZZARE
La novella del 2015 (art. 22, comma 3-ter, del D.Lgs. n. 151/2015) ha reintrodotto la diffidabilità della maxisanzione al fine di promuovere la regolarizzazione dei rapporti sommersi (cfr. ML circ. n. 26/2015).
Al riguardo, occorrerà distinguere 3 ipotesi:
1. regolarizzazione del rapporto di lavoro in “nero” per i lavoratori ancora in forza
Per ottemperare alla diffida - nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale unico - devono realizzarsi le seguenti condizioni:
a) instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato alternativamente con: - contratto a tempo indeterminato, anche part-time con una riduzione oraria non superiore al 50%; - contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi. b) mantenimento in servizio di tali lavoratori per un periodo non inferiore a tre mesi, cioè non inferiore a 90 giorni di calendario. Tale periodo va computato “al netto” del periodo di lavoro prestato in “nero”, il quale andrà comunque regolarizzato. In altri termini, il contratto decorrerà dal primo giorno di lavoro “nero” mentre il periodo di 3 mesi utile a configurare l’adempimento alla diffida andrà “conteggiato” dalla data dell’accesso ispettivo
Nei casi di interruzione del rapporto di lavoro non imputabili al datore di lavoro è possibile ottemperare alla diffida con un separato contratto, stipulato successivamente all’accesso ispettivo, che dovrà consentire il mantenimento del rapporto per almeno tre mesi.
In ogni caso, entro il 120° giorno dalla notifica del verbale deve trovare pieno compimento l’intero periodo di mantenimento in servizio del lavoratore (3 mesi).
Ai fini della dimostrazione dell’ottemperanza alla diffida, il datore di lavoro dovrà dimostrare di aver:
- regolarizzato l’intero periodo di lavoro, con avvenuto pagamento anche dei contributi e premi; - stipulato uno dei contratti di lavoro sopra indicati; - mantenuto in servizio il lavoratore per almeno 3 mesi. Tale circostanza deve essere provata attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine per l’adempimento; - pagato la sanzione nella misura minima.
Laddove il datore di lavoro abbia provveduto alla regolarizzazione del lavoratore attraverso una delle tipologie contrattuali sopra indicate, ma prima della notifica del verbale unico, sarà possibile adottare il provvedimento di diffida contenente il solo obbligo di mantenimento del lavoratore in servizio per 3 mesi e la richiesta del pagamento della sanzione in misura minima. Nella redazione del verbale unico si dovrà dare atto della intervenuta stipula del contratto.
Nell’ipotesi in cui, successivamente all’accesso ma prima della redazione del verbale unico, il datore abbia già fornito dimostrazione di tutti gli adempimenti richiesti dalla norma - ivi compreso il pagamento di contributi e premi ed il mantenimento in servizio per almeno 3 mesi - il personale ispettivo adotterà nei suoi confronti un provvedimento di diffida ora per allora, con la quale verrà ammesso al pagamento della sanzione amministrativa pari al minimo edittale, nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale.
In caso di inottemperanza alla diffida entro il termine di 120 giorni, il verbale unico produce gli effetti della contestazione e notificazione degli illeciti accertati nei confronti del trasgressore e dell’obbligato in solido ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/1981.
Nel parere INL n. 4441/2017 si è ribadito, in linea con il tenore letterale della norma e con quanto chiarito con la circ. n. 26/2015, che la diffida costituisce elemento oggettivo di applicabilità della sanzione in misura minima che, in qualche misura, bilancia gli oneri sostenuti dal datore di lavoro per il mantenimento del rapporto di lavoro. Pertanto, non potrà ritenersi adempiuta nei casi di assenza di mantenimento effettivo del rapporto di lavoro per tre mesi nei 120 giorni dalla notifica del verbale, qualunque ne sia la ragione, anche per cause non imputabili al trasgressore.
2. Regolarizzazione del rapporto di lavoro per lavoratori regolarmente occupati per un periodo successivo a quello prestato in “nero” (ipotesi corrispondente alla precedente maxisanzione affievolita)
La diffida ha ad oggetto esclusivamente la regolarizzazione del periodo di lavoro in “nero”, con dimostrazione, nel termine di 45 giorni, di: - rettifica della data di effettivo inizio del rapporto di lavoro; - pagamento dei contributi e premi; - pagamento delle sanzioni in misura minima.
3. Regolarizzazione di lavoratori in “nero” non in forza all’atto dell’accesso ispettivo
Anche in tale ipotesi, analogamente alla precedente, non trova applicazione l’obbligo del mantenimento in servizio “per almeno tre mesi”, riservato dalla norma ai soli lavoratori irregolari ancora in forza all’atto dell’accesso ispettivo.
TERMINE PER IL PAGAMENTO DELLE SANZIONI E PER LA PRESENTAZIONE DEL RICORSO EX ART. 17, D.LGS. N. 124/2004 IN CASO DI PLURALITÀ DI ILLECITI
In caso di contestazione di una pluralità di illeciti diffidabili secondo termini diversi o non diffidabili, il termine per il pagamento della sanzione in misura ridotta (60 giorni ex art 16, L. n. 689/1981) decorre dalla scadenza dei termini per l’adempimento alla diffida per la maxisanzione.
Anche il termine di 30 giorni per la presentazione del ricorso ex art 17 del D.Lgs. n. 124/2004 decorre dalla scadenza dei 120 giorni per l’ottemperanza alla diffida per tutti gli illeciti contestati nel medesimo verbale unico (cfr. ML circ. n. 41/2010 e n. 26/2015).
REGOLARIZZAZIONE E TIPOLOGIE CONTRATTUALI
Contratto intermittente: tale tipologia non è ammissibile ai fini della regolarizzazione in quanto non assicura la necessaria continuità richiesta dalla norma per il previsto periodo di tre mesi.
Contratto a tempo determinato: la tipologia in esame è sottoposta ai limiti propri della disciplina tra cui, in particolare, le percentuali di contingentamento legale o contrattuale. Pertanto, la regolarizzazione con contratto a termine non è ammissibile nei casi di superamento delle soglie indicate.
Contratto di apprendistato: in quanto contratto subordinato a tempo indeterminato, esso può essere utilizzato ai fini della regolarizzazione dei lavoratori, laddove ricorrano i presupposti e ferma restando la valutazione in ordine alla concreta possibilità di recuperare il debito formativo accumulato durante il periodo di lavoro in “nero” (cfr. ML circ. n. 5/2013). Ai fini della regolarizzazione con contratto di apprendistato, occorre altresì la redazione di un piano formativo individuale con indicazione di tutti gli elementi previsti dalla legge e dal CCNL applicato.
ORGANI COMPETENTI A CONTESTARE LA MAXISANZIONE
L’art. 4 della L. n. 183/2010, sostituendo il comma 5 dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002 (conv. da L. 73/2002), ha ampliato il novero dei soggetti abilitati a contestare l’illecito in questione attribuendo tale potere a tutti gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza, confermando, contestualmente, la competenza a ricevere il rapporto in capo agli Ispettorati territoriali ai sensi dell’art. 17 L. n. 689/1981.
Indicazioni puntuali in tal senso sono state fornite sia dal Ministero del lavoro con circ. n. 38/2010, sia dall’INAIL con circ. n. 36/2011.
FATTISPECIE PARTICOLARI
Si tratta delle fattispecie per le quali è prevista l’applicazione della maggiorazione del 20% della sanzione, ai sensi dell’art. 3, comma 3-quater, D.L. n. 12/2002 con esclusione della applicabilità della diffida.
1. Lavoratori extracomunitari clandestini
Nelle ipotesi di impiego irregolare di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, la configurabilità del delitto di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998 non esclude la possibilità di contestare l’illecito amministrativo con conseguente irrogazione della maxisanzione.
Le due disposizioni, infatti, sono poste a presidio di beni giuridici diversi: l’una punisce la violazione di norme finalizzate a regolamentare i flussi migratori a tutela della pubblica sicurezza e l’altra l’impiego di lavoratori non regolarizzabili (cfr. ML n. 38/2010).
Ciò trova conferma nell’orientamento della Corte di Cassazione (sez. civ. n. 12936 del 25 maggio 2018) nella quale è stato evidenziato come, nell’ipotesi in cui un datore impieghi in “nero” lavoratori clandestini, scatti nei suoi confronti “tanto la sanzione di carattere penale quanto quella amministrativa, senza per questo che sia integrata la violazione del principio ne bis in idem, a fronte della diversa natura dei beni giuridici offesi dalle condotte contestate e delle diverse finalità sottese all’irrogazione della sanzione penale e di quella amministrativa”.
Ai fini della configurabilità della fattispecie di reato, all’assenza del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è equiparata l’ipotesi in cui il permesso sia scaduto e non sia stata presentata richiesta di rinnovo.
Per le fattispecie sopra descritte, ferma restando la configurabilità dell'ipotesi di reato di cui all'art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998 e la contestazione della fattispecie aggravata di maxisanzione (art. 3, comma 3-quater, D.L. n. 12/2002), va esclusa l'operatività della diffida atteso che il lavoratore straniero non può essere considerato "occupabile".
Diversamente, l’art. 5, comma 9-bis, TUI consente al soggetto richiedente il permesso per lavoro subordinato, di svolgere temporaneamente l’attività lavorativa per la quale è stato autorizzato il suo ingresso nelle more del suo rilascio o del rinnovo sempre che: - la domanda di rilascio sia stata presentata entro 8 giorni dall’ingresso sul territorio italiano, all’atto della stipula del contratto di soggiorno presso lo Sportello unico per l’immigrazione (art. 35 D.P.R. n. 394/1999) oppure, in caso di rinnovo, prima della scadenza del permesso; - il richiedente sia in possesso del modulo di richiesta del permesso di soggiorno (cfr. art. 36 del D.P.R. n. 394/1999) e della ricevuta rilasciata dal competente ufficio attestante la presentazione della domanda (cfr. ML e INL nota prot. n. 4079 del 7 maggio 2018).
Pertanto, nell’ipotesi in cui il cittadino straniero risulti in possesso della documentazione sopra indicata non potrà ritenersi integrata la fattispecie penale di cui all'art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998, ma sarà pur sempre applicabile la maxisanzione qualora ne ricorrano i presupposti.
Con riferimento alle prestazioni lavorative rese dai lavoratori richiedenti protezione internazionale ed asilo politico, i quali possono invece essere impiegati previo rilascio della ricevuta attestante la verbalizzazione della domanda, dal quale decorrono i sessanta giorni richiesti dalla norma per l’espletamento dell’attività lavorativa, si rinvia ai chiarimenti forniti con parere ML 26 luglio 2016, prot. n. 14751.
Nello specifico, va evidenziato che ai sensi dell’art. 22, D.Lgs. n. 142/2015, la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di protezione internazionale, rilasciata contestualmente alla verbalizzazione della domanda costituisce permesso di soggiorno provvisorio; il permesso di soggiorno per richiesta di asilo consente al richiedente protezione internazionale di espletare attività lavorativa decorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda di protezione laddove il relativo procedimento non si sia concluso ed il ritardo non sia ascrivibile al richiedente.
Con riferimento alla procedura di emersione di cui all’art. 103, D.L. n. 34/2020, l’impiego senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro dei lavoratori subordinati stranieri che hanno presentato l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2, del medesimo articolo è punito con il raddoppio delle sanzioni previste dall’art. 3, comma 3, del D.L. n. 12/2002.
Tale previsione trova applicazione con riguardo a tutti gli stranieri che, per aver presentato la domanda, sono coinvolti nella procedura di emersione e alla ricerca di un contratto di lavoro subordinato regolare, a prescindere dal fatto che abbiano o meno ottenuto già un permesso provvisorio (cfr. INL parere n. 1118 del 15 dicembre 2020).
L’aggravante in questione, quindi, trova applicazione nei soli confronti di lavoratori che abbiano presentato, ai sensi del comma 16 del citato art. 103, istanza volta all’ottenimento del permesso di soggiorno temporaneo, in ragione della quale viene rilasciata apposita attestazione che consente all'interessato di svolgere lavoro subordinato per un massimo di sei mesi entro i quali, peraltro, è previsto il rilascio del permesso temporaneo richiesto.
Il permesso temporaneo consente, quindi, l’impiego del lavoratore durante il periodo di validità del permesso unicamente nei settori interessati dalla procedura di emersione come specificati dall’allegato 1 al D.M. 27 maggio 2020.
Pertanto, laddove venga riscontrato l’impiego di detti lavoratori in settori differenti, non avendo gli stessi un valido titolo per svolgere attività lavorativa, andrà applicata l’ipotesi aggravata di cui al comma 3-quater dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002, senza la possibilità di applicare la procedura di diffida ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004.
Si ricorda che in tali ipotesi, ai fini della revoca del provvedimento di sospensione, è necessario procedere alla regolarizzazione delle prestazioni esclusivamente sotto il profilo contributivo.
2. Minori
La non diffidabilità e la maggiorazione del 20% della sanzione è prevista anche nei casi in cui siano impiegati lavoratori minori, bambini e adolescenti privi dei requisiti legalmente stabiliti per l’ammissione al lavoro (L. n. 977/1967, come modificata dal D.Lgs. n. 345/1999), ad esclusione quindi di coloro che possono far valere i dieci anni di scuola dell’obbligo con il compimento dei sedici anni.
Per inciso va ricordato che ai fini della revoca del provvedimento di sospensione è necessario procedere alla regolarizzazione delle prestazioni esclusivamente sotto il profilo contributivo.
3. Percettori reddito di cittadinanza
L’art. 7, comma 15-bis, del D.L. n. 4/2019 (conv. da L. n. 26/2019) prevede l’applicazione dell’aumento del 20% degli importi della maxisanzione anche in caso di impiego di lavoratori beneficiari del reddito di cittadinanza. Ai fini dell’applicazione dell’aggravante è tuttavia necessario che sia accertato il godimento del Rdc da parte del nucleo familiare di appartenenza del lavoratore.
Il richiamo all’art. 3, comma 3-quater, del citato D.L. n. 12/2002 comporta la non diffidabilità dell’illecito. Si evidenzia che, in tale ipotesi, diversamente dalle precedenti, non sussistendo l’impossibilità giuridica all’assunzione del lavoratore percettore del beneficio, il datore di lavoro dovrà procedere alla regolarizzazione amministrativa e contributiva del periodo lavorativo in “nero” accertato ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell’attività ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.
4. Maxisanzione nel settore marittimo
Il settore marittimo si caratterizza per il necessario adempimento di obblighi specifici fissati e sanzionati ai sensi del codice della navigazione, tra i quali la sottoscrizione della convenzione di arruolamento, la sua registrazione sui documenti di bordo (ruolo/licenza), nonché sul libretto di navigazione del marittimo, presidiati da una specifica sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma variabile da euro 154 a 1.559 (art. 1178, R.D. 30 marzo 1942, n. 327).
Per quanto concerne le modalità per l’assunzione del personale iscritto alle matricole della gente di mare, nonché per coloro che prestano ad ogni modo servizio a bordo delle imbarcazioni è prevista una apposita procedura di comunicazione attraverso il modello “UniMare” da effettuarsi entro il ventesimo giorno successivo alla data di imbarco. Tale adempimento rappresenta il presupposto utile ai fini della conoscibilità nei confronti della P.A. dei lavoratori marittimi impiegati, analogamente alla funzione assolta dalla comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro utilizzabile per la generalità dei lavoratori da effettuarsi entro le ore 24 del giorno antecedente all’assunzione.
L’unico discrimen tra le due tipologie di comunicazioni riguarda, quindi, la tempistica per effettuarle; si ritiene dunque che fino alla decorrenza dei venti giorni fruibili dal datore di lavoro per la comunicazione mediante il modello UniMare, pur in assenza degli ulteriori adempimenti documentali sopra evidenziati, non sia possibile adottare il provvedimento di maxisanzione per lavoro “nero”. Resta salva, comunque, la possibilità di irrogare la sanzione specifica di cui al citato art. 1178.
Laddove sia decorso il temine di venti giorni consentito senza che sia stata effettuata la specifica comunicazione UniMare e siano stati tuttavia adempiuti gli obblighi documentali previsti per il settore marittimo, non troverà applicazione la maxisanzione per lavoro “nero”, in quanto l’osservanza di tali annotazioni obbligatorie attesta la volontà di non occultare il rapporto, costituendo quindi una ipotesi di scriminante al pari degli adempimenti di carattere contributivo (cfr. ML circ. n. 38/2010 e n. 26/2015).
Nell’ipotesi in cui si accerti l’assenza della comunicazione ed anche la mancata registrazione sui documenti di bordo, in considerazione del fatto che la violazione di cui all’art. 1178 non è annoverata tra quelle assorbite ai sensi del comma 3-quinquies dell’art. 3, del D.L. n. 12/2002 si ritiene che debbano essere contestati entrambi gli illeciti.
CASI DI ESCLUSIONE DELLA MAXISANZIONE: SCRIMINANTI
In forza dell’art. 3, comma 4, del D.L. n. 12/2002, la sanzione di cui al comma 3 non trova applicazione tutte le volte in cui, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi la volontà del datore di lavoro di non occultare il rapporto di lavoro, anche laddove si tratti di una differente qualificazione dello stesso (cfr. ML circ. n. 38/2010).
Conseguentemente, il personale ispettivo non adotterà la maxisanzione nei casi di:
- intervenuta regolarizzazione spontanea ed integrale del rapporto di lavoro originariamente in “nero”, prima di qualsiasi accertamento da parte di organismi di vigilanza in materia giuslavoristica, previdenziale o fiscale o prima dell’eventuale convocazione per espletamento del tentativo di conciliazione monocratica; - differente qualificazione del rapporto di lavoro.
Per intervenuta regolarizzazione si intendono i casi in cui:
a. il datore di lavoro abbia proceduto ad effettuare entro la scadenza del primo adempimento contributivo (cioè fino al giorno 16 del mese successivo a quello di inizio del rapporto di lavoro) anche la sola comunicazione di assunzione, dalla quale risulti la data di effettiva instaurazione del rapporto di lavoro. Restano fermi i successivi e i conseguenti adempimenti previdenziali e la piena sanzionabilità anche della tardiva comunicazione; b. il datore di lavoro - nel caso sia scaduto il termine del primo adempimento contributivo - abbia denunciato spontaneamente la propria situazione debitoria entro 12 mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o dei premi dovuti agli Istituti previdenziali ed abbia effettuato il versamento degli interi importi dei contributi o premi dovuti per tutto il periodo di irregolare occupazione entro trenta giorni dalla denuncia, unitamente al pagamento della sanzione civile prevista dall’art. 116, comma 8 lett. b), della L. n. 388/2000, previa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da cui risulti la data di effettivo inizio della prestazione.
INFORTUNIO
In caso di accertamenti connessi all’erogazione di prestazioni economiche (indennità di inabilità temporanea assoluta, rendita diretta o a superstiti, ecc.) o ad eventi infortunistici con esiti mortali, ai fini di una corretta valutazione della spontaneità della regolarizzazione del lavoratore in “nero” assume rilevo anche la data dell’evento. Pertanto, in tutti i casi in cui, anche laddove la regolarizzazione del lavoratore infortunato/deceduto sia intervenuta prima dell’accesso ispettivo, non si potrà ritenere “spontanea” laddove la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro non sia stata effettuata almeno 24 ore prima dell’evento infortunistico e non sia provata, da parte del datore di lavoro, la volontà di non occultare il rapporto di lavoro (cfr. INAIL circ. n. 36/2011).
UNIURG E MAXISANZIONE
La maxisanzione non opera nei casi di impossibilità per il datore di lavoro di effettuare la comunicazione del rapporto di lavoro a causa della chiusura, anche per ferie, dello studio di consulenza o associazione di categoria cui il datore di lavoro ha affidato la gestione degli adempimenti in materia di lavoro (cfr. ML circ. n. 20/2008 e n. 38/2010).
In tal caso, in sede di accesso ispettivo, occorre verificare:
- l’affidamento degli adempimenti in materia di lavoro al soggetto abilitato e la effettiva chiusura dello studio o ufficio; - l’invio a mezzo fax mediante modello UniUrg della comunicazione preventiva di assunzione.
Resta fermo l’obbligo di comunicare l’assunzione attraverso la modalità ordinaria il primo giorno utile dalla riapertura dello studio o dell’ufficio.
Non si applica la maxisanzione in tutti i casi in cui il datore di lavoro, con l’esercizio dell’ordinaria diligenza, a causa dell’imprevedibilità dell’evento e dell’improcrastinabilità dell’assunzione, non avrebbe potuto prevederla ed è quindi nell’impossibilità di conoscere numero e nominativi del personale da assumere (cfr. ML note n. 440/2007, n. 4746/2007 e circ. n. 38/2010).
Nelle suddette ipotesi, il personale ispettivo deve dare atto nel verbale di primo accesso delle giustificazioni addotte circa la mancata comunicazione preventiva e l’oggettiva impossibilità di conoscere anticipatamente tale circostanza e i dati dei lavoratori.
MAXISANZIONE E PROSECUZIONE DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
Particolare attenzione richiede l’analisi e la verifica di quelle situazioni nelle quali la prestazione di lavoro sia proseguita oltre il termine fissato dalle parti con un contratto di lavoro a tempo determinato. In tale ipotesi, infatti, la maxisanzione può trovare applicazione unicamente dopo il decorso dei cosiddetti periodi “cuscinetto” (30 giorni in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero 50 giorni negli altri casi).
L’art. 22, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 prevede che, qualora il rapporto di lavoro continui oltre tali periodi, il contratto si trasformi in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Pertanto, i periodi compresi nei 30 o 50 giorni successivi alla scadenza sono coperti ex lege dall’iniziale comunicazione di assunzione e la maxisanzione potrà essere applicata solo a partire dal 31° o 51° giorno successivo alla scadenza ove, evidentemente, il rapporto sia proseguito oltre i periodi cuscinetto (cfr. vademecum L. n. 92/2012 e ML note n. 7258/2013 e n. 6689/2009).
Si rammenta, in proposito, che ai sensi del comma 1 del citato art. 22, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore. Pertanto, all’interno dei periodi “cuscinetto”, ove il personale ispettivo accerti la mancata corresponsione delle predette maggiorazioni, potrà essere adottata diffida accertativa.
Va ricordato che, affinché sia applicabile il regime dell’art. 22, comma 2, è necessario che il personale ispettivo accerti di essere in presenza di una prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro a tempo determinato. In altri termini, alla scadenza del contratto il lavoratore deve aver svolto l’attività lavorativa dopo la scadenza del contratto per tutto il periodo “cuscinetto” e successivamente senza alcuna interruzione.
Laddove, invece, sia accertata l’interruzione della prestazione lavorativa, la sua ripresa configura un nuovo e distinto rapporto di lavoro rispetto al quale, ove difetti la comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, la maxisanzione risulterà applicabile sin dal primo giorno del relativo impiego. Tuttavia, in sede di regolarizzazione mediante diffida, si dovrà tenere conto di quanto previsto dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 secondo il quale, qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Pertanto, ove il nuovo rapporto irregolare sia iniziato entro 10 o 20 giorni dalla data di scadenza del precedente contratto a tempo determinato, l’eventuale diffida impartita in relazione ai lavoratori irregolari ancora in forza presso il datore di lavoro dovrà prevedere esclusivamente la stipula di un contratto a tempo indeterminato.
MAXISANZIONE E CONTRATTO DI PRESTAZIONE OCCASIONALE (ART. 54-BIS D.L. N. 50/2017)
Secondo l’art. 54-bis, comma 6 lett. b), del D.L. n. 50/2017 il contratto di prestazione occasionale è uno strumento mediante il quale determinati soggetti - diversi dalle persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale - acquisiscono, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità, entro determinati e tassativi limiti economici (5.000 euro per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori; 5.000 euro per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori; 2.500 euro per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore).
In tale ambito, la maxisanzione troverà applicazione nelle ipotesi in cui la prestazione rivesta i caratteri della subordinazione e risulti, altresì, sconosciuta alla P.A. in riferimento agli adempimenti previsti dal citato art. 54-bis, in particolare ai commi 9 e 17-19, che disciplinano la corretta attivazione e gestione di tale contratto.
Il comma 9 prevede che tali adempimenti siano effettuati - anche tramite un intermediario di cui alla L. n. 12/1979 - all'interno di un'apposita piattaforma informatica, gestita dall'INPS, previa registrazione dell’utilizzatore e del prestatore. Ai sensi del comma 17, l'utilizzatore deve trasmettere, almeno un'ora prima dell'inizio della prestazione, attraverso la suddetta piattaforma informatica ovvero avvalendosi dei servizi di contact center messi a disposizione dall'INPS, una dichiarazione contenente, tra l'altro, le seguenti informazioni:
a) i dati anagrafici e identificativi del prestatore; b) il luogo di svolgimento della prestazione; c) l'oggetto della prestazione; d) la data e l'ora di inizio e di termine della prestazione ovvero, se imprenditore agricolo, la durata della prestazione con riferimento a un arco temporale non superiore a tre giorni; e) il compenso pattuito per la prestazione, in misura non inferiore a 36 euro, per prestazioni di durata non superiore a quattro ore continuative nell'arco della giornata, fatto salvo quanto stabilito per il settore agricolo ai sensi del comma 16.
Il rapporto di lavoro potrà quindi ritenersi sconosciuto alla P.A. - con la conseguente possibilità di contestare l’impiego di lavoratori in “nero” in presenza di tutti gli indici di subordinazione - nei casi di mancata trasmissione della comunicazione preventiva secondo le modalità sopra riepilogate ovvero nei casi di invio della stessa nel corso dell’accesso ispettivo o ancora laddove l’utilizzatore abbia proceduto alla revoca della comunicazione a fronte di una prestazione di lavoro giornaliera effettivamente svolta.
Si precisa che la mera registrazione del lavoratore sulla piattaforma predisposta dall’Istituto non costituisce di per sé elemento sufficiente ad escludere l’applicazione della maxisanzione, non essendo adempimento idoneo a rendere noto e, quindi, non sommerso il rapporto intercorrente tra prestatore ed utilizzatore.
Diversamente, pur in assenza della comunicazione preventiva, la maxisanzione non troverà applicazione ove si accerti la contestuale sussistenza delle seguenti condizioni:
- la prestazione sia comunque possibile in ragione del mancato superamento dei limiti economici e temporali (280 ore) previsti dallo stesso art. 54-bis; - la prestazione possa effettivamente considerarsi occasionale in ragione di precedenti analoghe prestazioni lavorative correttamente gestite, così da potersi configurare una mera violazione dell’obbligo di comunicazione. Al riguardo appare ragionevole ritenere che ricorra la mera violazione dell’obbligo comunicazionale di cui all’art. 54-bis, comma 20 - con conseguente applicazione della specifica misura sanzionatoria - nel caso in cui l’omissione della comunicazione preventiva riguardi una singola prestazione giornaliera a fronte di una pluralità di prestazioni occasionali regolarmente comunicate nel corso del medesimo mese (cfr. INL circ. n. 5/2017 e INPS circ. n. 107/2017).
MAXISANZIONE APPALTO, DISTACCO E SOMMINISTRAZIONE
Le fattispecie di lavoro “nero” e di intermediazione illecita di manodopera, derivante tanto da pseudo-appalto, quanto da distacco privo dei requisiti di legge, richiedono un necessario coordinamento in ragione della posizione del lavoratore interessato.
a. Lavoratore regolarmente assunto dall’appaltatore/distaccante/somministratore
Nei casi in cui l’appalto, il distacco o la somministrazione risultano illeciti, trovano applicazione esclusivamente le sanzioni previste dall’art. 18, comma 1 e 5-bis, del D.Lgs. n. 276/2003 e non quella per lavoro sommerso. Il rapporto di lavoro infatti è regolarmente costituito in capo al datore di lavoro distaccante, appaltatore o somministratore il quale assolve ai connessi adempimenti retributivi e contributivi (vedi ML interpello n. 27/2014). Peraltro, tali adempimenti ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 81/2015 e dell’art. 30, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 276/2003 restano in ogni caso salvi anche per il soggetto utilizzatore a seguito dell’iniziativa giudiziale intrapresa dal lavoratore, intesa a costituire il rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 414 c.p.c.
b. Lavoratore non regolarmente assunto dall’appaltatore/distaccante/somministratore
Nel caso in cui il lavoratore sia stato impiegato senza regolare assunzione occorre distinguere le fattispecie lecite di appalto, distacco o somministrazione dalle ipotesi illecite.
In caso di fattispecie lecite, l’impiego dei lavoratori non regolarmente assunti presso l’utilizzatore è riconducibile ad un interesse proprio dell’appaltatore (in ragione dell’appalto), del distaccante o del somministratore, che pertanto dispongono della prestazione lavorativa per perseguire una propria utilità. Per tale motivo la contestazione dell’impiego in “nero” del lavoratore non potrà essere rivolta all’utilizzatore che abbia regolato il proprio rapporto commerciale attraverso il ricorso ad uno schema tipico e lecito. Quest’ultimo, tuttavia, risponderà degli eventuali adempimenti retributivi e contributivi secondo i principi della responsabilità solidale ai sensi degli artt. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 e 35, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015.
In caso di fattispecie illecite, al contrario, la non corrispondenza dello schema negoziale tipico rispetto agli elementi di fatto riscontrati, comporta che l’impiego in “nero” del lavoratore andrà ricondotto in capo al soggetto utilizzatore quale effettivo beneficiario della prestazione lavorativa con conseguente contestazione della maxisanzione nei suoi confronti. In tal caso, infatti, attesa la natura sommersa del rapporto di lavoro, risultano del tutto assenti gli adempimenti che consentono di ricondurre, almeno su un piano meramente formale, il rapporto di lavoro in capo all’appaltatore/distaccante/somministratore.
Nel contempo non potranno trovare applicazione le sanzioni previste dall’art. 18, comma 1 primo periodo o del comma 5-bis, atteso che l’assenza di formalizzazione del rapporto, impedisce di ricostruire la fattispecie nell’ambito di una somministrazione, di un appalto o di un distacco, seppure illecite. Diversamente l’intera vicenda, ricorrendone i presupposti di fatto, potrebbe essere ricondotta nell’ambito di un’ipotesi di intermediazione illecita posta in essere dal soggetto pseudo appaltatore/distaccante/somministratore.
A ben vedere, infatti, lo pseudo appaltatore, il distaccante o la stessa agenzia di somministrazione si limitano a fare da tramite tra l’utilizzatore (effettivo datore di lavoro) ed il lavoratore, senza prima inserire quest’ultimo, almeno formalmente, nel proprio organico e creare, quindi, con lo stesso un legame datoriale. Ciò realizza una vera e propria attività di “intermediazione” non autorizzata con la possibile applicazione della sanzione prevista dall’art. 18, comma 1 secondo periodo, che punisce tale fattispecie con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda da euro 1.800 a euro 9.000 o, se non vi è scopo di lucro, con la sanzione amministrativa da euro 6.000 a euro 12.000.
LAVORATORI IN DISTACCO TRANSNAZIONALE
I lavoratori dipendenti di una società stabilita in uno Stato Membro (o anche extra UE) possono essere impiegati nell’ambito di una “prestazioni di servizi” da eseguire in Italia. La disciplina del distacco transnazionale dei lavoratori è contenuta, come noto, nel D.Lgs. n. 136/2016 che prevede un articolato quadro sanzionatorio per le ipotesi di distacco non autentico, in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall’art. 3.
La fattispecie illecita in questione risulta incompatibile con l’applicazione della maxisanzione. Ciò in quanto, il presupposto per avviare i lavoratori in distacco è che gli stessi siano dipendenti delle imprese estere distaccanti. La sussistenza di tale presupposto è verificabile consultando la documentazione che il referente nel nostro Paese nominato dal distaccante ai sensi dell’art. 10, comma 3, del decreto, deve conservare per esibirla agli organi di controllo, ove richiesto.
In particolare, nel novero della documentazione deve risultare il Mod. A1 attestante l’iscrizione del lavoratore presso il sistema di sicurezza sociale del paese di provenienza.
Va inoltre considerato che la comunicazione preventiva di distacco non risulta preordinata all’assunzione quanto, piuttosto, alla tracciabilità del loro impiego in Italia, per cui la sua assenza non può essere trattata alla stregua della mancata comunicazione obbligatoria di assunzione.
Pertanto, l’eventuale impiego in “nero” di manodopera proveniente da uno SM potrà configurarsi soltanto quando l’operazione commerciale non sia in alcun modo associabile ad una prestazione transnazionale di servizi dovendosi altrimenti valutare tutti gli elementi raccolti alla stregua di quanto previsto dall’art. 3 del D.Lgs. n. 136/2016 ai fini dell’eventuale illiceità del distacco.
In particolare, così come chiarito nelle Linee guida sul distacco transnazionale (v. nota n. 622/2018), si dovrà riscontare:
1. l’assenza di qualsiasi documento (Mod. A1, comunicazioni e documenti concernenti il rapporto di lavoro di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 136/2016); 2. il sostanziale “stabilimento” del lavoratore in Italia (residenza, famiglia ecc.).
Ai fini dell’individuazione del destinatario della maxisanzione, occorre distinguere le due seguenti ipotesi:
a) nel caso in cui l’utilizzatore stabilito in Italia abbia provveduto ad ingaggiare il lavoratore ed eserciti altresì il potere direttivo, la maxisanzione sarà contestata a quest’ultimo; b) qualora, invece, risulti che sia stata l’impresa straniera ad ingaggiare il lavoratore e ad esercitare il potere direttivo, è possibile che si sia in presenza di una “esterovestizione”. Pertanto, si dovrà procedere ad effettuare una segnalazione alla GdF e all’Agenzia delle entrate, nonché alla contestazione della maxisanzione esclusivamente nei confronti del titolare/legale rappresentante della “sedicente/presunta” impresa straniera.
Troverà applicazione la maxisanzione, infine, in tutti i casi in cui, nonostante la prestazione di servizi abbia avuto termine (si pensi ad un contratto di appalto del tutto eseguito) il lavoratore distaccato continui a rendere la propria prestazione lavorativa nei confronti del soggetto distaccatario.
In proposito assume rilievo anche la data di cessazione del distacco rilevabile dalla comunicazione UNIdistaccoUE cui non sia seguita una eventuale comunicazione in variazione del termine finale del distacco.
CAPORALATO E MAXISANZIONE
La sanzione per lavoro “nero” risulta compatibile con il reato di sfruttamento della manodopera, punito ai sensi dell’art. 603 bis c.p., atteso che le due fattispecie tutelano beni giuridici differenti.
La presenza, infatti, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera non esclude l’applicabilità delle sanzioni amministrative per lavoro “nero”, che andranno sempre rivolte nei confronti del soggetto utilizzatore, difettando qualunque forma di pregressa formalizzazione del rapporto di lavoro.
In tali ipotesi, la procedura di diffida ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004, finalizzata alla regolarizzazione della posizione dei lavoratori in capo al soggetto utilizzatore, dovrà prestare particolare attenzione nell’imporre la corresponsione di trattamenti economici e normativi in linea con quelli previsti dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In presenza di lavoratori privi di permesso di soggiorno, si configura peraltro anche la fattispecie di reato di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998.
MAXISANZIONE E TIROCINIO
Il tirocinio extracurriculare è una figura che non rientra tecnicamente nel novero delle forme tipiche di rapporto di lavoro ma costituisce un periodo di orientamento al lavoro di durata limitata con una componente di apprendimento e formazione, il cui obbiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare.
Pur non costituendo una forma di rapporto di lavoro, il tirocinio va comunicato al Centro per l’impiego tramite il sistema CO a cura del soggetto ospitante o, in sua vece, anche dal soggetto promotore, peraltro già tenuto a provvedere alle assicurazioni obbligatorie. Tale onere comunicazionale appare particolarmente rilevante nelle ipotesi in cui il rapporto di tirocinio difetti dei requisiti tipici e risulti, pertanto, non genuino. Infatti, ove la prestazione sia stata correttamente comunicata al Centro per l’impiego ma ricorrano gli indici della subordinazione, essa potrà essere solo oggetto di disconoscimento e riqualificazione in termini di rapporto di lavoro subordinato, non potendo trovare applicazione la maxisanzione per lavoro “nero”.
Diversamente, potrà trovare applicazione la maxisanzione in caso di omessa comunicazione di instaurazione del tirocinio e ricostruzione del rapporto in termini di lavoro subordinato.
Una particolare fattispecie può aversi nel caso in cui, pur essendo stato correttamente comunicato, il rapporto, al suo termine, prosegua oltre il periodo massimo fissato dalla legge regionale di riferimento, senza che ciò risulti dall’originaria comunicazione al Centro per l’impiego o sia oggetto di comunicazione di proroga. In tali casi, ferma restando la verifica della sussistenza della subordinazione, la sanzione andrà applicata con decorrenza dal predetto “sforamento” (cfr. INL circ. n. 8/2018).
Un ulteriore punto sul quale occorre porre attenzione è dato dalle conseguenze che possono derivare sull’intero rapporto di tirocinio da un pregresso periodo di lavoro sommerso.
Innanzitutto, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, nelle more dell’espletamento di tutte le formalità per la corretta attivazione del tirocinio, decida di impiegare ugualmente il futuro tirocinante in attività lavorativa in “nero”, troverà applicazione la maxisanzione. In tal caso, infatti, mancando qualsiasi ufficiale formalizzazione, il rapporto di tirocinio è del tutto inesistente e il lavoratore impiegato in attività lavorativa subordinata, senza regolare assunzione, non può che essere considerato a tutti gli effetti un lavoratore in “nero”.
Altra situazione si può avere nell’ipotesi in cui il personale ispettivo, nella verifica della regolarità di un tirocinio correttamente formalizzato, accerti che il tirocinante è stato impiegato in attività lavorativa sommersa antecedentemente all’instaurazione del rapporto di tirocinio.
In tal caso occorrerà preliminarmente verificare che la legge regionale di riferimento, in linea con quanto previsto dalle linee guida in materia di tirocini extracurriculari, diramate il 25 maggio 2017 dalla Conferenza permanente Stato Regioni, ritenga l’attivazione del tirocinio incompatibile con un precedente rapporto di lavoro subordinato o una collaborazione coordinata e continuativa, intrattenuti con il soggetto ospitante negli ultimi due anni.
Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità
ID 16115 | 18.03.2022 / In allegato linee guida
Le “Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità” previste dall’art.1 del decreto legislativo 151 del 2015 rappresentano strumenti di indirizzo e coordinamento a livello nazionale e rinnovano l’impegno delle amministrazioni nel delineare un percorso di collaborazione e di condivisione interistituzionale verso un sistema di inclusione lavorativa in grado di essere più efficiente e organico in tutto il Paese.
Le Linee guida, pur non sostituendosi alle legislazioni regionali che hanno regolamentato l’applicazione del collocamento mirato sui territori, intendono offrire un quadro di riferimento complessivo rispetto a principi, interventi e metodologie di attuazione.
Gli indirizzi e le proposte contenute nel documento fanno propri i principi espressi dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità e tengono in considerazione gli obiettivi della recente Strategia europea per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 presentata dalla Commissione europea. In particolare, si assume la dimensione del lavoro come fondamentale per i percorsi di integrazione sociale delle persone con disabilità e la più ampia realizzazione dei relativi progetti di vita indipendente.
Gli interventi, le indicazioni ed i metodi presentati nelle Linee guida sono finalizzati a:
[alert]- favorire, su tutto il territorio nazionale, la presenza e la fruibilità di servizi, strumenti e risorse adeguati, secondo i principi delle pari opportunità e non discriminazione, a beneficio dei cittadini con disabilità e delle imprese interessati dalla norma del collocamento mirato; - sostenere la standardizzazione dei processi di attuazione delle norme su tutto il territorio nazionale, da parte dei servizi competenti, per ridurre i divari territoriali che penalizzano vaste aree del Paese; - orientare le azioni del sistema nella prospettiva di un miglioramento continuo dell’efficacia delle prestazioni, favorito da attività di monitoraggio e da una condivisione delle pratiche valide tra le diverse realtà locali.[/alert]
Le linee guida sostengono le azioni di capacità amministrativa, nell’ottica della collaborazione interistituzionale, favorendo l’adozione di interventi innovativi nella programmazione regionale e sostenendo il rafforzamento di quanto già previsto dai servizi territoriali per il collocamento mirato.
Con l’approccio connaturato alla logica del mainstreaming, si ritiene necessario introdurre o consolidare un sistema di analisi e valutazione delle politiche promosse dalle amministrazioni regionali che consideri il potenziale impatto sul mondo della disabilità delle misure predisposte, interpretando in particolare il tema del lavoro non solo in termini di equità ma anche in chiave di crescita economica.
Seguendo la medesima ottica del mainstreaming, si ritiene utile estenderne i principi anche alla dimensione di genere nell’ambito del collocamento mirato, sollecitando la valutazione ex ante dell’impatto delle misure adottate dalle amministrazioni, secondo l’approccio intersezionale promosso dall’EIGE (European Institute for Gender Equality).
Si raccomanda la promozione di campagne di comunicazione e valorizzazione della responsabilità sociale delle imprese ai fini del perseguimento di migliori risultati quantitativi e qualitativi sul piano occupazionale e di indurre i necessari cambiamenti culturali nei confronti della tematica della disabilità nei contesti organizzativi e produttivi.
Allo scopo di sostenere l’occupazione delle persone con disabilità e riconoscere il ruolo attivo dei datori di lavoro nell’applicazione della normativa, si propone l’introduzione o il consolidamento, da parte delle amministrazioni competenti per il collocamento mirato, di meccanismi e clausole premianti negli appalti pubblici a favore di imprese ed enti che abbiano istituito la figura del responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro.
Si ribadisce la necessità e si sollecitano la promozione e il consolidamento della gestione sistematica dei dati amministrativi riferiti al Collocamento mirato, l’aggiornamento costante e regolare dei flussi informativi, lo sviluppo della collaborazione applicativa orientata a una piena interoperabilità tra i sistemi di riferimento sulla disabilità, nel quadro della governance regionale e in sinergia con le esigenze di uniformità espresse a livello nazionale, anche ai fini di una loro opportuna analisi e valutazione.
Le Linee guida introducono una ripartizione in tre distinte categorie di beneficiari dei diversi processi di accompagnamento al lavoro, allo scopo di prefigurare percorsi personalizzati che tengano in considerazione anche alcune specificità risultanti dalla relazione della persona con il servizio per il collocamento mirato. Tali categorie sono state individuate al fine di sensibilizzare i servizi su specifiche tipologie di intervento.
Una prima categoria, che si compone di giovani con disabilità che non rientrano ancora tra i beneficiari della normativa, in quanto non ancora in età da lavoro o perché ancora nel sistema dell’istruzione, sarà destinataria di interventi che coinvolgeranno operatori e servizi dei sistemi socio sanitari, dell’istruzione e della formazione, allo scopo di garantire nei tempi opportuni un efficace trasferimento della presa in carico verso il sistema dell’integrazione lavorativa, anche considerando l’introduzione di una figura di tutoraggio per facilitare ed accompagnare l’inclusione e il cambiamento per le diverse dimensioni del progetto personalizzato.
Una seconda categoria comprende le persone che accedono per la prima volta alle liste del collocamento obbligatorio oppure sono iscritte da non oltre 24 mesi.
Una terza categoria, infine, riguarda i disoccupati da oltre 24 mesi e le persone che rientrano al lavoro, dopo dimissioni/licenziamenti o lunghi periodi di malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale o riabilitazione.
Le linee guida costituiscono un documento di indirizzo, pertanto, in considerazione del loro intervento su tematiche di rilievo che necessitano di confronto istituzionale e ulteriore approfondimento, si ravvisa la necessità di prevedere appositi tavoli tecnici; ciò anche in relazione all’opportunità di adottare provvedimenti specifici o elaborare proposte di modifica normativa.
Tali tavoli saranno costituiti con i componenti necessari in relazione alla specifica materia. Le tematiche di seguito riportate non costituiscono un elenco tassativo ma potranno essere implementate laddove se ne rilevi la necessità:
- ricognizione degli iscritti per verificare le permanenze nelle liste del collocamento obbligatorio per le persone iscritte da più di 24 mesi; - implementazione della banca dati sul collocamento mirato; - verifica ed eventuale aggiornamento delle schede anagrafica e per l’orientamento di base; - procedure di assunzione delle persone con disabilità psichica presso le pubbliche amministrazioni.
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INDICE PRESENTAZIONE DELLE LINEE GUIDA IN MATERIA DI COLLOCAMENTO MIRATO DELLE PERSONE CON DISABILITÀ 1. I RECENTI INTERVENTI NORMATIVI DI MODIFICA DELLA LEGGE 68/1999 1.1 Il decreto legislativo 151/2015 1.2 Gli interventi relativi all’occupazione nell’ambito pubblico 1.3 Quadro delle competenze sulla gestione del Collocamento mirato 2. I SERVIZI PER LE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO E IL COLLOCAMENTO MIRATO 2.1 Tipologia degli utenti dei Servizi per l’impiego 2.2 Percorso di attivazione dell’utente presso il CPI 2.3 Accoglienza e prima informazione 2.4 DID online, profilazione, aggiornamento SAP e iscrizione negli elenchi del collocamento mirato per le persone con disabilità 2.5 L’orientamento di base nel caso delle persone con disabilità 2.6 Profilazione qualitativa approfondita 2.6.1 Ruolo e compiti del comitato tecnico 2.7 Patto di servizio personalizzato 2.7.1 Il Patto di servizio per le persone con disabilità 3. ITER PROCEDIMENTALE PREVISTO PER IL DATORE DI LAVORO CHE DEVE PROCEDERE ALL’ASSUNZIONE DELLA PERSONA CON DISABILITÀ AI SENSI DELLA LEGGE 68/1999 3.1 Distinzione datori di lavoro pubblici/datori di lavoro privati obbligati all’assunzione 3.2 Modalità di assunzione per i datori di lavoro privati 3.3 Richiesta avviamento tramite Prospetto informativo 3.4 Modalità delle assunzioni e adempimenti per i datori di lavoro pubblici (Comunicazione 39 quater per i datori di lavoro pubblici) 3.5 Modalità operative del servizio per il collocamento mirato per garantire il corretto adempimento dell’obbligo di assunzione delle persone con disabilità 4. RETI INTEGRATE NEI PERCORSI DI ATTIVAZIONE DELLA PERSONA CON DISABILITÀ 4.1 Iniziative nel quadro dell’integrazione degli interventi a sostegno dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità 4.2 Il comitato tecnico e la rete integrata dei servizi 5. GLI ACCORDI TERRITORIALI 5.1 Forme di concertazione territoriale tra Regione, Città metropolitane, Province e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro con le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 38, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari, nonché con le altre organizzazioni del terzo settore rilevanti 5.2 Gli accordi territoriali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro con le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 38, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari, nonché con le altre organizzazioni del terzo settore rilevanti 5.3 Attività di monitoraggio 5.4 Fondi e risorse finanziarie 6. LA VALUTAZIONE BIO-PSICO-SOCIALE DELLA DISABILITÀ 6.1 Principi comuni in materia di valutazione bio-psico-sociale 6.2 Dall’accertamento della condizione di disabilità ai fini del collocamento mirato al profilo di occupabilità: indicazioni e indirizzi operativi 6.3 Il comitato tecnico e il progetto di inserimento lavorativo personalizzato 7. ANALISI DELLE CARATTERISTICHE DEI POSTI DI LAVORO E GLI ACCOMODAMENTI RAGIONEVOLI 7.1 Analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro 7.2 Accomodamenti ragionevoli 7.2.1 Il contesto normativo 7.2.2 Ambito di applicazione 7.3 Gli accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro 7.4 Il lavoro agile come accomodamento ragionevole 7.5 L’eccessiva onerosità dell’accomodamento 7.6 I contributi per l’adozione di accomodamenti ragionevoli 7.7 Contributi INAIL 8. RESPONSABILE DELL’INSERIMENTO LAVORATIVO PER LE PERSONE CON DISABILITÀ 8.1 Premessa normativa 8.2 Indirizzi operativi 9. LE BUONE PRATICHE DI INCLUSIONE LAVORATIVA SCHEMA - I servizi per il collocamento mirato rivolti a persone con disabilità e datori di lavoro ALLEGATI Allegato 1 Allegato 2 Allegato 3
Medico competente comunicazioni dati All. 3B anno 2021 proroga al 31.07.2022
ID 15785 | 17.02.2022 / In allegato Nota Min. della Salute del 15.02.2022
Ministero della Salute nota 15 febbraio 2022 - Proroga invio dati art. 40 allegato 3B
OGGETTO: Proroga invio dati art. 40 allegato 3B
Il decreto legislativo 81/2008, all'art. 40 comma 1 recita: "Entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente trasmette, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati collettivi aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in ALLEGATO 3B".
Pertanto, l'invio dell'allegato, con i dati della sorveglianza sanitaria a cui i lavoratori sono sottoposti da parte del medico competente, sarebbe da effettuarsi entro il 31 marzo 2022.
L’invio dell’allegato 3B, quale adempimento amministrativo, riveste una notevole importanza per il monitoraggio della sorveglianza sanitaria a cui sono sottoposti i lavoratori, tanto che in seno alla scrivente Direzione generale è stato istituito uno specifico gruppo tecnico, composto da istituzioni e società scientifiche, finalizzato al miglioramento dell’utilizzo dei dati e all’ottimizzazione della richiesta e della raccolta di informazioni da parte dei medici competenti. L’importanza di questa fonte di dati è in più parti richiamata anche nel Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, si tra le linee di azione centrale sia nei piani predefiniti.
Tuttavia, il carico di lavoro dei medici competenti, la difficoltà della situazione legata alla gestione dell'emergenza COVID-19, la peculiarità operativa della sorveglianza sanitaria periodica in questa fase pandemica non consente il congruo invio dei dati nei tempi previsti dalla legge e pertanto, al fine di consentire ai medici competenti una migliore gestione dell’inoltro dei dati, si dispone la proroga al 31 luglio 2022 dell’invio dei dati allegato 3B relativi all’anno 2021.
Oggetto: richiesta parere su condizioni di revoca del provvedimento di sospensione ex art. 14D.Lgs. n. 81/2008.
È pervenuta alla scrivente Direzione la richiesta di parere in oggetto, concernente i presupposti necessari per la revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.
In particolare, il quesito concerne le condizioni necessarie ai fini della revoca del provvedimento, laddove lo stesso sia stato adottato per l’irregolare occupazione di lavoratori impiegati nel settore agricolo e nei settori produttivi caratterizzati dalla stagionalità o dalla natura avventizia delle prestazioni di lavoro.
Si chiede se sia possibile, in tali casi, ritenere condizione sufficiente, ai fini della revoca, la regolarizzazione del rapporto di lavoro attraverso la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a 90 giorni, atteso che - come chiarito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali - in fase di revoca non risulta necessario il requisito del mantenimento del rapporto di lavoro per almeno 3 mesi previsto per legge.
Inoltre, con specifico riferimento all’ipotesi di impiego irregolare di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno da parte di aziende agricole, si chiede se il solo pagamento della somma aggiuntiva prevista dal citato art. 14 possa consentire la revoca del provvedimento di sospensione.
Al riguardo, acquisito il preventivo parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 847 del 31 gennaio 2022, si rappresenta quanto segue.
Le condizioni di legge necessarie per la revoca del provvedimento di sospensione sono, oltre al pagamento della somma aggiuntiva, la regolarizzazione dei lavoratori “in nero” “di norma” - come testualmente chiarito dalla circ. n. 26/2015 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - “mediante le tipologie contrattuali indicate dalla disciplina in materia di maxisanzione”.
Va da sé che, nel caso in questione, resti quindi possibile la regolarizzazione del personale interessato con soluzioni contrattuali diverse, pur sempre compatibili con la prestazione di lavoro subordinato già resa. Resta inteso che eventuali soluzioni di regolarizzazione diverse da quelle indicate dal legislatore, così come il mantenimento in servizio per un periodo di tempo inferiore ai 3 mesi, non consentirà l’ammissione al pagamento della diffida, comunque impartita, ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004.
Con riferimento alla regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno, pur nella impossibilità di una piena regolarizzazione e tenuto conto delle differenti modalità di pagamento dei contributi previdenziali per il settore agricolo, in linea con quanto già chiarito con ML circ. n. 26/2015, il datore di lavoro dovrà fornire prova del pagamento della somma aggiuntiva ai fini della revoca e provvedere al versamento dei contributi di legge laddove i termini siano già scaduti, ovvero fornire prova della avvenuta denuncia contributiva secondo le modalità previste dall’INPS.
Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 30 Novembre 2021
Contagi sul lavoro da Covid-19, nel 2021 tra gennaio e novembre in calo denunce (-69,5%) e casi mortali (-50,7%)
Le infezioni di origine professionale denunciate all’Inail dall’inizio della pandemia sono 185.633 con 797 decessi, di cui sette su 10 sono avvenuti l’anno scorso. Rispetto al monitoraggio di fine ottobre, l’incremento registrato dal nuovo report mensile della Consulenza statistico attuariale, pubblicato oggi insieme alle schede regionali aggiornate, è di 2.486 casi (+1,4%).
ROMA - Dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 30 novembre i contagi sul lavoro da Covid-19 segnalati all’Inail sono 185.633, pari a oltre un sesto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020 e al 3,7% del complesso dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data. A rilevarlo è il 22esimo report nazionale sulle infezioni di origine professionale da nuovo Coronavirus elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, da cui emerge anche che rispetto alle 183.147 denunce registrate dal monitoraggio mensile precedente i casi in più sono 2.486 (+1,4%), di cui 1.525 riferiti a novembre, 425 a ottobre, 62 a settembre e 67 ad agosto scorsi, mentre gli altri 407 casi sono riferiti per il 57,0% agli altri mesi del 2021 e il restante 43,0% al 2020. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni precedenti.
Il 79,9% delle segnalazioni all’Istituto concentrato nel 2020. Rispetto ai primi 11 mesi del 2020, le infezioni di origine professionale denunciate da gennaio a novembre di quest’anno, benché non consolidate, sono in calo del 69,5%. Il 2020, con 148.391 contagi sul lavoro, raccoglie il 79,9% di tutti i casi segnalati all’Istituto dall’inizio della pandemia, con i mesi di novembre (40.621 denunce) e marzo (28.684) ai primi due posti. Il 2021, con 37.242 denunce in 11 mesi, al momento pesa invece per il restante 20,1%. Da febbraio di quest’anno il fenomeno è in significativa discesa e i 240 casi di giugno, sebbene ancora provvisori, continuano a rappresentare il minor numero di contagi mensili registrati dall’anno scorso, sensibilmente inferiore anche al minimo precedente osservato a luglio del 2020 (con poco più di 500 casi). In generale, se nel 2020 l’incidenza media delle denunce da Covid-19 sul totale di tutti gli infortuni denunciati all’Inail è stata di una denuncia ogni quattro, nei primi 11 mesi del 2021 si è scesi a una su 14.
Nei primi 11 mesi di quest’anno dimezzata l’incidenza del virus sul totale delle morti. I decessi sul lavoro da nuovo Coronavirus segnalati all’Istituto dall’inizio della pandemia sono 797, oltre un quarto degli infortuni sul lavoro con esito mortale denunciati da gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,6% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla stessa data. Rispetto ai 782 rilevati dal monitoraggio dello scorso 31 ottobre, i casi mortali sono 15 in più, di cui due avvenuti a novembre e 13 nei mesi precedenti (nove nel 2021 e quattro nel 2020). Rispetto ai primi 11 mesi del 2020, i decessi tra gennaio e novembre di quest’anno, benché non consolidati, sono in calo del 50,7%. Il 2020, con 563 decessi, raccoglie il 70,6% di tutti i casi mortali da contagio pervenuti fino al 30 novembre di quest’anno, con i mesi di aprile (196 casi) e marzo (141) ai primi due posti. Il 2021, con 234 decessi da Covid-19 nei primi 11 mesi, per ora pesa invece per il restante 29,4% sul totale dei contagi con esito mortale denunciati da inizio pandemia, con marzo e aprile al primo posto per numero di casi (51 per entrambi). Se l’anno scorso l’incidenza media dei decessi da nuovo Coronavirus sul totale dei casi mortali segnalati all’Inail è stata di circa una denuncia ogni tre, tra gennaio e novembre di quest’anno è scesa a una su sei.
L’identikit dei lavoratori contagiati. La maggioranza dei casi mortali riguarda gli uomini (82,7%) e i lavoratori nelle fasce di età 50-64 anni (71,4%), over 64 anni (18,6%) e 35-49 anni (9,4%), mentre tra gli under 35 si registra solo lo 0,6% dei morti. Allargando l’analisi a tutti i contagi sul lavoro, il rapporto tra i generi si inverte. La quota delle lavoratrici contagiate sul totale dei casi denunciati, infatti, è pari al 68,3%. La componente femminile, in particolare, supera quella maschile in tutte le regioni, a eccezione della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove l’incidenza delle donne sul complesso delle infezioni di origine professionale è, rispettivamente, del 48,7%, del 46,0% e del 44,3%. L’età media dei contagiati dall’inizio della pandemia è di 46 anni per entrambi i sessi e 59 per i deceduti (57 per le donne, 59 per gli uomini). Il 42,4% del totale delle denunce riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (36,6%), under 35 anni (19,0%) e over 64 anni (2,0%). Gli italiani sono l’86,5%, mentre il restante 13,5% delle denunce riguarda lavoratori stranieri, concentrati soprattutto tra rumeni (21,0% dei contagiati stranieri), peruviani (12,5%), albanesi (8,1%), moldavi (4,6%), ecuadoriani (4,1%) e svizzeri (4,0%). Più di nove morti su 10 sono italiani (90,2%), mentre la comunità straniera con più decessi denunciati è quella peruviana, con il 15,4% dei casi mortali dei lavoratori stranieri, seguita da quelle albanese (11,5%) e rumena (7,7%).
L’Industria e servizi al primo posto tra le gestioni assicurative. Quasi tutti i contagi sul lavoro (96,9%) e i casi mortali (88,0%) denunciati riguardano la gestione assicurativa dell’Industria e servizi, mentre le infezioni di origine professionale registrate nelle restanti gestioni per Conto dello Stato (amministrazioni centrali dello Stato, scuole e università statali), Agricoltura e Navigazione sono 5.883, con 95 decessi. Sono circa 3.200, in particolare, i contagi di insegnanti, professori e ricercatori di scuole di ogni ordine e grado e di università statali e private, riconducibili sia alla gestione dei dipendenti del Conto dello Stato sia al settore Istruzione della gestione Industria e servizi.
I settori di attività più colpiti. Rispetto alle attività produttive coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – si conferma al primo posto con il 64,8% delle denunce e il 22,4% dei casi mortali codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,2% dei contagi e il 10,4% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono il noleggio e servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il trasporto e magazzinaggio, secondo per numero di decessi con il 12,9% del totale, il manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), al terzo posto per casi mortali denunciati con l’11,8%, le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), e le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale).
L’andamento del fenomeno per comparto produttivo. Nei primi 11 mesi di quest’anno in vari settori produttivi si riscontrano, però, alcune differenze nell’evoluzione dei contagi rispetto al 2020. In termini assoluti la sanità e assistenza sociale ha mostrato un numero di infortuni da Covid-19 in costante discesa, registrando nel mese di giugno il suo livello più basso, con una sessantina di casi (erano più di 400 a giugno 2020), per proseguire nella seconda parte dell’anno con un andamento altalenante e due lievi risalite in corrispondenza di agosto e novembre, mesi in cui si superano i 470 contagi. In termini di incidenza, a partire dallo scorso febbraio il settore ha avuto riduzioni che, tuttavia, negli ultimi cinque mesi mostrano segnali di ripresa. Altri comparti produttivi, come il trasporto e magazzinaggio e il commercio, nel corso del 2021 hanno invece fatto registrare incidenze di contagi professionali maggiori rispetto allo scorso anno.
Un decesso su quattro tra il personale sanitario e socio-assistenziale. Dall’analisi per professione dell’infortunato emerge che più di un quarto dei decessi (26,0%) riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale, con la categoria dei tecnici della salute al primo posto con il 37,3% delle denunce complessive, l’82,6% delle quali relative a infermieri, e il 9,7% dei casi mortali codificati (il 65,8% infermieri). Seguono gli operatori socio-sanitari con il 18,1% delle denunce (e il 3,8% dei decessi), i medici con l’8,5% (e il 5,1% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 6,8% (e il 2,6% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (e il 3,3% dei decessi). Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, gli impiegati amministrativi, con il 4,7% delle denunce e il 10,0% dei casi mortali, gli addetti ai servizi di pulizia, con il 2,3% dei contagiati e il 2,4% dei deceduti, i conduttori di veicoli, con solo l’1,3% dei contagi ma ben il 7,8% dei decessi, gli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta (1,0%), gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia, e i professori di scuola primaria, pre-primaria e professioni assimilate (entrambi con lo 0,9%).
Dallo scorso febbraio incidenze in calo per le professioni sanitarie. A partire dallo scorso febbraio, si osserva in generale un calo significativo delle denunce anche rispetto alla professione dell’infortunato, con incidenze in riduzione per alcune categorie, tra le quali le professioni sanitarie, che negli ultimi cinque mesi mostrano, però, segnali di ripresa dei contagi. Altre professioni, con il ritorno alle attività, hanno visto aumentare l’incidenza delle infezioni di origine professionale rispetto al 2020. È il caso, per esempio, degli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali, degli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, degli insegnanti di scuola primaria e degli impiegati addetti agli sportelli e ai movimenti di denaro.
I maggiori incrementi percentuali su base mensile nelle province di Messina, Trieste e Ascoli Piceno. L’analisi territoriale, che è possibile approfondire anche attraverso le nuove schede regionali, evidenzia una distribuzione delle denunce del 42,2% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 25,0%), del 24,6% nel Nord-Est (Veneto 10,5%), del 15,3% al Centro (Lazio 6,7%), del 12,9% al Sud (Campania 5,9%) e del 5,0% nelle Isole (Sicilia 3,4%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono quelle di Milano (9,6%), Torino (6,9%), Roma (5,4%), Napoli (4,0%), Brescia e Varese (2,5% ciascuna), Verona e Genova (2,4% ciascuna), Bologna (2,3%) e Firenze (2,0%). Milano è la provincia che registra il maggior numero di contagi professionali accaduti nel solo mese di novembre, seguita da Roma, Torino, Trieste, Napoli, Brescia, Venezia, Messina, Genova, Bologna, Imperia, Como, Cremona e Verona. Le province che registrano i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di ottobre – non per contagi avvenuti in novembre ma per il consolidamento dei dati in mesi precedenti – sono però quelle di Messina (+7,1%), Trieste e Ascoli Piceno (+6,9% per entrambe), Crotone (+6,0%), Pistoia (+5,9%), Gorizia (+4,5%), Siracusa (+4,4%), Cosenza e Catania (+4,2% per entrambe).
A Napoli la maglia nera dei casi mortali. Prendendo in considerazione solo i decessi, la quota del Nord-Ovest sul totale scende al 36,3% (prima la Lombardia con il 24,7%), mentre il Sud, con il 26,0% dei casi mortali denunciati, contro il 12,9% riscontrato sul complesso delle denunce, precede il Centro (18,3%), il Nord-Est (12,8% rispetto al 24,6% delle denunce totali) e le Isole (6,6%). Le province con più decessi da inizio pandemia sono Napoli (7,9%), Roma (7,8%), Milano (6,5%), Bergamo (6,4%), Brescia e Torino (4,0% ciascuna), Cremona e Genova (2,4% ciascuna), Bari, Caserta e Palermo (2,1% ciascuna), Parma e Salerno (2,0% ciascuna).
La circolare n. 3 del 9 novembre u.s. ha fornito prime indicazioni in merito alle modifiche apportate dal d.l. 146/2021 con specifico riguardo all’articolo 14 del TUSL rinviando a successiva nota le istruzioni inerenti alle violazioni in materia di salute e sicurezza di cui all’Allegato I del d.lgs. 81/2008, come modificato dal decreto-legge in oggetto.
Acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del MLPS (prot. n. 11057 del 6/12/2021 e prot. n. 11130 del 7/12/2021) e tenuto conto che il provvedimento normativo è attualmente in fase di conversione, appare opportuno, al fine di uniformare i comportamenti ispettivi, anticipare le questioni di maggiore rilevanza relative alle fattispecie di violazione ai fini dell'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 14, co. 1, del TUSL, con riserva di rivalutarle alla luce delle eventuali modifiche apportate in sede di conversione.
In ragione dell’estensione delle competenze di cui al novellato articolo 13 del d.lgs. n. 81/2008 e nel richiamare le indicazioni fornite con nota DC Tutela prot. n. 4329 del 23 giugno 2021 in materia di potenziamento delle sinergie operative nell’ambito della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si ribadisce la necessità di intensificare a livello locale ogni utile raccordo con i servizi di prevenzione delle ASL anche al fine di sviluppare modelli operativi condivisi da attuare in attività di vigilanza coordinate e congiunte.
Tali attività congiunte, che potranno svilupparsi con la partecipazione del solo personale ispettivo ordinario, dovranno tener conto della opportunità di procedere, laddove ricorrano sia violazioni di cui all’Allegato I sia fattispecie di lavoro “nero”, all’adozione di un unico provvedimento di sospensione e di un unico provvedimento di revoca, una volta verificate tutte le condizioni abilitanti, tenuto conto della competenza esclusiva dell’INL in materia di lavoro irregolare.
Al fine di promuovere comunque un approccio uniforme e completo alle verifiche ispettive, gli Uffici dovranno favorire la costituzione di gruppi di intervento ispettivo integrati anche con la partecipazione di personale, civile e/o militare, con specializzazione tecnica, ferma restando l’opportuna programmazione congiunta con le ASL da condividere negli organismi locali.
Per le violazioni di cui all’Allegato I si ritiene che la sospensione possa essere adottata in presenza delle condizioni riportate di seguito in relazione a ciascuna fattispecie, da vagliare nei limiti del sindacato cautelare esperibile all’atto dell’accesso ispettivo.
[box-download]In calce all'articolo testo della Circolare INL n. 4 del 9 dicembre 2021[/box-download]
[panel]Estratto
1. Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi
In considerazione del tenore letterale della previsione, si ritiene che il provvedimento di sospensione possa essere adottato solo laddove sia constatata la mancata redazione del DVR di cui all’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008.
Nelle ipotesi in cui, in sede di accesso, venga dichiarato che il DVR è custodito in luogo diverso, ferma restando la contestazione dell’illecito di cui all’articolo 29, comma 4, TUSL sarà opportuno adottare il provvedimento di sospensione con decorrenza differita alle ore 12:00 del giorno lavorativo successivo, termine entro il quale il datore di lavoro potrà provvedere all’eventuale esibizione. Solo nel caso in cui il DVR rechi data certa antecedente all’emissione del provvedimento di sospensione, sarà possibile procedere all’annullamento dello stesso limitatamente alla causale afferente alla mancanza del DVR.
Si rammenta, infatti, che la previsione dell’articolo 28, comma 2, del d.lgs. 81/2008 contempla “la data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e del medico competente, ove nominato”.
La mancata elaborazione del DVR sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo (Art. 29, comma 1 (eccetto aziende per le quali è previsto il solo arresto).
Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire il DVR.
Va tuttavia considerato che per talune fattispecie l’assenza del DVR non è oggetto di prescrizione. Si tratta delle seguenti ipotesi, di cui al TUSL, in cui l’illecito è punito solo con l’arresto:
- aziende di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g); - aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all’articolo 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione, smaltimento e bonifica di amianto; - attività disciplinate dal Titolo IV caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini/giorno.
In tali casi, il personale ispettivo, oltre a comunicare ai sensi dell’art. 347 del c.p.p. la notizia di reato all’Autorità Giudiziaria, avrà cura di indicare, nel provvedimento di sospensione, la necessaria elaborazione del DVR quale condizione della revoca.
2. Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione
Anche in tal caso il dato letterale della norma fa ritenere che il provvedimento di sospensione trovi applicazione nei soli casi in cui sia constatata l’omessa redazione del Piano, in violazione di quanto previsto dall’art. art. 46, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008.
La mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo.
Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire il Piano in questione.
3. Mancata formazione ed addestramento
Il provvedimento di sospensione va adottato solo quando è prevista la partecipazione del lavoratore sia ai corsi di formazione sia all’addestramento.
Tali circostanze sono rinvenibili in riferimento alle seguenti fattispecie del TUSL:
- Articolo 73, in combinato disposto con art. 37, nei casi disciplinati dall'accordo Stato Regioni del 22/02/2012 (utilizzo di attrezzatura da lavoro); - Articolo 77, comma 5 (utilizzo di DPI appartenenti alla III categoria e dispositivi di protezione dell’udito); - Articolo 116, comma 4 (sistemi di accesso e posizionamento mediante funi); - Articolo 136, comma 6 (lavoratori e preposti addetti al montaggio, smontaggio, trasformazione di ponteggi); - Articolo 169 (formazione e addestramento sulla movimentazione manuale dei carichi).
Ai fini di quanto previsto da quest’ultimo articolo, considerato l’accordo Stato Regioni del 2011 (formazione lavoratori), il personale ispettivo verificherà, in rapporto alla mansione effettivamente svolta dal lavoratore, che la formazione specifica sia stata effettuata anche in riferimento alla movimentazione manuale dei carichi solo ove, dalle circostanze accertate in corso di accesso, sia emerso che lo stesso sia adibito a tale attività. Qualora non sia esibita la documentazione inerente alla formazione obbligatoria effettuata, si procederà con l’adozione del provvedimento di sospensione.
In relazione al provvedimento di sospensione dell’attività di impresa o dell’attività lavorativa, qualora sia stata riscontrata la violazione di cui al punto 3, la revoca del medesimo provvedimento potrà conseguire alla dimostrazione della prenotazione della formazione - fermi la regolarizzazione di altre violazioni concomitanti di cui all’Allegato I e il pagamento di tutte le somme aggiuntive dovute - atteso che, per effetto del provvedimento di prescrizione, il lavoratore non potrà essere adibito alla specifica attività per cui, ai fini della sospensione, è stata riscontrata la carenza formativa, fino a quando non sia attestato il completamento della formazione e addestramento.
Ai fini della definizione del procedimento di prescrizione in questione, che potrà aver luogo successivamente alla revoca del provvedimento di sospensione, il trasgressore dovrà produrre documentazione attestante il completamento della formazione ed addestramento.
Nei confronti dei lavoratori irregolarmente occupati nella misura di almeno il 10%, quindi, l’ulteriore causa di sospensione di cui al punto 3 in commento potrà essere contestata solo se gli stessi risultino adibiti ad attività per le quali siano congiuntamente previsti l’obbligo di formazione e quello di addestramento. In caso contrario, la revoca del provvedimento di sospensione per occupazione di lavoratori “in nero” conseguirà alla verifica della prenotazione del corso di formazione di cui all’art. 37 TULS e della visita medica, ove obbligatoria.
A tale ultimo proposito, la circolare n. 3/2021 ha richiamato precedenti indicazioni di prassi, riferite al settore edile, che andranno osservate in tutti gli altri settori ove l’accertamento preveda come oggetto principale il rispetto della disciplina prevenzionistica o comunque contempli la partecipazione di personale ispettivo appartenente al profilo tecnico.
Con riferimento alla prima fase applicativa della nuova disciplina, in caso di vigilanza esclusivamente ordinaria e nei casi in cui l’obbligatorietà o meno della sorveglianza sanitaria non sia agevolmente definibile in sede di accesso, ai fini della regolarizzazione del lavoro “nero” sarà sufficiente la verifica degli obblighi inerenti la formazione di cui all’art. 37 TULS.
Ciò non toglie la possibilità, successivamente alla revoca del provvedimento di sospensione, di estendere l’accertamento ai profili di sicurezza o di ricondurre le relative valutazioni alla fase successiva all’accesso.
4. Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile
Il provvedimento di sospensione va adottato nei soli casi in cui il datore di lavoro non abbia costituito il servizio di prevenzione e protezione e non abbia altresì nominato il RSPP, ai sensi dell’art. 17, comma 1 lett. b, del d.lgs. n. 81/2008, o assunto lo svolgimento diretto dei relativi compiti dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
La mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo.
Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire la documentazione, risultata carente in sede di accesso, inerente alla costituzione del suddetto servizio ed alla nomina del RSPP, ovvero alla preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza circa l’assunzione diretta, da parte del datore di lavoro, dello svolgimento diretto dei compiti del RSPP.
5. Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS)
In base al tenore letterale della disposizione, la sospensione trova applicazione solo nel caso in cui non sia stato elaborato, ai sensi dell’art. 96 c. 1 lett. g del d.lgs. n. 81/2008, il POS di cui all’articolo 89, comma 1 lett. h) TUSL.
L’elaborazione del POS può desumersi anche dal relativo invio al coordinatore o all’impresa affidataria.
In proposito va ricordato che l’art. 96, comma 1-bis, del citato Testo Unico esclude l’obbligo di redazione del POS relativamente “alle mere forniture di materiali o attrezzature”. Si fa rinvio, al riguardo, alle indicazioni nel tempo fornite dal MLPS “in ordine alla approvazione della Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere” (prot. 15/SEGR/003328 del 10/02/2011) e alle note del MLPS e INL (rispettivamente prot. n. 2597 del 10/02/2016 e prot. n. 1753 del 11/08/2020) sulla redazione del POS per la mera fornitura di calcestruzzo.
La mancata elaborazione del POS sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo.
Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire il POS.
6. Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall'alto
La sospensione trova applicazione esclusivamente quando risulti accertato (anche con l’acquisizione di dichiarazioni incrociate oltre che di documentazione) che non sono stati forniti al lavoratore i DPI contro le cadute dall’alto, fattispecie diversa dalle ipotesi in cui i lavoratori non li abbiano utilizzati.
7. Mancanza di protezioni verso il vuoto
La sospensione trova applicazione nelle ipotesi in cui le protezioni verso il vuoto risultino del tutto mancanti o talmente insufficienti da essere considerate sostanzialmente assenti.
8. Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno
La sospensione va adottata quando le armature di sostegno siano del tutto mancanti o siano talmente insufficienti da essere considerate sostanzialmente assenti. Resta salvo il contenuto delle prescrizioni disposte nella relazione tecnica di consistenza del terreno.
9. Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
Si adotta la sospensione in presenza di lavori non elettrici effettuati in vicinanza di linee elettriche durante i quali i lavoratori operino a distanze inferiori ai limiti previsti dalla Tab. 1 dell’Allegato IX, in assenza di disposizioni organizzative e procedurali conformi alle specifiche norme tecniche CEI idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi.
10. Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
Si adotta la sospensione in presenza di lavori non elettrici effettuati in vicinanza di impianti elettrici con parti attive non protette, durante i quali i lavoratori operino a distanze inferiori ai limiti previsti dalla Tab. 1 dell’Allegato IX, in assenza di disposizioni organizzative e procedurali conformi alle specifiche norme tecniche CEI idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi.
11. Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale)
Ai fini dell’adozione del provvedimento, rileva l’assenza degli elementi indicati (impianto di terra, magnetotermico, differenziale), ovvero il loro mancato funzionamento.
12. Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo
Si adotta il provvedimento di sospensione allorquando si accerta la rimozione o la modifica dei dispositivi. La disposizione, in altri termini, consente di adottare il provvedimento di sospensione in base alla sola circostanza che sia stato rimosso o modificato il dispositivo di sicurezza, senza che sia necessario accertare anche a quale soggetto sia addebitabile la rimozione o la modifica.
***** Si ribadisce che per tutte le ipotesi di sospensione sopra elencate, il personale ispettivo provvederà altresì ad adottare i provvedimenti di prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 20 e ss. del d.lgs. 758/1994, salvo nei casi in cui gli illeciti non siano, in ragione della pena prevista, assoggettabili alla predetta procedura.
La revoca del provvedimento di sospensione sarà soggetta, salvo quanto previsto al punto 3, alla ottemperanza di tutte le prescrizioni impartite in riferimento all'allegato I, alla cui verifica dovrà procedersi con la massima tempestività.
In riferimento a quest’ultima esigenza, i Dirigenti e i responsabili delle articolazioni organizzative preordinate alla vigilanza dovranno tener conto di adeguate misure di flessibilità della programmazione e relativa attuazione degli accertamenti disposti.
In fase di prima applicazione, nelle more dell'evoluzione normativa e delle modalità operative della vigilanza, l’adozione del provvedimento di sospensione di cui alle ipotesi riportate nei punti 3 e dal 6 al 12 è da ricondurre esclusivamente al personale con specializzazione tecnica in base al profilo professionale di inquadramento.
Negli altri casi (punti 1, 2, 4 e 5), previo svolgimento di dedicati percorsi di aggiornamento professionale, l’adozione del provvedimento è rimessa anche agli ispettori del lavoro non appartenenti ai profili tecnici, ivi compreso il personale ispettivo INPS e INAIL.
Restano ferme le competenze alla adozione del provvedimento in caso di utilizzazione di personale “in nero” da parte del personale ispettivo “ordinario” e appartenente ai ruoli INPS e INAIL, così come del resto avveniva sulla base della nota prot. 5546 del 20 giugno 2017.
Nei casi di provvedimenti adottati per le violazioni di cui ai punti precedenti, attesa la sostanziale assenza di un sistema di sicurezza aziendale, andrà opportunamente valutata, successivamente alla revoca del provvedimento di sospensione, l’estensione dell’accertamento a tutti i profili di competenza e in particolare a quelli attinenti alla salute e sicurezza, attivando anche nuovi accessi ed avvalendosi, ove necessario, delle Unità di progetto Sicurezza già costituite ovvero delle opportune sinergie con le ASL.[/panel]
Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Ottobre 2021
INAIL 26.11.2021
Pubblicato il 21esimo report della Consulenza statistico attuariale Inail: dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 31 ottobre le infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto sono 183.147, 782 delle quali con esito mortale. Rispetto al monitoraggio mensile precedente, i casi in più sono 1.511 (+0,8%)
Covid-19, nei primi 10 mesi dell’anno i contagi sul lavoro in calo del 57,2% rispetto al 2020
ROMA - Tra gennaio e ottobre di quest’anno i contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail sono diminuiti del 57,2% rispetto allo stesso periodo del 2020. A rilevarlo è il 21esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto e pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, da cui emerge che dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 31 ottobre le infezioni di origine professionale segnalate all’Inail sono 183.147, pari a oltre un sesto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020 e al 3,8% del totale dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data.
Dallo scorso febbraio il trend è in discesa. Rispetto alle 181.636 denunce rilevate dal monitoraggio precedente del 30 settembre 2021, i casi in più sono 1.511 (+0,8%), di cui 619 riferiti a ottobre, 254 a settembre e 117 ad agosto scorsi, mentre gli altri 521 casi riguardano per il 63,5% gli altri mesi del 2021 e il restante 36,5% il 2020. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni precedenti. Il 2020, in particolare, con 148.216 infezioni totali denunciate raccoglie l’80,9% degli infortuni da Covid-19 pervenuti da inizio pandemia, con i mesi di novembre (40.536 denunce) e marzo (28.671) ai primi due posti per numero di casi. Il 2021, con 34.931 contagi denunciati in 10 mesi, al momento pesa invece per il restante 19,1%. Da febbraio di quest’anno il fenomeno è in significativa discesa e i 237 casi di giugno, sebbene ancora provvisori, rappresentano il minor numero di contagi mensili registrati dall’anno scorso, sensibilmente inferiore anche al precedente minimo osservato a luglio del 2020 (con poco più di 500 casi).
Le morti sono 20 in più ma solo una è avvenuta nell’ultimo mese di rilevazione. Le morti sul lavoro da Covid-19 denunciate all’Inail dall’inizio della pandemia sono 782, oltre un quarto del totale dei decessi denunciati all’Inail da gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,6% rispetto al complesso dei deceduti nazionali comunicati dall’Iss alla stessa data. Rispetto ai 762 casi rilevati dal monitoraggio dello scorso 30 settembre, i decessi sono 20 in più, di cui uno avvenuto a ottobre e i restanti 19 riconducibili ai mesi precedenti (13 avvenuti nel 2021 e 6 nel 2020). Il 2020 con 559 decessi da Covid-19 raccoglie il 71,5% di tutti i casi mortali da contagio sul lavoro pervenuti fino al 31 ottobre di quest’anno, con il mese di aprile al primo posto per numero di deceduti (195), seguito da marzo (140). Il 2021, con 223 decessi nei primi 10 mesi, al momento pesa invece per il 28,5% sul totale delle infezioni di origine professionale con esito mortale.
Due denunce su tre al Nord. L’analisi territoriale, che è possibile approfondire anche attraverso le schede regionali aggiornate, evidenzia una distribuzione delle denunce del 42,3% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 25,1%), del 24,6% nel Nord-Est (Veneto 10,5%), del 15,3% al Centro (Lazio 6,7%), del 12,9% al Sud (Campania 5,9%) e del 4,9% nelle Isole (Sicilia 3,3%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono quelle di Milano (9,6%), Torino (6,9%), Roma (5,3%), Napoli (4,0%), Brescia e Varese (2,5% ciascuna), Verona e Genova (2,4% ciascuna), e Bologna (2,3%). Milano è anche la provincia che registra il maggior numero di contagi professionali accaduti nel solo mese di ottobre, seguita da Roma, Torino, Napoli, Ravenna, Foggia, Ancona, Firenze, Bergamo e Catania. Le province che registrano i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di settembre – non per contagi avvenuti nel mese di ottobre ma per il consolidamento dei dati in mesi precedenti – sono però quelle di Siracusa, Taranto, Trapani, Vibo Valentia, Matera, Caltanissetta, Pistoia e Reggio Calabria.
La provincia di Napoli maglia nera dei decessi. Prendendo in considerazione solo i decessi, la quota del Nord-Ovest sul totale scende al 36,3% (prima la Lombardia con il 24,8%), mentre il Sud, con il 26,1% dei casi mortali denunciati, contro il 12,9% riscontrato sul complesso dei contagi, precede il Centro (18,0%), il Nord-Est (12,8% rispetto al 24,6% delle denunce totali) e le Isole (6,8%). Le province con più decessi da inizio della pandemia sono Napoli (con l’8,1%), Roma (7,7%), Milano (6,6%), Bergamo (6,4%), Brescia e Torino (4,0% ciascuna), Cremona (2,4%), Genova (2,3%), Bari, Caserta e Palermo (2,2% ciascuna), e Parma (2,0%).
L’identikit dei lavoratori più colpiti. La maggioranza dei casi mortali riguarda gli uomini (83,2%) e i lavoratori nelle fasce di età 50-64 anni (71,8%), over 64 anni (18,5%) e 35-49 anni (9,1%), mentre tra gli under 35 si registra solo lo 0,6% dei morti e nessuna lavoratrice. Allargando l’analisi a tutti i contagi sul lavoro da Covid-19, il rapporto tra i generi si inverte. La quota femminile sul totale delle denunce, infatti, è pari al 68,3%. Il numero delle lavoratrici contagiate supera quello dei lavoratori in tutte le regioni, a eccezione della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove l’incidenza delle donne sul complesso delle infezioni di origine professionale è, rispettivamente, del 48,8%, del 45,8% e del 44,2%. L’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per i contagiati di entrambi i sessi e 59 per i deceduti (57 per le donne, 59 per gli uomini). Il 42,5% del totale delle denunce riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (36,6%), under 35 anni (18,9%) e over 64 anni (2,0%). L’86,5% delle denunce riguarda lavoratori italiani. Il restante 13,5% sono stranieri, concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 21,0% dei contagiati stranieri), peruviani (12,6%), albanesi (8,1%), moldavi (4,6%), ecuadoriani (4,1%) e svizzeri (3,9%). Più di nove morti su 10 sono italiani (90,7%), mentre la comunità straniera con più decessi denunciati è quella peruviana (con il 16,4% dei casi mortali dei lavoratori stranieri), seguita da quelle albanese (12,3%) e rumena (8,2%).
Poco più di tremila i contagiati tra insegnanti, professori e ricercatori. La stragrande maggioranza dei contagi e dei decessi (rispettivamente 96,9% e 88,1%) riguarda l’Industria e servizi, con i restanti casi distribuiti nelle gestioni assicurative per Conto dello Stato (amministrazioni centrali dello Stato, scuole e università statali), Agricoltura e Navigazione. Sono poco più di tremila, in particolare, le infezioni di origine professionale di insegnanti, professori e ricercatori di scuole di ogni ordine e grado e di università statali e private, riconducibili sia alla gestione dei dipendenti del Conto dello Stato sia al settore Istruzione della gestione Industria e servizi.
La sanità e assistenza sociale sempre al primo posto tra le attività produttive. Il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – è sempre al primo posto tra le attività produttive con il 65,0% delle denunce e il 22,4% dei casi mortali codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,1% dei contagi e il 10,4% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono il noleggio e servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il trasporto e magazzinaggio, secondo per numero di decessi con il 12,9% del totale, il manifatturiero (tra le prime categorie coinvolte gli addetti alla lavorazione di prodotti alimentari, alla stampa, alla lavorazione di prodotti farmaceutici, di metalli, di macchinari e di pelli), che con l’11,8% figura al terzo posto per casi mortali denunciati, le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), e le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale).
Per trasporto e commercio incidenze in crescita nell’ultimo quadrimestre. Rispetto al 2020, però, nei primi 10 mesi del 2021 si riscontrano alcune differenze nell’evoluzione dei contagi in vari settori produttivi. La sanità e assistenza sociale ha mostrato, in termini assoluti, un numero di infezioni da Covid-19 di origine professionale in costante discesa, registrando nel mese di giugno il suo livello più basso, con una sessantina di casi (erano 400 a giugno 2020), per poi risalire lievemente nei due mesi successivi e rallentare di nuovo a settembre e ottobre. A partire dal febbraio 2021 il settore ha avuto riduzioni in termini di incidenza, che però nell’ultimo quadrimestre mostrano segnali di ripresa, in particolare nel mese di ottobre. Altri comparti produttivi, come il trasporto e magazzinaggio e il commercio, nello stesso periodo hanno invece registrato incidenze di contagi professionali in crescita rispetto allo scorso anno.
Un quarto dei morti tra il personale sanitario e socio-assistenziale. L’analisi per professione dell’infortunato evidenzia come un quarto dei decessi (25,7%) riguardi il personale sanitario e socio-assistenziale. La categoria dei tecnici della salute, in particolare, è quella più coinvolta dai contagi, con il 37,4% delle denunce complessive, l’82,6% delle quali relative a infermieri, e il 9,6% dei casi mortali codificati (il 66,7% infermieri). Seguono gli operatori socio-sanitari con il 18,1% delle denunce (e il 3,7% dei decessi), i medici con l’8,5% (e il 5,0% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 6,9% (e il 2,6% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (e il 3,3% dei decessi). Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, gli impiegati amministrativi, con il 4,6% delle denunce e il 10,0% dei casi mortali, gli addetti ai servizi di pulizia, con il 2,3% sia per i contagiati in complesso che per i deceduti, i conduttori di veicoli, con solo l’1,3% dei contagi ma ben il 7,8% dei decessi, gli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, e gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia.
L’andamento per professione dell’infortunato. Anche rispetto alla professione dell’infortunato si osserva in generale un calo significativo delle denunce a partire dal febbraio 2021, con incidenze in riduzione per alcune categorie, tra le quali le professioni sanitarie, che però nell’ultimo quadrimestre mostrano segnali di ripresa. Altre professioni, come per esempio gli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali, gli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, gli insegnanti di scuola primaria o gli impiegati addetti agli sportelli e ai movimenti di denaro, con il ritorno alle attività hanno visto invece aumentare l’incidenza dei casi di contagio rispetto allo scorso anno, con l’esclusione del mese di ottobre in cui si registra un calo.
Si ritiene pertanto opportuno fornire di seguito alcune indicazioni condivise con l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 9686 dell’8 novembre 2021 e che, evidentemente, potranno essere oggetto di integrazione o modifica a seguito della conversione in legge del citato decreto.
[box-download]In calce all'articolo testo della Circolare INL n. 3 del 9 novembre 2021[/box-download]
Finalità del provvedimento e competenza
Il nuovo comma 1 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce che il provvedimento di sospensione è adottato dall’Ispettorato nazionale del lavoro “al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori”, per il tramite del proprio personale ispettivo. Lo stesso potere spetta “ai servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali nell'ambito di accertamenti in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro” (comma 8).
Condizioni per l’adozione del provvedimento
Secondo l’attuale disciplina il provvedimento di sospensione è adottato dall’Ispettorato nazionale del lavoro. A differenza della previgente formulazione, in cui si evidenziava la “possibilità” di adottare il provvedimento da parte degli “organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali”, è ora evidenziata l’assenza di ogni forma di discrezionalità da parte dell’Amministrazione. Tuttavia, nell’adozione del provvedimento sospensivo va comunque valutata l’opportunità di farne decorrere gli effetti in un momento successivo, così come del resto previsto dal comma 4 del nuovo art. 14 secondo il quale “in ogni caso di sospensione, gli effetti della stessa possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità”.
Una prima condizione per l’adozione del provvedimento si realizza quando l’Ispettorato “riscontra che almeno il 10 per cento dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti occupato, al momento dell'accesso ispettivo, senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro”.
Sul punto vanno evidenziate alcune sostanziali novità rispetto alla previgente formulazione.
Una prima importante novità attiene alla percentuale di lavoratori irregolari che passa dal 20% all’attuale 10%, la cui condizione è correlata esplicitamente alla insussistenza della comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro. Ai fini della sospensione non potranno dunque essere considerati irregolari i lavoratori rispetto ai quali non è richiesta la comunicazione, come avviene nelle ipotesi di coadiuvanti familiari ovvero dei soci, per i quali è prevista unicamente la comunicazione all’INAIL ex art. 23 D.P.R. n. 1124/1965. La nuova percentuale del 10% di lavoratori irregolari continuerà ad essere calcolata sul numero di lavoratori presenti sul luogo di lavoro al momento dell’accesso ispettivo. Si ricorda che i lavoratori da conteggiare nella base di computo sono tutti coloro che rientrano nell’ampia nozione di lavoratore di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008.
Andranno quindi conteggiati, nel rispetto dei precedenti orientamenti forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tanto i collaboratori familiari, anche impegnati per periodi inferiori alle dieci giornate di lavoro (v. ML nota prot. n. 14184 del 5 agosto 2013), quanto i soci lavoratori cui non spetta l’amministrazione o la gestione della società, non disponendo dei poteri datoriali tipici (v. ML nota prot. n. 7127 del 28 aprile 2015). Infine, viene ribadita nel nuovo testo l’esclusione del provvedimento di sospensione per lavoro irregolare nel caso in cui il lavoratore risulti l’unico occupato dall’impresa (c.d. microimpresa. cfr. comma 4).
Ulteriore novità è rappresentata dal riferimento “all’accesso ispettivo”, quale momento in cui va valutata la sussistenza dei presupposti di adozione del provvedimento. Ciò lascia evidentemente intendere che la regolarizzazione dei lavoratori nel corso dell’accesso è del tutto ininfluente e pertanto il provvedimento andrà comunque adottato. Quanto sopra anche nelle ipotesi in cui il provvedimento di sospensione debba essere adottato “su segnalazione di altre amministrazioni” e, nelle more dei sette giorni previsti dal comma 3 del nuovo art. 14, si sia comunque provveduto alla regolarizzazione delle violazioni accertate.
Il provvedimento di sospensione deve essere adottato anche tutte le volte in cui sono accertate gravi violazioni in materia di salute e sicurezza individuate tassativamente nell’Allegato I al decreto-legge e di seguito riportate.
Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno
Euro 3.000
9
Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
Euro 3.000
10
Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
Euro 3.000
11
Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale)
Euro 3.000
12
Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo
Euro 3.000
A tale riguardo, infatti, il nuovo art. 14 non richiede più che le violazioni siano reiterate. Sarà, quindi sufficiente l’accertamento di una delle violazioni contenute nel citato Allegato I per consentire l’adozione del provvedimento.
Va, peraltro ricordato che l’art. 13 del decreto-legge ha modificato l’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2008, attribuendo anche all’Ispettorato nazionale del lavoro, al pari delle AA.SS.LL., il potere di svolgere attività di vigilanza e accertare eventuali illeciti in materia prevenzionistica indipendentemente dal settore di intervento. Rispetto alle violazioni indicate il personale ispettivo potrà dunque svolgere i dovuti accertamenti adottando i relativi provvedimenti di prescrizione ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994.
In relazione alle violazioni contenute nell’Allegato I ci si riserva comunque di fornire ogni necessario chiarimento con separata nota.
Ambito di applicazione del provvedimento di sospensione e decorrenza
Il provvedimento di sospensione, come in passato, è anzitutto adottato “in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni”. Rispetto a tale previsione si rinvia ai chiarimenti già forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali secondo il quale “gli effetti del provvedimento vanno dunque circoscritti alla singola unità produttiva, rispetto ai quali sono stati verificati i presupposti per la sua adozione e, con particolare riferimento all’edilizia, all’attività svolta dall’impresa nel singolo cantiere” (cfr. ML circ. n. 33/2009; v. anche ML nota prot. n. 337 del 9 gennaio 2012 in relazione alle manifestazioni fieristiche).
Il nuovo art. 14 prevede inoltre, in via alternativa, l’adozione del provvedimento di sospensione “dell'attività lavorativa prestata dai lavoratori interessati dalle violazioni di cui ai numeri 3 e 6 dell'Allegato I”.
Trattasi in particolare di sospendere dall’attività soltanto i lavoratori rispetto ai quali il datore di lavoro:
- abbia omesso la formazione e l’addestramento (violazione n. 3 Allegato I); - abbia omesso di fornire i necessari dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall'alto (violazione n. 6 Allegato I).
Tali violazioni, infatti, possono essere riferite e circoscritte alla posizione di un singolo lavoratore. La sospensione, in tal caso, comporta quindi l’impossibilità per il datore di lavoro di avvalersi del lavoratore interessato fino a quando non interverrà la revoca del provvedimento secondo le condizioni previste dal comma 9.
Resta fermo, trattandosi di causa non imputabile al lavoratore, l’obbligo di corrispondere allo stesso il trattamento retributivo e di versare la relativa contribuzione.
Va precisato che a fronte di un accertamento sulla contestuale presenza di più violazioni utili alla adozione del provvedimento di sospensione (siano queste riferibili tutte all’Allegato I ovvero in parte all’Allegato I e in parte alla occupazione di personale irregolare), il personale ispettivo adotterà sempre un unico provvedimento di sospensione “della parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni” fermo restando che, ai fini della revoca del provvedimento, occorrerà verificare la regolarizzazione di tutte le violazioni riscontrate e il pagamento delle somme aggiuntive riferibili a ciascuna di esse. Pertanto, la seconda tipologia di provvedimento (“sospensione dell’attività lavorativa prestata dai lavoratori interessati dalle violazioni”) ricorre solo quando le violazioni concernenti la formazione, l’addestramento o la mancata fornitura di DPI non siano accompagnate da altre violazioni utili all’adozione della sospensione.
Così come in passato, si evidenzia che gli effetti sospensivi possono decorrere, ai sensi del comma 4 del nuovo art. 14, dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.
Benché la disposizione al riguardo non faccia distinzioni tra le due cause di sospensione (lavoro irregolare e gravi violazioni in materia di salute e sicurezza) va considerato che, fatte salve le specifiche valutazioni da effettuarsi caso per caso, il provvedimento di sospensione per motivi di salute e sicurezza dovrà essere, di norma, adottato con effetto immediato.
Adozione misure per far cessare il pericolo per la salute e la sicurezza dei lavoratori
L’ultimo periodo del nuovo comma 1 dell’art. 14 prevede la possibilità di imporre, unitamente al provvedimento di sospensione, ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro. A tale riguardo viene in rilievo, ad esempio, il potere di disposizione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 520/1955, rispetto al quale sussiste altresì il presidio sanzionatorio contenuto nell’art. 11, comma 2 dello stesso D.P.R. (arresto fino ad un mese o ammenda fino ad euro 413, v. circ. n. 5/2020). Peraltro, va evidenziato che la disposizione potrà trovare sempre applicazione anche in tutti i casi in cui non ricorrano i presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione (es. allontanamento del lavoratore nelle ipotesi di microimpresa).
Condizioni per la revoca del provvedimento di sospensione
Con riferimento alla sospensione adottata per lavoro irregolare è necessaria la regolarizzazione dei lavoratori nonché, come esplicitamente evidenziato dal legislatore in tale occasione, una regolarizzazione anche sotto il profilo degli adempimenti in materia di salute e sicurezza.
Sul punto si ritiene opportuno richiamare i precedenti chiarimenti del Ministero contenuti nella nota prot. n. 19570 del 16 novembre 2015 secondo i quali, ferma restando l’adozione della prescrizione obbligatoria, ai fini della revoca del provvedimento:
- quanto alla sorveglianza sanitaria sarà necessaria l’effettuazione della relativa visita medica, potendosi comunque ritenere sufficiente l’esibizione della prenotazione della stessa purché i lavoratori interessati non siano adibiti a mansioni lavorative per le quali debba conseguirsi il relativo giudizio di idoneità; - quanto agli obblighi di formazione e informazione, si ritiene sufficiente che l’attività formativa del personale da regolarizzare sia stata programmata in modo tale da concludersi entro il termine di 60 giorni e che l’obbligo informativo sia comprovato da idonea documentazione sottoscritta dal lavoratore.
Nelle ipotesi di sospensione per gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro occorrerà accertare che il datore di lavoro abbia provveduto al ripristino delle regolari condizioni di lavoro, adottando il comportamento eventualmente oggetto di prescrizione obbligatoria.
Si ribadisce inoltre che, in ragione dell’ampliamento delle competenze rimesse all’Ispettorato ai sensi del nuovo art. 13 del D.Lgs. n. 81/2008, diversamente dal passato, gli accertamenti relativi agli adempimenti in materia di salute e sicurezza, anche ai fini della revoca della sospensione, saranno effettuati in tutti i settori di intervento.
In entrambi i casi sopra descritti il datore di lavoro dovrà altresì provvedere al pagamento di una somma aggiuntiva prevista per ciascuna fattispecie di violazione riscontrata.
In particolare, nelle ipotesi di lavoro irregolare, sono previsti due differenti importi: se il numero dei lavoratori irregolari non è superiore a cinque l’importo è pari a 2.500 euro, se superiore a cinque la somma aggiuntiva è pari a 5.000 euro. Nei casi di sospensione per motivi di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro la somma aggiuntiva è indicata nell’Allegato I in riferimento a ciascuna violazione.
Laddove siano state riscontrate più violazioni – concernenti le fattispecie indicate nell’Allegato I e/o l’impiego di lavoratori “in nero” – l’importo utile alla revoca sarà dato dalla somma di quanto indicato accanto a ciascuna fattispecie di cui all’Allegato I e/o di quanto indicato dalla normativa in relazione all’impiego di lavoratori irregolari.
Va inoltre segnalato che, ai sensi del nuovo comma 10, “le somme aggiuntive di cui alle lettere d) ed e) sono raddoppiate nelle ipotesi in cui, nei cinque anni precedenti alla adozione del provvedimento, la medesima impresa sia stata destinataria di un provvedimento di sospensione”. Sul punto si evidenzia che, laddove l’Ufficio sia a conoscenza della adozione, nei cinque anni precedenti, di un provvedimento di sospensione a carico della medesima impresa, anche sulla base della previgente normativa e anche in forza di violazioni diverse da quelle da ultimo accertate, si provvederà a raddoppiare gli importi delle “somme aggiuntive” dovute, evidenziando nel provvedimento la sussistenza della “recidiva” che ha dato luogo alla maggiorazione degli importi.
Permane, invece, anche nel nuovo regime dell’art. 14, la possibilità per il datore di lavoro di ottenere la revoca del provvedimento mediante il pagamento immediato di una percentuale della somma aggiuntiva ridotta al 20%. Il nuovo comma 11, similmente al precedente comma 5-bis, stabilisce infatti che “su istanza di parte, fermo restando il rispetto delle condizioni di cui al comma 9, la revoca è altresì concessa subordinatamente al pagamento del venti per cento della somma aggiuntiva dovuta. L'importo residuo, maggiorato del cinque per cento, è versato entro sei mesi dalla data di presentazione dell'istanza di revoca. In caso di mancato versamento o di versamento parziale dell'importo residuo entro detto termine, il provvedimento di accoglimento dell'istanza di cui al presente comma costituisce titolo esecutivo per l'importo non versato”.
Comunicazione alle autorità
Per tutto il periodo di sospensione, il comma 2 dell’art. 14 prescrive il divieto all’impresa di contrattare con la pubblica amministrazione. A tal fine, come per il passato, il provvedimento di sospensione dovrà essere tempestivamente comunicato all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell’adozione da parte del predetto Ministero del provvedimento interdittivo.
Ricorso avverso i provvedimenti di sospensione
Unicamente avverso il provvedimento di sospensione per l’impiego di lavoratori irregolari è possibile proporre ricorso amministrativo dinanzi all’Ispettorato interregionale del lavoro territorialmente competente entro il termine di 30 giorni dalla sua adozione.
Il termine per la presentazione del ricorso decorre dalla notifica al datore di lavoro.
L’Ispettorato interregionale è tenuto a pronunciarsi entro il termine di 30 giorni dalla presentazione del ricorso e lo stesso si intende accolto qualora tale termine decorra inutilmente. In caso di sospensione per violazioni in materia di salute e sicurezza, la cui cognizione, in caso di inottemperanza alla prescrizione, è rimessa alla cognizione del giudice penale, il nuovo comma 16 prevede che il decreto di archiviazione emesso a conclusione della procedura di prescrizione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758/1994 per l’estinzione delle contravvenzioni accertate e poste a fondamento del provvedimento di sospensione, determina la decadenza del provvedimento stesso.
Resta tuttavia fermo il provvedimento di sospensione qualora sia stato adottato anche in ragione della riscontrata presenza di lavoratori irregolari, ove la condizione di cui alla lett. a) del comma 9 non sia stata soddisfatta.
Inottemperanza al provvedimento di sospensione
Ai sensi del nuovo comma 15 dell’art. 14 il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione è punito con l'arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.
Direttiva per lo svolgimento di manifestazioni di protesta contro le misure sanitarie
Ministero dell'Interno, 10 Novembre 2021
Per la loro valenza generale, le indicazioni potranno trovare applicazioni per manifestazioni pubbliche attinenti ad ogni altra tematica.
Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ha adottato la direttiva che fornisce le indicazioni sullo svolgimento delle manifestazioni di protesta e di contestazione che si svolgono sull'intero territorio nazionale contro le misure sanitarie di contenimento del contagio da Covid19, sia con riguardo all'introduzione dell'obbligo del Green pass sia con riferimento alla campagna vaccinale in atto.
Le indicazioni fornite sono volte ad assicurare che lo svolgimento delle manifestazioni avvenga nell'equilibrato contemperamento dei vari diritti e interessi in gioco.
La direttiva, nel precisare che le indicazioni, per la loro valenza generale, potranno trovare applicazioni per manifestazioni pubbliche attinenti ogni altra tematica, evidenzia come necessaria, la urgente e immediata sua attuazione.
Si fa riferimento alla richiesta di codesta DPL con la quale si chiede se il progetto dei ponteggi previsto dall 'art. 133, c. 2 del D.Lgs. 81/2008, il quale recita" .......... progetto, che deve essere firmato da un ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all'esercizio della professione, ............ ", possa essere firmato da ingegneri in possesso della c.d. "laurea breve".
Già con il DPR 164/56 all'art. 32, c. 2, relativamente al progetto dei ponteggi, si leggeva testualmente "........progetto, che deve essere firmato da un ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all'esercizio della professione, ...........", pertanto, ne consegue che il legislatore intendeva riferirsi a professionisti con specifiche competenze tecniche previste nell'ordinamento professionale.
Con l'introduzione del D.Lgs. 81/08 il legislatore continua a fare riferimento alle medesime professionalità, lasciando invariato il corrispondente articolo, escludendo quindi altre tipologie di "lauree brevi", queste ultime peraltro citate in articoli specifici del medesimo decreto.
Stante quanto sopra esposto il questo Ministero, su conforme parere della "Commissione Opere Provvisionali" e di intesa con la Direzione Generale per l'Attività Ispettiva, ritiene il progetto di che trattasi non può essere firmato da ingeneri in possesso della c.d. "laurea breve".
2. Dal progetto, che deve essere firmato da un ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all'esercizio della professione, deve risultare quanto occorre per definire il ponteggio nei riguardi dei carichi, delle sollecitazioni e dell'esecuzione.[/panel]
Linee guida accesso sportelli, operazioni su veicoli ed esami patente
Decreto Ministero dei Trasporti - 20/05/2020 - n. 178 - Linee guida per accesso agli sportelli
OGGETTO: Linee guida per l'accesso ai servizi (sportello), operazioni tecniche sui veicoli ed esami di patente.
LINEE GUIDA PER L’ACCESSO AI SERVIZI (SPORTELLO), OPERAZIONI TECNICHE SUI VEICOLI ED ESAMI DI PATENTE
Si premette che l’articolo 1, commi 13 e 14, del D.L. 16 maggio 2020, n. 33 prevede che le attività formative siano svolte con modalità definite con provvedimento adottato ai sensi dell’articolo 2 del D.L. n. 19/2020 (vale a dire con DPCM) e che le attività economiche, produttive e sociali debbano svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento.
Infatti, il DPCM 17 maggio 2020 all’articolo 1, comma 1, lettera q), nel prevedere che i corsi abilitanti e le prove teoriche e pratiche effettuate dagli uffici della motorizzazione civile e dalle autoscuole possano riprendere a decorrere dal 20 maggio 2020, statuisce che ciò debba avvenire “secondo le modalità individuate nelle linee guida adottate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.
Le presenti linee guida costituiscono attuazione del citato articolo 1, comma 1, lettera q) e dettano le nuove modalità di svolgimento delle attività sopra individuate, atte a garantire - nel quadro delle regole sanitarie adottate - la tutela della salute degli utenti e del personale delle autoscuole e delle motorizzazioni civili.
Le presenti linee guida muovono dal recepimento di tutti i protocolli e le circolari adottate in materia di mitigazione del contagio da Covid-19, ai vari livelli di concertazione e competenza. In particolare:
I citati documenti e le prescrizioni in essi contenute, che si intendono qui integralmente richiamate, costituiscono parte integrante delle presenti linee guida che si pongono l’ulteriore obiettivo di specializzarne l’adozione in ragione delle peculiarità delle funzioni esercitate per esclusiva di legge dagli Uffici Motorizzazione Civile (UMC) e dai Centri Prova Autoveicoli (CPA).
La progressiva riapertura delle attività comporta, inevitabilmente, un’interazione tra i dipendenti del MIT e l’utenza esterna; interazione che dovrà essere, per quanto possibile, limitata e “protetta” al fine di contemperare al meglio le esigenze di tutela della salute dei cittadini/utenti ecittadini/dipendenti, con la necessità “sociale” di erogazione dei servizi in esclusiva di legge.
Scopo del presente documento è quindi quello di definire linee guida operative per l’accesso ai servizi, le operazioni tecniche di revisione e collaudo e le attività d’esame, ad uso dei dipendenti di UMC e CPA e di tutta l'utenza, professionale e non, che effettua operazioni sia presso gli Uffici che presso le proprie sedi, finalizzate a garantire il rispetto delle condizioni di sicurezza e minimizzare il rischio contagio da COVID-19. Le presenti Linee Guida sono valide per la durata dell’emergenza sanitaria in corso, salvo che non intervengano fattori o circostanze diverse che ne impongano l’integrazione o l’aggiornamento.
INDIRIZZI GENERALI
1. Pulizia: è indispensabile adeguare i contratti di pulizia in essere alle specifiche esigenze del momento. È necessario un vero salto di qualità in materia di health safety environment. La pulizia di tutti gli ambienti, ed in particolare di bagni, scrivanie, maniglie, telefoni, etc., deve essere condotta frequentemente e con cura e profondità. Con altrettanta frequenza, attenzione e cura andrà effettuata la sanificazione degli impianti di climatizzazione al servizio di tutti gli ambienti dell’ufficio, sia di quelli ad uso esclusivo dei dipendenti, sia di quelli ad uso promiscuo (aule esami, area sportelli, etc.). Si raccomanda l’inibizione di ogni funzione di ricircolo nell’utilizzo degli impianti di climatizzazione. Si raccomanda ancora di individuare una specifica figura tra i dipendenti dell’Ufficio cui affidare la responsabilità del controllo sistematico delle condizioni igieniche di tutti gli ambienti con potere di intervento presso il fornitore del servizio per i necessari interventi correttivi. La completa igienizzazione approfondita dei locali dell’Ufficio, ove accede il pesonale/utente, va condotta almeno ogni settimana. Nel caso si dovesse riscontrare la presenza di una persona affetta da covid, si dovrà procedere alla sanificazione dei locali, secondo le disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute. 2. DPI: non deve essere consentito l’accesso a qualsiasi area dell’Ufficio a dipendenti e/o utenti che non indossino correttamente (coprendo integralmente naso e bocca), se ricorre il caso, una mascherina di una delle seguenti tipologie: chirurgica, FFP2 senza valvola, FFP3 senza valvola o, in caso di indisponibilità di queste, di comunità o autoprodotte. Deve essere sempre disponibile al personale e agli utenti liquido o gel disinfettante. È utile anche la disponibilità di guanti monouso da utilizzarsi per specifiche operazioni manuali quando non sia prontamente disponibile il gel disinfettante (che è certamente da preferire all’utilizzo dei guanti). Gli Uffici dovranno avere nella propria disponibilità idonei dispositivi per la rapida misurazione della temperatura corporea di tutte le persone che, a qualsiasi titolo, intendano accedere ai locali dell’Ufficio stesso. Le modalità e le forme di inibizione dell’accesso alle persone (dipendenti e/o utenti) che presentino una temperatura corporea rilevata superiore a 37.5 °C, dovranno avvenire secondo le vigenti disposizioni di legge sull’argomento. 3. Regole di comportamento: rigoroso distanziamento tra le persone, assenza di contatto fisico, lavaggio accurato o disinfezione frequente delle mani, divieto assoluto di assembramento anche in ambiente aperto. Le regole di comportamento e le rigorose regole di accesso agli Uffici devono essere pubblicate e via via aggiornate sul web.
VALUTAZIONE DEL LIVELLO DI RISCHIO E INTERVENTI DI CARATTERE GENERALE
Il Titolo X del D. Lgs. 81/2008 si occupa del rischio biologico, inteso come rischio di esposizione ad agenti biologici. Per agente biologico si intende “qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.”
Per la fattispecie, si definisce l’agente biologico COVID-19 come un agente biologico del gruppo 4, ovvero un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani, che costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità, per il quale non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche. Nella fattispecie, il COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico, che coinvolge tutti gli ambienti di lavoro e in generale tutti i luoghi frequentati dall’uomo.
Presso l’Amministrazione, non vi è né uso deliberato, né potenziale esposizione ad agenti biologici così come previsto all’interno del Titolo X del D.Lgs. 81/2008.
La presenza di rischio biologico in questa attività è del tutto sovrapponibile al rischio “sociale” di tutte le persone che frequentano luoghi aperti al pubblico.
Un impiegato dell’Amministrazione non ha un rischio incrementato di ammalarsi andando in ufficio più di quanto lo abbia frequentando altri luoghi pubblici.
In accordo con il “PROTOCOLLO OPERATIVO COVID 19 - GESTIONE DEL RISCHIO DI CONTAGIO”, la valutazione del livello di rischio sul protocollo COVID-19 ha indicato, sulla base di esperienze analoghe e della letteratura sul tema, un livello di rischio pari a 6, ottenuto come prodotto della probabilità 3 (probabilità medio-alta) e del danno 2 (danni generalmente reversibili all’organismo infettato).
Anche la valutazione del rischio, ai sensi del Documento tecnico INAIL di cui al punto 4 dell’introduzione, perviene ad un risultato analogo.
Secondo tale documento, il rischio di contagio per i lavoratori incaricati delle operazioni tecniche è influenzato dalle seguenti tre variabili:
1. Esposizione: probabilità di venire in contatto con fonti di contagio nello svolgimento delle specifiche attività lavorative (probabilità media nel caso di specie); 2. Prossimità: le caratteristiche intrinseche di svolgimento del lavoro che non permettono un sufficiente distanziamento sociale per parte del tempo di lavoro o per la quasi totalità (nello scenario pre-COVID si può ipotizzare un lavoro che prevede compiti condivisi in prossimità con altri per parte non predominante del tempo, quindi un rischio medio-alto); 3. Aggregazione: la tipologia di lavoro che prevede il contatto con altri soggetti oltre ai lavoratori dell’azienda (fattore rilevante nel caso di specie, quantificabile in un incremento del 15%).
Documento tecnico rimodulazione misure SARS-CoV-2 settore della cura della persona
Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da SARS-CoV-2 nel settore della cura della persona: servizi dei parrucchieri e di altri trattamenti estetici
12 Maggio 2020
Le caratteristiche delle attività lavorative in questo settore prevedono una stretta prossimità con il cliente e rappresentano una criticità nell’ottica di gestione del rischio di contagio da Coronavirus.
Il documento, realizzato da Inail in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità, intende fornire al decisore politico gli elementi tecnici di valutazione sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2, al fine di garantire la salute e sicurezza sia dei lavoratori che degli utenti.
Approvato il 12 maggio 2020 dal Comitato tecnico scientifico, istituito presso la Protezione Civile, la pubblicazione è divisa in due parti. La prima è dedicata a un’analisi di contesto del settore dei servizi dei parrucchieri e di altri trattamenti estetici, mentre la seconda contiene le ipotesi di misure di sistema, organizzative, di prevenzione e protezione oltre a semplici regole per il contenimento del contagio.
Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da SARS-CoV-2 nel settore della ristorazione
10 Maggio 2020
La nuova pubblicazione, approvata dal Comitato tecnico scientifico per l’emergenza, punta a fornire al decisore politico elementi di valutazione sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del virus, con l’obiettivo di tutelare la salute dei lavoratori e dell’utenza.
SARS-CoV-2 | Indicazioni operative medico competente ambienti di lavoro
Circolare del Ministero della Salute n. 14915 del 29 Aprile 2020
Oggetto: Indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività.
In data 9 aprile 2020 il Comitato Tecnico Scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile ha approvato (Verbale n. 49) il “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”.
Sulla scorta di questi due documenti e in linea coi loro principi, si ritiene necessario richiamare gli aspetti di seguito riportati.
La salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro vedono coinvolte numerose figure professionali, ciascuna con compiti e responsabilità ben precisi, secondo quanto regolamentato dal D.lgs. 81/2008 e s.m.i.. Il sistema di prevenzione nazionale ed aziendale realizzatosi nel tempo offre la naturale infrastruttura per l’adozione di un approccio integrato alla valutazione e gestione del rischio connesso all’attuale emergenza pandemica.
L’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, sia nella fase di “lockdown” sia nella fase di riapertura delle attività produttive sospese in corso di pandemia da SARS-COV 2 ha, con maggiore valenza di sempre, un duplice obiettivo:
- Tutela salute e sicurezza del lavoratore - Tutela della collettività
Se il ruolo del medico competente risulta di primo piano nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro nell’ordinarietà dello svolgimento delle attività lavorative, esso si amplifica nell’attuale momento di emergenza pandemica, periodo durante il quale egli va a confermare il proprio ruolo di “consulente globale” del datore di lavoro.
L’art. 38 del D.lgs. 81/08 e s.m.i. delinea i titoli e requisiti dei medici competenti, prevedendone altresì l’iscrizione in un apposito elenco istituito presso il Ministero della salute. [...]
Inoltre, l’art. 40, comma 1 dello stesso decreto ha previsto che “Entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente trasmette, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati collettivi aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in Allegato 3B”.
Dai dati trasmessi sull’apposita piattaforma informatica istituita presso l’INAIL, relativamente al 2018 (comunicati entro il primo trimestre 2019) emerge che le comunicazioni di cui al sopracitato articolo sono state effettuate da un totale di 5.259 medici competenti (corrispondente quindi a circa il 70% dei medici competenti iscritti in elenco ad oggi) ed il numero dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria da parte del medico competente corrisponde ad un totale di 14.786.812 soggetti, a fronte di un totale pari a 23.215.000 occupati. Tale discrepanza è solo apparente, in quanto rientrano nelle tutele previste dal D.lgs. 81/08 e s.m.i. esclusivamente coloro che ricadono nella definizione di lavoratore così come declinata all’art. 2 comma 1 lett. a) del citato decreto; ciò giustifica il dato che, relativamente al 2018, circa il 36% degli occupati non risulterebbe in sorveglianza sanitaria: non tutti ricadono, infatti, nel campo di applicazione della norma o risultano esposti a rischi per cui è previsto l’obbligo di sorveglianza sanitaria.
La “sorveglianza sanitaria” (art. 2 comma 1 lett. m) del D.lgs. 81/08 e s.m.i.) è definita come “insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa” e rientra nell’attività “svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del Codice etico della Commissione Internazionale di salute occupazionale (ICOH)” (art. 39 c. 1 D.lgs. 81/08 e s.m.i.) dal medico competente, così come individuato all’art. 38 comma 1 del citato decreto.
Nel contesto generale di riavvio della attività lavorative in fase pandemica, è opportuno che il medico competente che,ai sensi dell’art. 25 del citato D.lgs. 81/2008 e s.m.i. ha, tra i suoi obblighi, quello di collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, supporti il datore di lavoro nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione già richiamate nel menzionato “Protocollo”.
È fondamentale quindi che le diverse tipologie di misure di contenimento del rischio siano il più possibile contestualizzate alle differenti tipologie di attività produttive ed alle singole realtà aziendali in cui si opera; in tale contesto, la collaborazione attiva e integrata del medico competente, con il datore di lavoro e con le RLS/RLST, contribuirà al miglioramento continuo dell’efficacia delle misure stesse. [...]
Un particolare coinvolgimento del medico competente deve essere previsto nell’attività di collaborazione all’informazione/formazione dei lavoratori sul rischio di contagio da SARS-CoV-2 e sulle precauzioni messe in atto dall’azienda, nonché tenendo aggiornato nel tempo il datore di lavoro, ad esempio, in riferimento a strumenti informativi e comunicativi predisposti dalle principali fonti istituzionali di riferimento, anche al fine di evitare il rischio di fake news.
Tra i più importanti aspetti legati all’informazione, fatti salvi quelli legati a specifici contesti produttivi, il lavoratore deve essere informato circa:
[alert]- l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37,5°) o altri sintomi influenzali (tosse, difficoltà respiratorie) mettendone al corrente il proprio medico di medicina generale; - l’obbligo di comunicare eventuali contatti con persone positive al virus avuti nei 14 giorni precedenti, rimanendo al proprio domicilio secondo le disposizioni dell’autorità sanitaria; - l’obbligo di avvisare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro o il preposto dell’insorgere di qualsiasi sintomo influenzale, successivamente all’ingresso in azienda durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti; - l’adozione delle misure cautelative per accedere in azienda e, in particolare, durante il lavoro:
- mantenere la distanza di sicurezza; - rispettare il divieto di assembramento; - osservare le regole di igiene delle mani; - utilizzare adeguati Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).[/alert]
Nello specifico, il medico competente è chiamato a supportare il datore di lavoro nella valutazione del rischio e ad operare la sorveglianza sanitaria in un contesto peculiare quale quello del rientro al lavoro in periodo pandemico.
L’art. 28 del D.lgs. 81/2008 e s.m.i. fornisce una chiara definizione della valutazione dei rischi, che deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari.
[box-info]L’atto finale della valutazione del rischio è il DVR (Documento di Valutazione del Rischio), obbligo in capo al datore di lavoro. Sarà necessario adottare una serie di azioni che andranno ad integrare il DVR, atte a prevenire il rischio di infezione da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro contribuendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia.[/box-info]
Relativamente alle misure organizzative e logistiche da mettere in atto, è auspicabile il coinvolgimento del medico competente fin dalle fasi di individuazione delle stesse anche in riferimento ad aspetti correlati ad eventuali fragilità; qualora ciò non fosse possibile, il datore di lavoro fornisce al medico competente informazioni in merito a quanto già pianificato, anche al fine di agevolare, ad esempio, l’individuazione, in corso di sorveglianza sanitaria, di eventuali prescrizioni/limitazioni da poter efficacemente introdurre nel giudizio di idoneità. In merito, si rileva che diversi interventi organizzativi che già nell’ordinarietà contribuiscono al mantenimento al lavoro di soggetti cosiddetti “fragili”, a maggior ragione in questo periodo emergenziale vanno a potenziare la loro portata in termini di efficacia. A tal proposito, si sottolinea come il lavoro “a distanza” ha rappresentato una modalità di organizzazione che ha permesso di lasciare in attività numerosi lavoratori contribuendo, allo stesso tempo, a contenere il contagio senza pregiudicare sostanzialmente la produttività del sistema, in particolare in alcuni settori.
Anche a motivo delle dimensioni che il fenomeno del lavoro a distanza sta assumendo, è opportuno che il medico competente collabori con il datore di lavoro nell’individuazione di strumenti e contenuti informativi/formativi per i lavoratori, anche nell’ottica di contribuire ad evitare l’isolamento sociale a garanzia di un complessivo benessere psico-fisico. In merito ai compiti del medico competente inerenti la sorveglianza sanitaria e a quanto previsto dall’art. 41 del D.lgs. 81/2008 ed alle tipologie di visite mediche ivi incluse, si ritiene che esse debbano essere garantite purché al medico sia consentito di operare nel rispetto delle misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della salute (http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/archivioNormativaNuovoCoronavirus.jsp) e secondo quanto previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease 2019 (COVID-19) WHO 27 febbraio 2020) e richiamate all’art. 34 del Decreto legge 02 marzo 2020, n. 9.
Sarebbe opportuno, laddove possibile, che le visite mediche si svolgano in una infermeria aziendale, o ambiente idoneo di congrua metratura, con adeguato ricambio d’aria, che consenta il rispetto dei limiti del distanziamento sociale e un’adeguata igiene delle mani. In occasione delle visite mediche è opportuno che anche il lavoratore indossi idonee protezioni (mascherina).
In particolare, la programmazione delle visite mediche dovrà essere organizzata in modo tale da evitare l’aggregazione, ad esempio nell’attesa di accedere alla visita stessa; un’adeguata informativa deve essere impartita ai lavoratori affinché non accedano alla visita con febbre e/o sintomi respiratori seppur lievi. Lo stesso articolo 41, al comma 2, individua le tipologie di visita medica comprese nella sorveglianza sanitaria, di seguito riportate:
a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica;
b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno.
Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione dell’esito della valutazione del rischio, valutazione a cui il medico competente deve partecipare attivamente; ciò assume particolare rilevanza nell’attuale periodo pandemico, in cui è necessario stabilire delle priorità.
c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica
d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica;
e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente.
e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva;
e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.
Il medico competente, (art. 41, comma 6), sulla base delle risultanze delle visite mediche, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
a) idoneità;
b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) inidoneità temporanea;
d) inidoneità permanente.
In considerazione della definizione stessa di sorveglianza sanitaria quale “insieme di atti medici” e quindi relativi ad un approccio clinico completo nelle diverse fasi (anamnesi, esame obiettivo, accertamenti strumentali e di laboratorio, monitoraggio biologico) finalizzati alla valutazione diagnostica ed alla conseguente formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica, essa non può prescindere dal contatto diretto tra lavoratore e medico competente e, pertanto, allo stato, non può realizzarsi attraverso visite mediche “a distanza”.
Tra le attività ricomprese nella sorveglianza sanitaria dovranno essere privilegiate le visite che possano rivestire carattere di urgenza e di indifferibilità quali:
- la visita medica preventiva, anche in fase preassuntiva;
- la visita medica su richiesta del lavoratore;
- la visita medica in occasione del cambio di mansione;
- la visita medica precedente alla ripresa del lavoro dopo assenza per malattia superiore a 60 giorni continuativi. Per quanto concerne la visita medica in occasione del cambio della mansione (art. 41, c.1 lett. d) il medico competente valuterà l’eventuale urgenza ed indifferibilità tenendo conto sia dello stato di salute del lavoratore all’epoca dell’ultima visita effettuata, sia – sulla base della valutazione dei rischi - dell’entità e tipologia dei rischi presenti nella futura mansione.
In linea generale, possono essere differibili, previa valutazione del medico stesso, in epoca successiva al 31 luglio 2020:
- la visita medica periodica, (art. 41, c. lett. b)
- la visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro, nei casi previsti dalla normativa vigente (art. 41, c. 1 lett. e)
Andrebbe altresì sospesa l’esecuzione di esami strumentali che possano esporre a contagio da SARSCoV-2, quali, ad esempio, le spirometrie, gli accertamenti ex art 41 comma 4, i controlli ex art 15 legge 125/2001 qualora non possano essere effettuati in idonei ambienti e con idonei dispositivi di protezione.
Focalizzando l’attenzione sulla fase del rientro lavorativo in azienda, è essenziale anche richiamare la responsabilità personale di ogni lavoratore secondo quanto previsto dall’art. 20 comma 1 del D.lgs. 81/2008 e s.m.i. “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.”
Nel rispetto dell’autonomia organizzativa di ciascun datore di lavoro, nel massimo rispetto possibile delle vigenti norme sulla privacy, il lavoratore dà comunicazione al datore di lavoro, direttamente o indirettamente per il tramite del medico competente, della variazione del proprio stato di salute legato all’infezione da SARS-CoV 2 quale contatto con caso sospetto, inizio quarantena o isolamento domiciliare fiduciario, riscontro di positività al tampone.
E’ fondamentale richiamare il ruolo che il medico competente può svolgere per il contact tracing nella precoce identificazione dei contatti in ambito lavorativo e nel loro isolamento e conseguentemente all’importanza strategica dello stretto rapporto di collaborazione che il medico competente può mettere in atto con i medici di medicina generale e con i Dipartimenti di prevenzione per la corretta gestione e presa in carico del lavoratore con sintomatologia sospetta per infezione da SARS-CoV 2.
Il Protocollo prevede che “Il medico competente, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglia sanitaria, potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori”.
[box-info]I test sierologici, secondo le indicazioni dell’OMS, non possono sostituire il test diagnostico molecolaresu tampone, tuttavia possono fornire dati epidemiologici riguardo la circolazione virale nella popolazione anche lavorativa. Circa l’utilizzo dei test sierologici nell’ambito della sorveglianza sanitaria per l’espressione del giudizio di idoneità, allo stato attuale, quelli disponibili non sono caratterizzati da una sufficiente validità per tale finalità. In ragione di ciò, allo stato, non emergono indicazioni al loro utilizzo per finalità sia diagnostiche che prognostiche nei contesti occupazionali, né tantomeno per determinare l’idoneità del singolo lavoratore.[/box-info]
Come specificato nel Protocollo, alla ripresa delle attività, è opportuno che il medico competente sia coinvolto per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità ed è raccomandabile che la sorveglianza sanitaria ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età.
In merito a tali situazioni di fragilità, i dati epidemiologici rilevano una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione (>55 anni di età), come riportato nel menzionato Documento Tecnico, nonché in presenza di co-morbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità.
In considerazione di ciò, allo stato attuale, nelle more di una eventuale specifica previsione normativa, il medico competente nella valutazione della differibilità delle visite mediche periodiche terrà conto della maggiore fragilità legata all’età nonché di eventuali patologie del lavoratore di cui è già a conoscenza; i lavoratori vanno comunque - attraverso adeguata informativa - sensibilizzati a rappresentare al medico competente l’eventuale sussistenza di patologie (a solo titolo esemplificativo, malattie cardiovascolari, respiratorie, metaboliche), attraverso la richiesta di visita medica di cui all’art. 41 c. 1 lett. c. (c.d. visita a richiesta del lavoratore), corredata da documentazione medica relativa alla patologia diagnosticata, a supporto della valutazione del medico competente.
In merito al reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID-19, la letteratura scientifica evidenzia che coloro che si sono ammalati e che hanno manifestato una polmonite o un’infezione respiratoria acuta grave, potrebbero presentare una ridotta capacità polmonare a seguito della malattia (anche fino al 20-30% della funzione polmonare) con possibile necessità di sottoporsi a cicli di fisioterapia respiratoria. Situazione ancora più complessa è quella dei soggetti che sono stati ricoverati in terapia intensiva, in quanto possono continuare ad accusare disturbi rilevanti descritti in letteratura, la cui presenza necessita di particolare attenzione ai fini del reinserimento lavorativo.
Pertanto, il medico competente, per quei lavoratori che sono stati affetti da COVID-19 per il quale è stato necessario un ricovero ospedaliero, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione secondo le modalità previste rilasciata dal Dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica prevista dall’art.41, c. 2 lett. e-ter del D.lgs. 81/08 e s.m.i (quella precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi), al fine di verificare l’idoneità alla mansione - anche per valutare profili specifici di rischiosità - indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.
Inoltre si richiama l’attenzione che deve essere posta nell’evitare lo stigma e la discriminazione nei confronti dei lavoratori che hanno sofferto di COVID-19 e che rientrano nell’ambiente di lavoro.
Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo attività lavorativa
Circolare INL n. 5/2018 del 19 Febbraio 2018
Oggetto: indicazioni operative sull’installazione e utilizzazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo ai sensi dell’art. 4 della legge n. 300/1970.
L’art. 23 del d.lgs. n. 151/2015 e il successivo art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 185/2016 hanno modificato l’art. 4 della legge n. 300/1970 adeguando l’impianto normativo e le procedure preesistenti alle innovazioni tecnologiche nel frattempo intervenute. Lo scopo della norma, dunque, rimane quello di contemperare, da un lato, l’esigenza afferente all’organizzazione del lavoro e della produzione propria del datore di lavoro e, dall’altro, tutelare la dignità e la riservatezza dei lavoratori.
Con la presente circolare, condivisa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si forniscono indicazioni operative in ordine alle problematiche inerenti l’installazione e l’utilizzazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo.
Istruttoria delle istanze presentate
Una prima questione riguarda le modalità secondo cui effettuare l’istruttoria in ordine alle istanze presentate per il rilascio del provvedimento e, in particolare, la valutazione dei presupposti legittimanti il controllo a distanza dei lavoratori.
Va premesso che tale istruttoria non coinvolge normalmente aspetti tecnici particolari che debbano essere valutati da personale con la qualifica di “ispettore tecnico” e, pertanto, tale attività va demandata al personale ispettivo ordinario o amministrativo operante all’interno delle varie unità organizzative dell’Ufficio e, solo in casi assolutamente eccezionali comportanti valutazioni tecniche di particolare complessità, anche al personale ispettivo tecnico.
L’oggetto dell’attività valutativa, infatti, va concentrata sulla effettiva sussistenza delle ragioni legittimanti l’adozione del provvedimento, tenendo presente in particolare la specifica finalità per la quale viene richiesta la singola autorizzazione e cioè le ragioni organizzative e produttive, quelle di sicurezza sul lavoro e quelle di tutela del patrimonio aziendale.
Conseguentemente, le eventuali condizioni poste all’utilizzo delle varie strumentazioni utilizzate devono essere necessariamente correlate alla specifica finalità individuata nell’istanza senza, però, particolari ulteriori limitazioni di carattere tecnico che talvolta finiscono per vanificare l’efficacia dello stesso strumento di controllo. L’eventuale ripresa dei lavoratori, di norma, dovrebbe avvenire in via incidentale e con carattere di occasionalità ma nulla impedisce, se sussistono le ragioni giustificatrici del controllo (ad esempio tutela della “sicurezza del lavoro” o del “patrimonio aziendale”), di inquadrare direttamente l’operatore, senza introdurre condizioni quali, per esempio, “l’angolo di ripresa” della telecamera oppure “l’oscuramento del volto del lavoratore”.
Parimenti, sempre in tema di videosorveglianza, non appare fondamentale specificare il posizionamento predeterminato e l’esatto numero delle telecamere da installare fermo restando, comunque, che le riprese effettuate devono necessariamente essere coerenti e strettamente connesse con le ragioni legittimanti il controllo e dichiarate nell’istanza, ragioni la cui effettiva sussistenza va sempre verificata in sede di eventuale accertamento ispettivo. Ciò in quanto lo stato dei luoghi e il posizionamento delle merci o degli impianti produttivi è spesso oggetto di continue modificazioni nel corso del tempo (si pensi ad esempio alla rotazione delle merci nelle strutture della grande distribuzione) e pertanto rendono scarsamente utile una analitica istruttoria basata su planimetrie che nel corso del breve periodo non sono assolutamente rappresentative del contesto lavorativo.
Del resto, un provvedimento autorizzativo basato sulle esibizione di una documentazione che “fotografa” lo stato dei luoghi in un determinato momento storico rischierebbe di perdere efficacia nel momento stesso in cui tale “stato” venga modificato per varie esigenze, con la conseguente necessità di un aggiornamento periodico dello specifico provvedimento autorizzativo, pur in presenza delle medesime ragioni legittimanti l’installazione degli strumenti di controllo.
Da ultimo va precisato che il provvedimento autorizzativo viene rilasciato sulla base delle specifiche ragioni dichiarate dall’istante in sede di richiesta. L’attività di controllo, pertanto, è legittima se strettamente funzionale alla tutela dell’interesse dichiarato, interesse che non può essere modificato nel corso del tempo nemmeno se vengano invocate le altre ragioni legittimanti il controllo stesso ma non dichiarate nell’istanza di autorizzazione.
Gli eventuali controlli ispettivi successivi al rilascio del provvedimento autorizzativo, pertanto, dovranno innanzitutto verificare che le modalità di utilizzo degli strumenti di controllo siano assolutamente conformi e coerenti con le finalità dichiarate.
Tutela del patrimonio aziendale
Fra le ragioni giustificatrici del controllo a distanza dei lavoratori l’elemento di novità introdotto dalla più recente normativa è rappresentato dalla tutela del patrimonio aziendale che in precedenza veniva considerato come unico criterio legittimante delle visite personali di controllo di cui all’art. 6 della stessa legge.
Tale presupposto necessita però di una attenta valutazione in quanto l’ampiezza della nozione di “patrimonio aziendale” rischia di non trovare una adeguata delimitazione e, conseguentemente, non fungere da “idoneo filtro” alla ammissibilità delle richieste di autorizzazione.
In primo luogo va chiarito che tale problematica non si pone per le richieste che riguardano dispositivi collegati ad impianti di antifurto che tutelano il patrimonio aziendale in quanto tali dispositivi, entrando in funzione soltanto quando in azienda non sono presenti lavoratori, non consentono alcuna forma di controllo incidentale degli stessi e pertanto possono essere autorizzati secondo le modalità di cui alla nota n. 299 del 28 novembre 2017.
Diversa invece è l’ipotesi in cui la richiesta di installazione riguardi dispositivi operanti in presenza del personale aziendale, in quanto in tal caso la generica motivazione di “tutela del patrimonio” va necessariamente declinata per non vanificare le finalità poste alla base della disciplina normativa.
In tali fattispecie, come ricorda il garante della privacy, i principi di legittimità e determinatezza del fine perseguito, nonché della sua proporzionalità, correttezza e non eccedenza, impongono una gradualità nell’ampiezza e tipologia del monitoraggio, che rende assolutamente residuali i controlli più invasivi, legittimandoli solo a fronte della rilevazione di specifiche anomalie e comunque all’esito dell’esperimento di misure preventive meno limitative dei diritti dei lavoratori.
Del resto, anche secondo la Corte di Cassazione, la sussistenza dei presupposti legittimanti la tutela del patrimonio aziendale mediante le visite personali di controllo, va valutata in relazione ai mezzi tecnici e legali alternativi attuabili, all’intrinseca qualità delle cose da tutelare, alla possibilità per il datore di lavoro di prevenire ammanchi attraverso l’adozione di misure alternative (Cass. sent. n. 84/5902).
Inoltre, tra gli elementi che devono essere tenuti presenti nella comparazione dei contrapposti interessi, non possono non rientrare anche quelli relativi all’intrinseco valore e alla agevole asportabilità dei beni costituendi il patrimonio aziendale
Telecamere
I sistemi di videosorveglianza di più recente introduzione si basano su tecnologie digitali adatte all’elaborazione su PC e trasmissione su rete dati (tipo internet). Le nuove soluzioni video in tecnologia IP hanno rivoluzionato il concetto di videosorveglianza, rendendo possibili funzioni e scenari applicativi inimmaginabili fino a pochi anni fa.
I sistemi di videosorveglianza che utilizzano tale tecnologia sono caratterizzati dall’utilizzo di una rete IP, cablata oppure wireless, che consente il trasporto dei dati video e audio digitali da un computer all'altro attraverso internet; è anche possibile registrare, visualizzare e mantenere le informazioni video e audio in qualsiasi punto della rete opportunamente dimensionata. Inoltre è possibile installare impianti di videosorveglianza a circuito chiuso, collegati all’intranet aziendale o via internet a postazione remota.
A tal proposito si precisa che, ove sussistano le ragioni giustificatrici del provvedimento, è autorizzabile da postazione remota sia la visione delle immagini “in tempo reale” che registrate.
Tuttavia, l’accesso da postazione remota alle immagini “in tempo reale” deve essere autorizzato solo in casi eccezionali debitamente motivati.
L’accesso alle immagini registrate, sia da remoto che “in loco”, deve essere necessariamente tracciato anche tramite apposite funzionalità che consentano la conservazione dei “log di accesso” per un congruo periodo, non inferiore a sei mesi; pertanto non va più posta più come condizione, nell’ambito del provvedimento autorizzativo, l’utilizzo del sistema della “doppia chiave fisica o logica”.
Quanto invece al “perimetro” spaziale di applicazione della disciplina in esame, l’orientamento giurisprudenziale tende ad identificare come luoghi soggetti alla normativa in questione anche quelli esterni dove venga svolta attività lavorativa in modo saltuario o occasionale (ad es. zone di carico e scarico merci). La Corte di Cassazione penale (sent. n. 1490/1986) afferma infatti che l’installazione di una telecamera diretta verso il luogo di lavoro dei propri dipendenti o su spazi dove essi hanno accesso anche occasionalmente, deve essere preventivamente autorizzata da uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali ovvero da un provvedimento dell’Ispettorato del lavoro.
Sarebbero invece da escludere dall’applicazione della norma quelle zone esterne estranee alle pertinenze della ditta, come ad es. il suolo pubblico, anche se antistante alle zone di ingresso all’azienda, nelle quali non è prestata attività lavorativa.
Dati biometrici
L’utilizzo di dispositivi e tecnologie per la raccolta e il trattamento di dati biometrici sta andando incontro ad una crescente diffusione. Il Garante per la protezione dei dati personali ha emanato un Provvedimento generale prescrittivo in tema di biometria, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 2 dicembre 2014. Il Garante evidenzia, al punto 4.2, come “l'adozione di sistemi biometrici basati sull'elaborazione dell'impronta digitale o della topografia della mano può essere consentita per limitare l'accesso ad aree e locali ritenuti "sensibili" in cui è necessario assicurare elevati e specifici livelli di sicurezza oppure per consentire l'utilizzo di apparati e macchinari pericolosi ai soli soggetti qualificati e specificamente addetti alle attività”.
Ne consegue che il riconoscimento biometrico, installato sulle macchine con lo scopo di impedire l’utilizzo della macchina a soggetti non autorizzati, necessario per avviare il funzionamento della stessa, può essere considerato uno strumento indispensabile a “...rendere la prestazione lavorativa...” e pertanto si possa prescindere, ai sensi del comma 2 dell’art. 4 della L. n. 300/1970, sia dall’accordo con le rappresentanze sindacali sia dal procedimento amministrativo di carattere autorizzativo previsto dalla legge.
Fonte: INL
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Art. 4 legge n. 300/1970 - Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo
[alert] 1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilita' di controllo a distanza dell'attivita' dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unita' produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in piu' regioni, tale accordo puo' essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unita' produttive dislocate negli ambiti di competenza di piu' sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. 3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalita' d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. [/alert]
ID 7244 | Rev. 1.0 del 14.08.2023 / Documento completo allegato doc/pdf
Il presento documento, in forma check list (pdf/doc) individua la documentanzione da tenere in cantiere da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi, e tiene conto di quanto richiesto dalle seguenti norme principali:
La documentazione relativa alle imprese, è stata raggruppata in argomenti sotto forma di check-list, come di seguito elencati:
- Documentazione di carattere generale; - Documentazione relativa al cantiere edile; - Documentazione relativa alle attrezzature di lavoro presenti in cantiere; - Documentazione aggiuntiva per le attrezzature di sollevamento presenti in cantiere; - Documentazione relativa all’impianto elettrico, di messa a terra e di protezione contro le scariche atmosferiche; - Documentazione relativa a lavori elettrici sotto tensione; - Documentazione relativa ai ponteggi installati in cantiere; - Documentazione relativa alle attività con impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi; - Documentazione relativa a lavori in presenza di amianto; - Documentazione relativa a lavori stradali; - Documentazione relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
La documentazione di cantiere deve essere conservata in originale/copia conforme, a firma del DL/soggetto incaricato, salvo Contratti di appalto.